Nato a Viterbo il 25 ottobre 1991, laureato in  lettere (Università della Tuscia) e appassionato di musica (jazz, prog, elettronica).

Quando sento i cronisti stimati che pronunciano la frase “artista del momento”, mi viene sempre da ridere. Ma oltre la risata mi scatta subito la domanda “Momento?!”. Che concezione si ha della musica? Ci sono band e cantautori amati da decadi, con la loro Arte che rimarrà in eterno, come Mozart o qualsiasi altro maestro indiscusso. I Genesis sono un gruppo che fa parte della mia adolescenza, che amo tuttora, e che non smetterò mai di elogiare. Stesso discorso per King Crimson, Yes, Gentle Giant, Van Der Graaf Generator, Soft Machine e altri. La band spero non abbia bisogno di presentazione. Peter Gabriel, Phil Collins, Steve Hackett, Mike Rutherford e Steve Banks: quattro menti immense che hanno segnato almeno tutta la decade degli anni Settanta. Peter Gabriel, dopo l’abbandono avvenuto nel 1975, ha iniziato la sua carriera solista in piena era punk wave, dove sono giunte altre opere sublimi (“Games Without Frontiers”, “No Self Control”, “The Rhythm Of The Heat…) collaborando con svariati artisti (Levin, Fripp, Kate Bush, Sinead O’Connor…). Il primo successo targato Genesis corrisponde a “Trespass” (1970), secondo album contente sia toni minacciosi (la maestosa “The Knife”) che alcuni incipit all’eleganza poetica fiabesca dei fasti futuri (“Looking For Someone” e “Stagnation”). “Nursery Cryme” giunge l’anno dopo, con uno spaventoso aumento di livello e maturazione. Sembra un’altra band, rispetto a quella di “Trespass”. Sono loro veramente? non che “Trespass” sia un lavoro acerbo o invecchiato male, ma un disco che inizia con un’opera come “The Musical Box” non bastano mille elogi per rendergli giustizia. La voce pittoresca da strega dei boschi mista al tono ancestrale di chitarra e organo sono gli elementi spiazzanti del combo. Si ritorna nei tempi oscuri del Medioevo, intrisi di paganesimo, incantesimi, paure e riti esoterici. I Genesis sono tutto questo: poesia, immaginazione, passato, presente e futuro. Insomma, il primo brano funge da manifesto dell’intera produzione Genesis (a parte la fase degli anni Ottanta che corrispondono a un altro concetto). Cambi di ritmo, stacchi eccelsi di chitarra, drumming di Phil a tratti tribale e in altri frangenti delicatissimo, grazie ad una grande precisione sugli accenti che lo ha reso unico nel suo groove. L’operato di Banks equivale a un’orchestra intera. La musica rock è piombata nella musica classica. Tutto l’album è un miracolo divino, vedi l’ironico teatrino di “The Return Of The Giant Hogweed”, arricchito dalle bellissime linee di chitarra e organo, l’emozionante “Seven Stones”, con una sublime coda di Banks, la fiaba paurosa di “The Fountain Of Salmacis”, vertice di espressionismo Gabrieliano. Come contorno abbiamo lo scherzetto da menestrello di “Harold The Barrel” e le delicate emozioni delle bucoliche “Harlequin” e “For Absent Friends”. Concluso questo straordinario capitolo di lirismo, i Genesis sfornano nel 1973 il perfetto “Selling England By The Pound” e il concept “The Lamb Lies Down On Broadway”, dove spiccano il ritmo ostinato di “In The Cage”, la fantasmagorica titletrack e le due ballate stupefacenti “The Lamia” e “The Carpet Crawlers”. Gabrel dopo questo lavoro lascia la band, e i Genesis continuano con “A Trick Of The Tail”, dove possiamo individuare altri passi importanti (“Dance On A Volcano”, la poetica di “Entangled”, trionfo del mellotron di Banks, e l’altro gioiello del tastierista, “Mad Man Moon”). Successivamente anche Steve Hackett si concentra sulla fase solista, lasciando i tre con un cambio di mercato, di musica e di produzione. Da qui in avanti niente è come prima, con il lanciare frivole sensazioni con i vari “Abacab” e “Duke”, seppur con la classica eleganza e maestria.

Nursery Cryme Book Cover Nursery Cryme
Genesi
Rock progresivo
1971