Luca Morettini Paracucchi, nato il 24 febbraio 1988. Lucchese da tutta la vita, Viterbese da qualche tempo. Ho una passione molto forte per ciò che riguarda il cinema, la letteratura, la musica, il mondo dei fumetti e dell'arte in generale. Tra le mie passioni hanno un posto di rilievo il mondo del punk e certi aspetti della cultura cosidetta nerd. Scrivo da quando avevo otto anni, recentemente ho ripreso dopo un periodo di stop. Spero sia la volta buona

Due biografie di Moby

Di Luca Morettini

Io e la musica di Moby ci siamo avvicinati diverse volte nel corso degli anni, ma fino a poco tempo fa si trattava di semplice curiosità e simpatia che non era mai andata oltre e, a dirla tutta, non sono mancate delle aspettative per me insoddisfacenti, come ad esempio quando acquistai l’album Animal Rights del 1996: quello che Moby stesso definiva un disco punk/alternative rock per certi versi lo era, ma non nella misura che mi ero fatto nella mia testa. Mi piacque in parte, dall’altro lato sentivo in bocca un sapore amaro.

Poi, il semplice caso. Perché a volte le cose nascono solamente per caso. Ad un mercatino trovo un paio di suoi dischi, tra cui il primo del 1993. Si tratta di musica archeologica, techno lontana millenni dai progressi fatti dall’elettronica di oggi con i suoi suoni perfetti, scintillanti, puliti. Ma ciò basta per mettermi curiosità, trovare su internet a poco prezzo un altro suo disco di quel periodo, l’album Everything Is Wrong del 1995, e comprarlo.

Dopo l’ascolto realizzo che ho appena trovato uno degli album preferiti della mia vita. E la simpatia per Moby diventa vera e propria devozione da fan.

Da lì al desiderio di comprare la sua autobiografia del 2016 dal titolo Porcelain il passo è breve. A dir la verità era già diverso tempo che avrei avuto piacere di leggerla. Stiamo sempre parlando di Moby, musicista elettronico e dj ma con un passato d’amante della new wave e soprattutto del punk hardcore, che ha iniziato la sua carriera in una band di nome Vatican Commandos. Un richiamo irresistibile, ora poi imboccata la strada dell’ammirazione.

Ma la verità, con mia sorpresa, che le biografie sono due. Oltre Ogni Limite è uscita l’anno scorso. E, cosa ancora più singolare, sono due volumi che superano le 400 pagine. Non sono racconti della propria vita, sono confessioni. Se desiderate conoscere le più piccole informazioni, aneddoti e curiosità su un determinato disco o un determinato brano sappiate che si rimane delusi. Ci sono album di cui non si parla affatto (Ambient, 1993) e altri di cui si accenna frettolosamente una volta (I Like To Score, 1997). Quasi un paradosso per un’artista dall’ampia discografia e da una creatività prolifica.

Le 426 pagine di Porcelain coprono il decennio 1989-1999, gli anni in cui Moby emerse dall’underground di New York per imporsi come dj. Sono gli anni di “Go”, della sua fervente crede religiosa cristiana, dell’astensione dall’alcool dopo anni di amore incondizionato e della sua conseguente ricaduta. E’ un racconto minuzioso nei suoi dettagli, quasi al limite della perfezione. Pare quasi tutto inventato, un perfetto romanzo ambientato negli anni ’90 nella città che non dorme mai, con in sottofondo house e techno, serate notturne e voglia d’emergere, di avere di fronte a sé un pubblico da far ballare per tutta la notte. Moby giura che ogni fatto raccontato è assolutamente reale e il suo sguardo timido, cauto e gentile è la vera linea guida che accompagna il lettore in tutti gli episodi raccontati. Ne esce un ritratto umano e come tutto ciò che è umano imperfetto, discutibile, insicuro ma realmente autentico e pieno di episodi che incollano gli occhi alle pagine da quanto sanno essere avvincenti nel raccontare una realtà impensabile per chi non ha dentro gli occhi e nella pelle la vita di una metropoli, specie se poliedrica come New York.

Di tutt’altra pasta è Oltre Ogni Limite: più vicina ad una biografia di stampo tradizionale, alterna capitoli sulla propria infanzia e adolescenza in un periodo che arriva fino al 1985 ad altri che seguono la pubblicazione dell’album “Play” (quindi là dove finiva il libro precedente) fino al 2008. Questi ultimi sono la perfetta descrizione della decadenza dell’artista dove racconti di droghe, sesso, alcool e lusso sono all’ordine di ogni pagina e dove tutto ciò è velato di una vena disperata che emerge sempre più prepotentemente man mano che la lettura avanza. E’ la storia di un uomo che vuole compensare il suo passata di povertà ed inadeguatezza e che non trova in tutto quello che ha sempre desiderato la via per la felicità, quanto la forza di ammettere a se stesso e al resto del mondo la sua natura da alcolista. Ed eccola ancora qua l’umanità con i suoi vizi e i suoi sbagli. L’avevo detto. Queste non sono autobiografie, sono confessioni di una verità tanto folle quanto amara, di un’artista che ha costruito con gli estremi opposti la propria vita e la propria arte. Leggere, ma anche ascoltare, per credere.