Nato a Montichiari (BS) nel 1976, è giornalista e critico letterario. Laureato all'Università degli Studi di Parma, scrive per varie testate tra cui il Quotidiano del Sud e L’Indice dei Libri del Mese. È caporedattore del lit-blog Laboratori Poesia e collabora con Avamposto-Rivista di Poesia e il blog Brescia si legge. Ha curato gli epistolari tra Vittorio Sereni e Roberto Pazzi e tra Carlo Cassola e Angelo Gaccione. Nel 2020 ha vinto il Premio Letterario “Lago Gerundo” per la Sezione Epistolari.

Memoria e ricominciamento nei “Prodigi” di Anna Ruotolo

di Federico Migliorati

“Le parole si portano da un luogo

  • tu sai –

per compensazione

per fare meno oscure le città

e l’ultima nave a partire

è l’abbandono (solleva l’acqua,

ritorna calma).

Mi spiace, mi spiace a lungo

non aver visto

gli alberi di ghiaccio

un mattino freddo delle quattro,

mandorle in tasca e schiaccianoci,

la tua mano sulla pancia,

la paura profonda di un viaggio”.

(Anna Ruotolo)

La poesia di Anna Ruotolo riesce a ricomporre un mosaico di sé attraverso un linguaggio di luce e di ombre che non teme il tempo ma che anzi lo supera, lo decostruisce per alimentare il sentimento, il ricordo, l’azione rendendoci inoltre parte di questo viaggio terreno, in una forma quasi familiare. Dal 2007, anno a cui risalgono i primi versi, sino al 2020 la poetessa, milanese d’adozione, scandisce un ritmo percussivo districandosi tra introspezione e sguardo corale. E, dunque, “Prodigi”, che la casa editrice PeQuod ha dato alle stampe (con la brillante postfazione di Gianfranco Lauretano) nell’ultimo scorcio del 2023, riprende un verso prodotto lungo quasi un quindicennio per arrivare a una solida maturità. Tredici le sezioni in cui è suddivisa l’opera nella quale poesie già edite in precedenti raccolte trovano una felice simbiosi con testi inediti e più attuali.

Ruotolo esordisce ancora giovanissima con una serie di immagini poetiche che si addensano nella memoria, rabdomantiche, ma restando lontana da certezze o vaticini poiché, per lei, è necessario “cercare le parole più piccole/ e più grandi/ mettere le une in braccia alle altre” e ancora trovare “le parole prime e semplici – sempre piccole”, senza soluzione di continuità: in ciò, crediamo, sia basata la sua precipua volontà, nella considerazione che la lingua resta a dimora della nostra interiorità più profonda e va pertanto curata e protetta, anche di fronte al tempo “candido, puro” che rischia di sgretolarsi, di sbriciolarsi. L’infinitesimale e l’immenso sono due facce della stessa medaglia, così osservare e cogliere il brillare di antiche stelle può solleticare la nostra azione acciocché il comando “sia solo per il bene”. Una lingua delicata, che sconta un amore per la classicità e la poesia pura, permea i testi della prima sezione laddove nella seconda, che si apre con un’epigrafe in onore di Vittorio Sereni, poeta non esente da influssi sul lavoro di Ruotolo (e altresì citato pure in una delle composizioni), si entra maggiormente in un vortice di sensazioni, un caleidoscopico alternarsi di figure umane, di un tu che spesso finisce per apparire autoriferito.

Qui percepiamo già un’evoluzione: la luce lascia spazia al dovere dell’ombra di dire la sua perché nel suo cono “si nasce, un po’ si vive”. L’altro, a cui ci si appella costantemente, è vicino e lontano insieme, è sonno e veglia, assenza e prorompente immanenza: la poesia si fa così solleticante desiderio e speranza, riscoperta di un nuovo Io, di un’identità che si configura e chiarisce nel rapporto con le persone. Stupore, epifania, palingenesi, ricerca: sono quattro termini che recuperiamo, sotto mentite spoglie, nei versi della poetessa perennemente orientata a scoprire il significato di certe distanze “che non hanno mestiere” e, per ciò, a mostrarsi nuda di fronte agli accadimenti, inerme ma non inerte. Innesti di saggezza popolare, echi evangelici popolano la tersa scrittura che non rinuncia a una decisa tensione e torsione verso l’infinito, verso quell’immensità che sgomenta e angoscia insieme mostrandosi in noi (“la biro azzurra di un fuoco atomico/ sulla mappa del braccio”). Tra mente e corpo l’anima si insinua e, come in Caproni, si mostra leggiadra nel suo movimento (“così bianca nell’aria”), attraversata dalle parole le quali, se in Victor Hugo sono “passanti misteriosi dell’anima”, qui “si portano da un luogo all’altro – tu sai – per compensazione”. Il non detto, meglio la “non-lingua” è il residuato di quanto è più importante, più fondamentale per noi: così la poetessa chiede all’interlocutore di “fiammeggiare incontrastatamente”, “nel fragore inascoltabile della gente”.

Nella proiezione futura dei propri versi, che sono sempre accesi da un richiamo ai precedenti quando non da un’anticipazione dei successivi (in Ruotolo tutto si tiene, tra continuità e novità), veniamo cooptati in un viaggio perenne della dimensione interiore: nulla è fermo per sempre, la stasi non sembra essere conosciuta qui. Il prodigio è dietro l’angolo, nella “meravigliosa notizia”, nella “trama della carta”, nel “silenzio che scende”, attimi che danno lustro alla poesia e permettono di conoscerla “come un miracolo notturno”. Serve sempre una corazza per ribellarsi all’incedere dell’età, alla volgarità intellettuale: così anche una preghiera, un’invocazione all’amato familiare può essere utile a rinviare l’esiziale destino, a insegnare “la vita più leggera”, meno carica di turbamenti e di paure, segnatamente a ricominciare, verbo amato da Ruotolo poiché segno dell’infinito andare di ogni uomo “nelle grandi zone terra-cielo-terra”. Vivaci i testi di “Raccomandazioni”, quasi canzoni-riflessioni, e di “Telegrammi”, epigrammi di fragili, minime verità oltre a termini desueti e aulici a dimora di antichi significati. Nelle composizioni contenute nelle raccolte più recenti (ampi i richiami in esergo a poeti e scrittori d’ogni tempo che battono il ritmo del senso) si ritorna a un’interpunzione ridotta al minimo, a un periodare più fluido e disincantato, aggettante verità assodate come nella considerazione che “bisognerebbe essere come/ le cose/ che sanno mantenere il tempo,/ dedicare il ricordo”. Di nuovo, infine, il rimembrare, la memoria come elemento precipuo, da custodire per non perdersi, per non addurre a sé nuove fragilità, e “l’ombra sottile di una rosa” a cullare ciò che resta e ciò che serve o una “pietra azzurra” sulla quale camminare.

Prodigi
Anna Ruotolo
Poesia
PeQuod
2023
227 p.,