Marcello Chinca ha svolto la professione di avvocato per venti anni sino al suo ritiro nel 2007. Svolge ora l'attività di critico letterario e d'arte. Scrittore

Un ricordo di Franco Cordero

Di Marcello Chinca

Franco Cordero scrittore e giurista nacque a Cuneo nel 1928, divenne avvocato suo malgrado quando decise di intraprendere la carriera Universitaria, esordì come professore all’università di Trieste per poi essere assunto all’Università Cattolica di Milano come ordinario di procedura penale e filosofia del diritto sino alla sua espulsione a causa delle sue posizioni eterodosse. Divenne ordinario della cattedra di procedura penale all’Università La Sapienza di Roma.  

Franco Cordero non è stato solo il mio relatore di tesi ma il solo intellettuale che mi abbia instradato, consigliato, lui scevro, così chiuso, così solo in un’Italia orribile, speciosa, inserito come un elemento spurio dentro un istituto di diritto e procedura penale infettato di arrivisti e figli di papà senza talento né idee, istituto dove tra parentesi mi fu proposto di far parte del team degli assistenti una volta conseguita la laurea, proposta che declinai un po’ spudoratamente per partire militare.    

 Le sue lezioni sempre a braccio, lezioni che erano gremite all’inverosimile in Aula Magna e che ho seguito per almeno due anni, erano avvenimenti in cui uno capiva l’arte del ragionare, la tecnica sopraffina della ricostruzione storica, la retorica cristallina, l’erudizione immensa. Tutto era sempre  incentrato sull’analisi capillare del potere e del diritto che poteva spaziare dalle XII Tavole e la Roma repubblicana, l’Inquisizione, Luigi XVI, Romanov, sino ad alle Leggi razziali del 1938 o l’ascesa di Hitler nel 1933, le purghe staliniane. Tutto ciò scandito da elementi di semiotica, filosofia logica deduttiva, teologia.

Un grande intellettuale non etichettabile, padre della riforma del processo penale nel 1988, con cui ho dialogato spesso sul mio futuro che lui voleva da giudice, ‘non faccia l’errore di fare l’avvocato’ insisteva (auspicio che non ho seguito). Che ho frequentato post laurea in tante conferenze. Una in particolare presso la Corte di Cassazione vertente sul Re Sole e i prodromi della crisi istituzionale prima che finanziaria che condusse la Francia al tracollo del 1789, ipotizzando simile sciagura anche per l’Italia repubblicana, asservita ai potentati di sempre, strangolata dalla corruzione e dal malaffare delle classi privilegiate inamovibili.

Di lui ho letto molto oltre al suo manuale canonico e fluviale (Guida alla procedura penale), Riti e sapienza nel diritto, Criminalia, Pavana, i 4 volumi di Savonarola, Viene il re, Gli osservanti, La fabbrica della peste, Cronaca di una stregoneria moderna, Le masche. I suoi articoli aspri e mirabolanti su Repubblica sul Caimano, termine che deriva appunto dalla sua penna sempre puntuale e saliente.

Lo incontrai assieme alla mia compagna di allora, anni dopo, una sera gelida prima di Natale, in via Nazionale, che vagava solo e disperato, vestito troppo leggero col suo impermeabile dirozzato, che salutai con fervore e quasi subito con un pudore che era dolore perché lui era così, troppo timido, troppo disilluso, inadatto per carattere a lasciarsi andare. Perché Franco era così, piemontese vero (di Cuneo) lavoratore e severo prima di tutto con se stesso, inaccessibile come un monaco mistico del XI secolo dedito solo al lavoro e allo studio, in fondo un neocalvinista, ma soprattutto un veggente inascoltato e senza speranze in un paese infestato di ladri, di laidi opportunisti, un uomo che mai fu rassegnato, costretto a recitare la sua parte in un Paese di ruffiani del potere, mandarini e miriadi di inetti.

La foto nel corpo dell’articolo ritrae Franco Cordero, ed è presa dal quotidiano Avvenire