Vladimir D’Amora è nato a Napoli nel 1974. In poesia ha pubblicato Pornogrammia , Edizioni Galleria Mazzoli, 2015 (finalista Premio Fiumicino 2015), Neapolitana Membra , Arcipelago Itaca, 2016 (Premio Itaca 2016) Anima giocattolo (finalista Premio Trivio 2016)

Un po’ d’amore

Di Vladimir D’Amora

Prose poetiche selezionate dal saggista e critico letterario Piero Dal Bon

Amore e Gesto

Ogni gesto in amore, a noi, per noi, proprio grazie a noi, è sempre preso in una dialettica, in un riferimento stringente: l’amore, cioè, non si basta mai. E due istanze, due forze, due corpi in intimo posti, in uno stridente anche coabitare: ogni amore, ogni suo gesto, è compreso tra il desiderio dettato da una mancanza, come se volessimo, donando, colmare la lacuna nostra tendendo all’altro modellandocelo piacevole, benigno; e la gratuità più favorevole e divina quasi, come se volessimo rendercu l’altro partecipe di una gioia straripante, di un favore senza requie.

Ché sempre siamo fonte che si spande graziosa, anche nera: e una tensione. Una forza a riempire i nostri e altrui buchi – proprio quelli, in una vita, indetti quasi come ghiaccio, come ereditata dote.

Nessuno, oggi, può sfuggire a questo doppio vincolo in amore. Né verso se stesso, né verso l’altro. Siamo un dare per avere l’altrui aver avuto: finalmente un avere l’altro che ci dia – e, quest’asimmetrica reciprocità, la siamo in ciascuna frazione, ricompensa: per ogni fazione in una guerra.

Se una e uno ci badassero, forse poi siamo costituiti nel nostro essere proprio dal concorso di queste due forze, che procedono e vivono sempre a formare un insieme anomalo: sempre una classe disperata. Una costruenda catastrofe, una ripresa nell’abbraccio.

Ché nella vita, nonostante la consapevolezza che abbiamo e che possiamo figurarci e sentire circa la sua, ineliminabile doppiezza ed equivocità, nonostante ciò: è come se resti un’insoddisfazione perenne cronica e dura da sciogliere: come se l’intelletto, che ordina e chiarifica, non potesse nulla contro la volontà che mette e toglie anche drasticamente – e contro i fantasmi che ci abitano come ragli d’asino inconcludenti epperò sonori: come riso di scimmia che ci somiglia sferica – pur nella lontananza sua e di maniera… Perché ancora un lascito, cioè, di un Saturno Complessato?

Anche se è gioco-di-vita, la possibilità che ci compete, questa è l’unica: a meno che non vogliamo saggiare l’unico male che ci informa, e cioè: vivere nel debito: tenere la possibilità come rivolta al passato.

Mentre il possibile, l’avvenire nostro, è questo svolgere questa contro-consapevolezza in forma: questo lasciare che i desideri vivano la loro intensità senza raggrumarsi in immagini sempre pronte, sempre disposte e sull’orlo di infrangersi, come di schiantarsi, in una miriade di pezzi d’anima.

Che i desideri, in amore, restino. Nel gesto del loro eterno apparire, essere – e avuti

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Comincia l’amore

Comincia l’amore. L’allungamento del giorno, senza nessuna operazione invisa. Una spessa massa di possibile, nell’attimo purgato, che alcuni scavano alla cerca di una speranza solita, in un tipo di attesa per cui non vale alcuna sorpresa. O scrittura.

O come se, già tutto scritto, non restasse ch’essere attori incapsulati o distaccati lettori – e si resiste. Comincia la festa delle personae e mostrano stadi di progressivi montaggi, precipitano avvicendandosi luce e tenebra, grazie a un rimedio tremendo, portante al culmine della comune finzione. Comincia la testimonianza dello scandalo o le apostasie stesse non hanno più il tempo di raggirarsi, si istituiscono. Oh, quella enorme strada immaginata solo per i ritorni, l’origine essendo stata sacrificata, in scena! Quella strada risolta in un respiro di un mostro etichettato come natura. Come vita poetata.

Alla fine della strada, e di una storia, la morte solitissima a finire nel nulla per ciascun simulacro di una vita montato, alla fine lo schermo – miotuo – di una indovinata e leggera esegesi: discorso dell’uomo rapito e sull’uomo più arcaico, sull’ominide futuro.

Come se la presenza fosse l’incontro di mine vaganti, il progetto di un accadere diluito, il flusso rammemorato e ogni stazione. L’epoca. E comincia l’appropriazione che genera assuefatti a un ordine di cesure di storie mendiche, e vorticose e tarde. Una volta il mio e il non-mio, un’eventuale fantasticazione analogica, il distendersi del simbolo nel kit, la fine nell’ostensione e nel capriccio suo.

Tu chiamalo amore. Chiamalo. Mentre comincia.

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Festa, l’amore

L’amore è una festa: ogni amore: relazione: rapporto: io voglio l’altro nella sua unicità e singolarità ne ho bisogno di questa sua individualità ma la mia relazione con lei, con lui, con loro: distrugge proprio la mia sua solitudine singolarità unica… Perché?

Perché festa è evasione, sospensione e lo sporgersi leggeri e leggere fuori dalla quotidianità nel gioco, nella fuoriuscita da impegni e molestie e pesi – solo e soltanto perché oltre a essere un carnevale la festa è vita: vita esaltata nella sua ferialità e gestualità inapparente e normalmente quotidiana: è vita formata: vita significata: significante solo e soltanto vita…

Festa l’amore, evasione dalla indifferenza e opacità e dallo sfondo grigio impersonale anonimo: solo e soltanto perché l’amore e l’amicizia e la festa si autorispecchiano… In vero l’essenza concreta, particolare e vitale e nostra vivente noi: viene all’apparire solo e soltanto riattualizzandosi come memoria dell’impoverimento e della riduzione e del pallore: noi amandoci siamo il ricordo continuo di una banalità amabile: di una semplicità tutta finalmente nostra. Reciproca. Feriale.