Vladimir D’Amora è nato a Napoli nel 1974. In poesia ha pubblicato Pornogrammia , Edizioni Galleria Mazzoli, 2015 (finalista Premio Fiumicino 2015), Neapolitana Membra , Arcipelago Itaca, 2016 (Premio Itaca 2016) Anima giocattolo (finalista Premio Trivio 2016)

Poetry is strange

Di Vladimir D’Amora

La parodia è il medio che consente di passare dal tragico al comico: l’operazione che, la ferita, ossia il giudizio che netto taglia nome e cosa, soggetto e mondo, la apre all’approdo istantaneo, insistente in una terra di sutura: e viceversa… La parodia, ripetendo la lacerazione tragica tra silenzio e dolore, proprio iterandola, la mantiene e salva nella sua stessa, comica apparenza: la parodia riesegue il tragico come una comica smorfia di caduta. Parodica è quella performatività che istituisca un mondo-in-parola, ossia una esigenza (né logicamente né fattualmente coerente…), facendo dono di una istallazione abbagliata, sospesa: laddove e quando una uno sappiano il continente dei fatti, delle storie trattenute tra scopo e fondamento, lo sappiano come sospeso e messo nella luce di collasso: qui ecco ora: la parodia performante media: sorge come scimmiesca smorfia di una coincidenza (disastro & catastrofe) che tra performance e istallazione, tragedia e commedia: lingua e vita: lavoro e gioco: lascia che cada (… come (solo) corpo morto cade:) una immagine. Una parola che incanti tanto la realtà smembrata con-figurandola come: come sacrificalità e compromesso di violenza; quanto i soggetti liberandoli da ogni fuga – urlata ideologizzata prescritta imposta – da volere & doveri… La parodia sta nel mezzo, tra tragedia e commedia, come quella forma e quella vita che si è soliti chiamare poesia ossia addensarsi di un cagliare senza resto alcuno: senza residuo né supplemento: perché è la poesia stessa: la lingua abbagliata senza che le resti da spurgare vita come fondo di impiego, senza che le resti da assistere allo spettacolo della produzione di esperienze vissute da disporre come materiale sociale per macchinazioni e investimenti di opinione & fantasmaticità speciose, brutali: la lingua arsa come torso di poesia, come lassa incantata: come occhio dell’azzurro della infasìa…, è, essa, il resto – che fondano i poeti. Ma quei soggetti tragicamente comici, a giocare ritualmente la parola senza scopo, che i poeti sono: non fondano resti che durano in una eternità di merce ossia in una obsolescenza pietrificata ossia rimanendo nel lungo tempo effimero della umanità naturalmente prodotta come un esempio di sacralità da consumare, commemorare: capitalizzare & liquidare… La poesia resta in mezzo come parodia: lasciando cadere insieme forma e vita lascia questa clinica versura: questo verso di tramonto: come una eccedenza della lingua e del corpo: la forma come non: forma ma non già, non più vita: la vita come non: vita ma non già, non più forma… Ogni pezzo, ogni prosa del mondo poeticamente è versata alla sua moltitudinaria possibilità & potenza che tragicamente comicamente (a seconda del pubblico, delle politiche paganti con oboli come saluti, come ciondoli, come sorrisi, come like, come ricatti accreditanti nel debito: nella colpa nata al lavoro…) fa un picciol dono: il poeta parodicamente arreda stanze di un vuoto abbagliato: chi chiude le ferite nell’agio del loro immemoriale colore. Una volta chiesero a un poeta che cosa volesse da dio… Rispose: Che mi lasci cadere.