Intriso da sempre di musica, avendo trascorso l’infanzia (ahimè, inutilmente!) al fianco del padre che accompagnava al piano la madre cantante, al pari d’un novello Ambroise Bierce, lo scrittore topografo della Guerra di secessione americana, come archeologo ha rilevato (tacheometro, “dritta quella dannata stadia!” e logaritmi vari) mezza Africa Orientale, il Medio Oriente e il Centro America. Tra una stagione concertistica e l’altra organizzata come impresario (essendo sempre stato cacciato dai cori in cui cercava ostinatamente d’intrufolarsi), infine è approdato alla traduzione letteraria dei classici anglo-americani... sembrerebbe con risultati migliori che come baritono. Pare. Quello che invece è sicuro è che è davvero Il Cappellaio Matto.

La musica in Joyce. V tappa

De Il Cappellaio Matto

Secondo questa analisi musicale cui si faceva cenno al termine della quarta puntata, gli ultimi tre episodi dell’Ulisse comprenderebbero la sezione di ricapitolazione della sonata e il movimento finale della sinfonia, che è indicato come “allegro”. Altri studiosi sviluppano ulteriormente l’argomento della tripartizione della sonata prendendo in considerazione che possono esservi anche un’introduzione e una coda. Ma a questo punto il discorso rischia senz’altro di farsi troppo complicato, tra tema principale in chiave tonica e temi subordinati in chiave dominante, ecc.ecc., per cui è meglio non cercare d’approfondirlo troppo in dettaglio, non essendo questa la sede più adatta.

Affrontiamo ora, invece, il tema delle allusioni musicali presenti nel romanzo.

Come è intuitivo capire, in una canzone le parole sono sempre incomplete in sé, diciamo, cioè hanno bisogno della musica che dà loro pieno significato estetico e allo stesso tempo tende a svuotarle, ci si passi il termine, del loro normale significato prosaico.

Se canticchiamo tra noi “Là ci darem la mano” dal Don Giovanni di Mozart (tanto per prendere in considerazione una canzone tematica presente nell’Ulisse), normalmente non pensiamo al pieno significato prosaico e letterale delle parole, non facendo attenzione al loro contenuto drammatico nell’azione del Don Giovanni (per ascoltare cliccare QUI). Le parole occupano una posizione intermedia fra senso e non-senso, sebbene il loro pieno contenuto letterale e drammatico possa essere sempre recuperato se le ascoltiamo o immaginiamo di ascoltarle nel giusto contesto, cioè durante una rappresentazione dell’opera di Mozart.

Pub irlandese

Questa potenzialità che la canzone possiede di vuotarsi e riempirsi di volta di volta significato è ciò che interessava soprattutto Joyce.

Joyce prese in considerazione alcune canzoni, le presentò nella loro forma più piatta, prosciugate, diciamo, di ogni significato e poi le investì del maggior peso simbolico pertinente alla sua narrazione.

Nel corso dell’Ulisse, “La ci darem la mano” cambia, per esempio, da una frase mal compresa, che Bloom continua a canticchiare, a una viva evocazione del suo “essere fatto becco” da parte di Don Blazes Boylan.

John McCormac al piano

Oltre a questo famoso brano, l’Ulisse contiene moltissime allusioni a canzoni, molte delle quali usate tematicamente, come Ballad of Joking Jesus, The Death of Nelson (per ascoltare cliccare QUI), The Croppy Boy, che abbiamo già ascoltato nella prima puntata; l’aria “M’apparì” da Martha, opera lirica di Friedrich von Flotow, del 1847 (interpretata QUI niente meno che da Luciano Pavarotti), Love’s Old Sweet Song (eseguita QUI in una rara incisione del 1927 proprio dal celebre tenore irlandese John McCormack), Good-bye, Sweetheart, Good-bye, di cui si raccomanda d’ascoltare questa rarissima esecuzione del 1913 dello stesso tenore irlandese McCormack, anche perché si ha il privilegio di vedere il video d’accompagnamento: ovvero la Dublino di Joyce del 1913. Per ascoltare cliccare QUI. Dunque, nell’Ulisse ci sono circa una cinquantina di canzoni, cioè canzoni composte da irlandesi, che celebrano esperienze irlandesi, storiche o d’altro tipo: guerre, battaglie, natura, amore, il bere, e tutte in un contesto rigorosamente irlandese. Negli anni in cui Joyce viveva in Irlanda, quando i sentimenti nazionali erano al massimo, quando la Lega Gaelica teneva vivi e rinvigoriva tutti i rami della cultura irlandese, queste canzoni assumevano un’importanza speciale per tutto il popolo. Tipiche, tra le canzoni irlandesi dell’Ulisse, sono The Shan Van Vocht, che in inglese significa «Poor Old Woman», del periodo della ribellione irlandese del 1798 (per ascoltare cliccare QUI); The Boys of Wexford, altra ballata irlandese che celebra anch’essa la ribellione del 1798 (per ascoltare cliccare QUI); The Memory of the Dead (per ascoltare cliccare QUI) e God Save Ireland (per ascoltare cliccare QUI), in memoria dei Martiri di Manchester, e  inno nazionale ufficiale della Repubblica d’Irlanda e dello Stato Libero d’Irlanda dal 1919 al 1926, quando poi fu sostituito dall’inno ufficiale Amhrán na bhFiann. Chi sono i Martiri di Manchester?

Con questo epiteto sono conosciuti tre giovani irlandesi, William O’Mera Allen, Michael Larkin e William Goold, impiccati sulla pubblica piazza a Manchester il 23 novembre 1867 perché ritenuti colpevoli di avere ucciso un poliziotto inglese, di scorta al convoglio che stava trasferendo nel carcere della contea due prigionieri appartenenti al movimento indipendentista dei Feniani, il colonnello Thomas J. Kelly e il capitano Timothy Deasy. E oltre a queste, anche molte altre canzoni…Ci si aspetterebbe di trovare riferimenti a queste canzoni esclusivamente nello scenario di un pub, mentre esse invadono anche la coscienza del semi-straniero Bloom, dell’apolitica Molly, del giovane promettente e futuro artista Stephen.