Diploma maturità classica – Laurea in Giurisprudenza in 3 sessioni e mezza – Pratica legale – Pallavolista di successo – Manager bancario e finanziario – Critico musicale dal 1977 – 6 mesi esperienza radio settore rock inglese ed americano – Studi continuativi di criminologia ed antropologia criminale – Lettore instancabile – Amante della letteratura noir e “gialla “ – Spietato con gli insignificanti. Fabio è venuto a mancare nel maggio del 2017. Ma noi abbiamo in archivio molte sue recensioni inedite che abbiamo deciso di pubblicare perché sono davvero parte della storia della critica musicale italiana

Eccoci a parlare, ancora una volta, del 1979: anno fondamentale, il migliore per qualità e varietà di proposte) per la musica rock. Presto mi occuperò di due doppi albums usciti sempre nel 1979, quello dei PIL “Metal box” e quello dei Clash “London calling”, due capolavori incredibili ma ora è il momento di occuparsi dell’ultimo capolavoro (il terzo sui primi quattro dischi del quartetto londinese solo i Talking Heads hanno saputo fare meglio coi primi 4 dischi) degli Strangolatori. “The Raven” (Il Corvo), suonato con la stessa formazione-tipo e cioè, Hugh Cornwell, chitarra e voce, Jean Jacques Burnel, basso e voce, Dave Greenfield, tastiere e Jet Black, batteria. Quattro grandissimi musicisti, con una personalità assai forte e senza compromessi. Il disco si apre con “Longship” una breve track strumentale nella quale il basso di Burnel comincia a scavarci dentro. Suono corposo e “circolare”, chitarra e tastiere di sostegno addirittura al basso, vero strumento solista. Un incipit splendido che apre al primo capolavoro del disco, la title track, “The Raven”, che si apre su un suoni stretto e dalle maglie fitte, prima che se ne impossessi il synth di Greenfield, facendone un qualcosa di indimenticabile. Qualcosa nel suono circolare rammenta i Doors più psichedelici ma loro suonano mille volte più veloce. E, poi, i Doors erano senza basso e qui c’è il francese, un vero “mostro” della 4 corde. Il brano scorre che è una bellezza, Burnel canta in modo morbidissimo ma il riff ti si attacca addosso e non ti fa respirare. Gli Stranglers di questo disco non sono più solo di derivazione punk-new wave, sono soprattutto musicisti più maturi e completi che cercano la melodia a modo loro, trasversale. Ascoltate come termina il brano, su basso e synth che si rincorrono. Due giganti! “Dead Los Angeles”, guardate com’è scritto il titolo. Loro con gli americani sono stati sempre brutali e polemici (basta rammentare la splendida “Vietnamerica”). Ebbene questo brano è cantato con voce inflessibile da Cornwell, qui il ritmo è follemente masturbatorio! non molla un millimetro. Parte il basso metronomico di Burnel, l’organo è in sottofondo. Poi, il pezzo si apre, con un “solo” di organo da applausi mentre il basso arranca asmatico. Bellissima. “Ice” si apre sull’organo poi entra il basso sulla tirata della chitarra ed il rullare della batteria. Diventa un pezzo “sintetico” nel quale l’elettronica e la voce di Burnel creano uno scenario industrial-apocalittico serratissimo. “Baroque Bordello” è ancora un gioiello inestimabile. Apertura con l’Hammond organ di Greenfield mentre il basso arpeggia in una spirale verso il profondo ineluttabile suono che diventa quasi sincopato, la chitarra e l’organo alimentano una melodia sghemba ed irresistibile. Cornwell pare cantare proprio da un altro posto. STREPITOSA! Si va avanti con questa melodia cantabile ma dispari e strana. Ma come facevano? Il “solo” di tastiere di Greenfield manda al tappeto. L’elettricità vola altissima qui. “Nuclear device” che si apre sui “fantasmini” del synth, cantata da Cornwell, durissimo, è un punk-elettronico se si può dire così, per una volta. Ed è bella pure lei. Coretti e raddoppi di voce in un pezzo che è musicale come pochi altri. Il pericolo della bomba atomica incombeva: c’era Breznev e stava per arrivare il mitico Ronald Reagan… e loro avevano fiutato l’aria. Ma il 1979 è stato pure l’anno della fuga dell’ex Scià di Persia ed il ritorno del fondamentalista Khomeini da Parigi ( ma guarda un po’!) e gli Stranglers lo celebrano a modo loro con l’ineffabile “Shah shah A go go”. Parte una voce araba che oggi fa rabbrividire molto più di allora, su un “fumo” di synth, musica mediorientale che poi, diventa Stranglers al 100%, con basso e synth protagonisti assoluti. Cantato durissimo, virile, testosteronico, da parte di Burnel. Musica affetta da sincopi continue ed inarrestabili e riff che non si scorda più, appena sentito la prima volta. Vocine sintetiche lo trapassano con le tastiere in continuazione e ne fanno scempio. Presa per i fondelli incredibile di quegli eventi che si sarebbero dimostrati una sventura, anni dopo. “Don’t bring Harry”, cantata morbida da Burnel, è una ballad pianistica con un piano scintillante (Greenfield) che pare completamente avulsa dal disco ma che è definibile con una sola parola: SPLENDIDA! Composizione di classe autentica. Bello il solo di Cornwell, per un attimo, alla chitarra. Melodia aulica che non si scorda. Strepitosa. L’Inghilterra in quegli anni dominava davvero in musica, per fortuna. Oggi, solo macerie. Ringrazio Dio per il mio destino di grande appassionato e critico musicale. “Duchess” fu il singolo di lancio di successo del disco ed è brano da singolo. Canta Cornwell ed il suono è insistito nei coretti e nelle tastiere. Immediatamente assimilabile ha una melodia tipicamente “albionica” ma, loro non sarebbero mai somigliati ai Beatles, tanto per dire! Grande il “solo” di Greenfield mentre impazza il basso di Burnel. “Meninblack”, che sarebbe stato il titolo del disco successivo, parla degli uomini in nero che perseguitavano per conto dell’amministrazione americana tutti coloro che sostenevano di aver visto o avuto contatti con gli alieni. La voce, filtrata, è melliflua tanto quella di Hal, il cervello elettronico del film “2001: Odissea nello spazio” di Kubrick. L’effetto è straniante, oserei dire terrificante. Sembra di andare incontro ad entità che ti divoreranno. Con tanto di risatine agghiaccianti. “Genetix”, infine, sulle sperimentazioni pericolosissime della genetica, chiude il disco. Parte con il rullare della batteria ed una chitarra nevrastenica. Se vogliamo, è l’unico pezzo “normale” di un capolavoro altissimo ed indimenticabile. Pure questo nei miei 20 preferiti.

THE STRANGLERS = QUANDO L’INGHILTERRA DOMINAVA SUL ROCK.

The raven Book Cover The raven
The Stranglers
Punk rock
1979