Nato a Viterbo il 25 ottobre 1991, laureato in  lettere (Università della Tuscia) e appassionato di musica (jazz, prog, elettronica).

Tre studenti della Rhode Island School Of Design riescono a consacrare definitivamente la fase new wave e non solo. L’estro dei Talking Heads è quello di mischiare la filosofia Patti Smithiana di “Horses” con gli echi afro funky che qualcuno già stava esplicando nella dimensione post punk. La band è formata da David Byrne (chitarra e voce), Chris Frantz (batteria), Tina Weymouth (basso) e Jerry Harrison (chitarrista che già militava nei bravissimi Modern Lovers…quelli di “Roadrunner” e “Pablo Picasso”). L’esordio, chiamato “77”, è sicuramente un bel colpo con quella “Psycho Killer”. Ma si sa, quando un pezzo lo trovi continuamente in pubblicità, in servizi televisivi e in radio può andarti in antipatia. Infatti quel disco non dispone solo di quel tormentone, ma presenta prontamente alcuni stilemi che saranno preziosissimi per i successivi sviluppi sonori del combo americano. Per esempio, non si può rimanere impassibili nella pseudo ironia provocatoria dei testi di “Don’t Worry About The Government”, “Tentative Decisions”, “Book I Read” e “New Feeling”. L’anno dopo realizzano “More Songs About Buildings And Food”, album dove trionfa principalmente il concetto di ritmo. Il funky, ormai, si sposa inevitabilmente con la robotica futuristica che già incombeva nei progetti Kraftwerk, industrial e soci. Gli anni Settanta vengono chiusi magistralmente nel 1979 con il tribale “Fear Of Music”, lavoro che ospita perfino Fripp in “I Zimbra” e che trasforma assolutamente il concetto di musica. All’epoca i guru partiti dal prog e dal glam, come Eno, Peter Gabriel e Hammill, sono coloro che si fanno portavoce di questa “nuova ondata” artistica che viene subito arricchita dai nuovi talenti come i Talking. Il repertorio della band, comunque, è variegato, come possiamo notare con la ballata “Heaven”, il funky pre “Speaking Tongues” di “Life During Wartime” e i claustrofobici siparietti di “Drugs”, “Memories Can’t Wait” e “Animals”. Il 1980 non può essere aperto in maniera migliore: ecco l’avvento di “Remain In Light”. I Talking aggiungono il saggio sperimentatore Adrian Belew, presente già con Frank Zappa, aumentando così la spettacolarità sonora specialmente degli assoli. Il post punk ribelle tra qualche anno arriva al tramonto e già si sente il bisogno di esplicare altre sonorità. Per esempio, ci sono i Japan e la loro new wave elegante arricchita da sapori orientali. I King Crimson di “Discipline”, album uscito l’anno successivo di “Remain In Light” con la presenza di Adrian Belew appunto, è un altro testamento dell’aria che si respira in questa eclettica decade. “Remain In Light” ha come produttore il divino Brian Eno, tanto immenso da trovarlo perfino nell’epocale album “No New York” (raccolta no wave con Mars, DNA, Teenage & The Jerks e James Chance & The Contortions). “Born Under Punches” è l’archetipo dell’avvincente “rock etnico” concepito da Byrne e soci: declamare concitato sotto un tappeto serrato di basso e chitarre aliene. Proprio quest’ultime sono l’elemento che risalta maggiormente, grazie a quel suono plastico, sintetico, così particolare da essere irresistibile per l’orecchio e per la mente. Uno dei brani più innovativi degli Ottanta senza dubbio. “Crosseyed And Painless” è un apparente statico saggio afro funky caratterizzato dalle fluide linee di Tina. Un’altra estrema esplorazione nella giungla schizoide di “Remain In Light”. Mentre continuiamo a camminare tra gli alberi e l’erba alta ci imbattiamo improvvisamente nella danza zulù di “The Great Curve”. Sono pochi i brani che possiedono un movimento tale. Non si sa se è il basso a rincorrere le botte decise di chitarra o viceversa. Di certo il corpo viene stravolto dall’infinito propagarsi delle vorticose linee vocali, tanto da far esplodere un mondo di inesplorate armonie. L’assolo killer di Belew è la ciliegina sulla torta…altro che heavy metal! “Once In A Lifetime” è il futuristico hit di turno che non necessita di presentazioni, bensì non si avvalga del valore dei primi tre brani. Infine l’esotica “Houses In Motion” è condita dalla tromba indigena di Jon Hassell, gli armonici cristallini di “Seen And Not Seen” arrestano il ritmo a favore della dilatazione del suono e “Listening Wind” anticipa il deserto oscuro del quarto lavoro di Gabriel. A chiudere l’opera è l’acida visione di “The Overload”, tanto per far capire alle frange industrial che non ci sono soltanto loro a simboleggiare l’alienazione umana. Dopo un lavoro del genere è difficile pensare a qualcosa di altrettanto eccelso. In questi casi compare sempre un lavoro di transizione, destinato a spegnere la luce della band. I Talking Heads sono gente saggia però, e continuano a sfornare album del tutto godibili come “Speaking Tongues”, cesellato dall’evergreen di “This Must Be The Place”. Da ricordare, soprattutto, è il magistrale lavoro “My Life In The Bush Of Ghosts” del 1981, dove Eno e Byrne danno sfogo alle loro idee sempre nel campo funky etnico.

Remain in Light Book Cover Remain in Light
Talking Heads
Rock
1980