Graziella Enna, nata nel 1969 a Oristano, laureata in lettere classiche presso l’Universita degli studi di Cagliari, insegnante di lettere.

La Cripta dei Cappuccini: decadimento e putrefazione

Di Graziella Enna

“La morte incrociava già le sue mani ossute sopra i calici dai quali bevevamo”.

Questa frase, può a ben diritto costituire l’ epigrafe di questo intenso romanzo di Joseph Roth, essa viene ripetuta più volte, suona come una funesta profezia o un monito sinistro. Leggere tale opera equivale ad immergersi in un mondo di cui si avverte la percezione di un crollo epocale e di un sentimento diffuso di decadimento e putrefazione. Personaggi e ambientazioni concorrono a delineare il disfattismo, trasudano l’ imminente tracollo di valori a cui alcuni si abbandonano ineluttabilmente, altri invece ricercando nuove possibilità. Le vicende narrate  riflettono la delusione e l’angoscia di Roth che assiste impotente alla rovina di quell’immenso coacervo di popoli ed etnie differenti che era stato l’impero austroungarico, dopo lo  sconvolgimento post bellico,  a cui poi si aggiunge un altro evento deleterio, l’ascesa del nazismo.

Protagonista del romanzo è Francesco Ferdinando Trotta, rampollo di una casata di origini slovene, che per caso aveva guadagnato un titolo nobiliare. L’imperatore Francesco Giuseppe l’aveva infatti concesso ad un antenato che lo aveva salvato nella battaglia di Solferino, (come è narrato in un altro celebre romanzo di Roth “La marcia di Radetzky”). L’onorificenza così ereditata fa divenire i Trotta umili servitori  dell’imperatore e nuovi esponenti della nobiltà. Il padre del protagonista però è un ribelle e ha un’idea diversa di impero perciò fugge in America dove si arricchisce. Rimasto erede del suddetto titolo e del denaro accumulato dal padre chimico, Francesco Ferdinando conduce una vita debosciata nelle mollezze, non vuole impegnarsi in nessuna attività, tantomeno in vicende amorose. È un eterno studente ignavo, trascorre le sue notti a gozzovigliare con i giovani aristocratici viennesi, che, pur nella loro inerzia, hanno il presentimento che qualcosa stia per finire, si avvedono che la monarchia e il vecchio imperatore non rappresentino più un potere solido ma un gigante con i piedi d’argilla pronto a disgregarsi. La loro vita dissoluta sembra avere lo scopo di esorcizzare la catastrofe imminente contrapponendovi uno slancio vitalistico dato dall’esuberanza giovanile. Un evento inatteso cambia la vita del protagonista, quando un cugino di modeste condizioni, Joseph Branco, giunge a casa sua per riscuotere una somma che il padre di Francesco gli ha lasciato in eredità all’insaputa di tutti. Il cugino, descritto “nero, meridionale, allegro e sano”,  vive in Slovenia, a Sipolye,  lavora come contadino d’estate e  caldarrostaio d’inverno ed è esattamente l’opposto del giovane Trotta che invece è biondo, pallido e rammollito dalle notti insonni. Il modesto cugino rappresenta per lui un essere pittoresco e bizzarro che lo attrae e lo riporta ai luoghi d’origine e alla lingua di suo padre. Trotta lo presenta ai suoi amici, lo esibisce in modo contradditorio con un misto di ironia e un fondo di ammirazione, facendo emergere inevitabilmente le differenze di rango sociale. Ben presto il cugino parte e viene dimenticato. Il giovane Trotta si trova invischiato in un sentimento nuovo  dal momento in cui si  innamora della sorella di un suo amico. Cerca in ogni modo di occultarlo ai gioviali compagni  perché l’amore non è annoverato tra le priorità della loro vita e il matrimonio è considerato come una malattia perniciosa  da evitare per quanto possibile, anche se, prima o poi, colpisce tutti. Inizia a vivere un’esistenza scissa e ambivalente, vagheggia le dolcezze del sentimento, ammira le innumerevoli  qualità della giovane Elisabeth ma teme lo scherno e il dileggio dei suoi sodali. Vorrebbe trovare sollievo confidandosi con sua madre, ma si accorge dell’incolmabile distanza dovuta alla sua freddezza derivante dal ruolo di austera e tradizionalista nobildonna. Ella conduce una vita cristallizzata in un conformismo maniacale, che si palesa persino nei gesti più prosaici fatti di rituali ripetitivi volti a  mantenere inalterati i privilegi di una classe sociale che avverte e paventa lo sfacelo aleggiante. Anche il rapporto con la religione è fonte di dissidi tra madre e figlio, lei è un’assidua praticante, Trotta e i suoi amici non frequentano la chiesa, la considerano un retaggio della tradizione a cui loro non si sentono legati e palesano un rifiuto puerile dettato da spocchiosa baldanza. Un altro avvenimento scombussola la vita di Trotta, l’incontro con l’ebreo Manes Reisiger che proviene dalla Galizia, terra dell’Europa centrale fagocitata nell’orbita dell’ impero austroungarico. Il punto di vista del protagonista ci fa capire quale fosse la percezione degli ebrei nella società aristocratica viennese: solo i piccoli borghesi, gli artigiani, i portinai  nutrivano  astio e insofferenza per loro, perciò la nobiltà disdegnava persino di provare pregiudizi ritenuti prerogativa esclusiva delle suddette classi subalterne. Manes Reisiger è un vetturino, amico del cugino Joseph Branco,  che egli manda da Trotta. L’uomo si reca a casa del giovane aristocratico con una lettera di presentazione per chiedere una buona parola presso personaggi influenti al fine di far ammettere suo figlio al conservatorio. Questo personaggio, come il cugino Branco, è fuori dagli schemi dell’alta società viennese ma determina cambiamenti importanti nella vita del giovane. Nell’estate del 1914, Trotta, invitato  per riconoscenza da Manes Reisiger,  si reca nella cittadina di Zlotogrod, in Galizia, per visitare lui e chiede a  suo cugino Branco di raggiungerlo dalla Slovenia. Qui conosce un mondo totalmente diverso da quello dorato e stereotipato in cui è sempre vissuto, scopre la vita umile e semplice dei campi, l’alacrità dei suoi abitanti nel lavoro e nelle attività manuali,  il loro amore per gli animali, i paesaggi naturali forieri di pace e bellezza che dominano su villaggi e piccole città. Anche gli aspetti della natura meno piacevoli come insetti e paludi, sembrano acquistare un’aura di sacralità. Trotta intesse un rapporto di amicizia alla pari anche se lui è un  nobile e loro sono  un vetturino ebreo e un caldarrostaio, dimentica i suoi frivoli e scioperati amici e sperimenta per la prima volta nella sua vita una relazione autentica. All’improvviso  giunge il proclama dell’imperatore che annuncia lo scoppio della Prima Guerra Mondiale: Trotta ha solo due pensieri: la possibile morte in guerra e la donna che ama. Sposa infatti Elisabeth  prima della partenza per la guerra senza però trascorrere con lei neppure il giorno del matrimonio,  suscitando l’immediato distacco della ragazza. Quando giunge il momento di arruolarsi si rende conto che i suoi commilitoni,  i giovani viennesi infiacchiti dagli agi e guastati dall’ozio gli suscitano un senso di nausea, abituati nelle loro lussuose case del Ring viennese e privi di qualunque abilità e motivazione. Preferisce di gran lunga Manes e Joseph due umili rappresentanti di migliaia di sudditi dell’impero austroungarico che conducono una vita che sfiora l’indigenza e pagano le tasse per ingrassare e dare lustro a pochi eletti. Questa e’  la reale popolazione dell’impero, così come è enumerato in queste righe:

“Gli zigani della puszta, gli huculi subcarpatici, i vetturini ebrei della Galizia, i miei parenti stessi, i caldarrostai sloveni di Sipolje, i piantatori di tabacco svevi della Bácska, gli allevatori di cavalli della steppa, i sibersna osmanici, quelli della Bosnia-Erzegovina, i mercanti di cavalli della Hanà in Moravia, i tessitori dei Monti Metalliferi, i mugnai e i mercanti di corallo della Podolia, tutti costoro erano i munifici sostentatori dell’Austria; quanto più poveri, tanto più munifici.”

Trotta compie due passi che lo distaccano dalla sua esistenza precedente vacua e sterile: il matrimonio tanto aborrito dagli amici e il passaggio dal prestigioso Ventunesimo reggimento dragoni a cavallo dei debosciati rampolli viennesi al Trentacinquesimo  di fanteria, composto da gente comune, dove militano Manes e Joseph.

“Ma io volevo morire insieme con Joseph Branco, con mio cugino Joseph Branco, il caldarrostaio, e con Manes Reisiger, il vetturino di Zlotogrod, e non con dei ballerini di valzer. Così per la prima volta perdevo la mia prima patria, il Ventunesimo”.

 La guerra si svela ben presto nei suoi aspetti più cupi e il plotone viene fatto prigioniero dai Russi e portato in Siberia, dove diverse occorrenze determinano la  separazione dei tre amici. Trotta rientra a Vienna a fine guerra e subito si accorge che il suo mondo non esiste più, niente è più come prima nonostante le spoglie dell’imperatore nella Cripta dei Cappuccini siano inutilmente sorvegliate da una sentinella e rimangano l’ultimo baluardo dello splendore passato. Ritrova la madre, che, nella sua mentalità ristretta è ancorata agli antichi privilegi ma soprattutto insofferente a ogni novità che tenti di soppiantare il mondo decaduto dell’aristocrazia viennese, a tal punto che fregia di epiteti ingiuriosi molte persone che la circondano viste da lei come potenziali sovversivi, salvo poi contraddirsi platealmente nel  nutrire simpatia e ammirazione per un avvocato ebreo. Trotta apprende dalla madre che sua moglie, si dedica attività artistiche descritte come volgari ed eccentriche, creando oggetti e gioielli di foggia etnica in compagnia di una donna, a suo dire, mascolina e traviata che la influenza negativamente. La moglie Elisabeth ha in realtà percepito i cambiamenti,  reagisce diventando imprenditrice di se stessa, si dimostra  aperta a nuove istanze e  pronta a tutto pur di realizzare le sue più riposte aspirazioni per quanto possano apparire stravaganti. Negli occhi della moglie e della sua anticonformista  amica è evidente un atteggiamento  di commiserazione nei confronti di Trotta, considerato il discendente da una progenie misera, una razza ormai estinta. Dopo gli anni della guerra e della prigionia, egli acquista la consapevolezza di non essere in grado di esercitare nessuna professione, visto che non ha mai avuto una,  di aver perso i suoi amici Manes e Joseph e soprattutto comprende che il suo mondo, la sua patria, gli risultano estranei e nuovi. In più il suo matrimonio è inesistente e potrebbe anche essere annullato, la società è cambiata, popolata da  affaristi, speculatori, incombe la  svalutazione monetaria. Nonostante ciò Trotta ed Elisabeth tentano di ricostruire il loro matrimonio e di avviare un’attività nuova, dopo il fallimento dello studio artistico,  trasformando la casa di famiglia in un pensionato a pigione. Trotta diventa padre di un bimbo e tutto sembra  procedere in un’apparente normalità, benché le difficoltà economiche non manchino. Ricompaiono il cugino Joseph, che continua la sua esistenza precedente come se nulla fosse accaduto, e Manes la cui vita ha subito molti e gravi cambiamenti. Altre perdite attendono però Trotta che gli sconvolgono l’esistenza e terminano il processo di  annientamento  totale del suo io e del suo retroterra culturale e ideologico. Si sente perciò totalmente escluso, un morto tra i vivi, anzi, dopo la fine della guerra,  un vivo per errore.

“Non mi consideravo forse da tempo ormai, da quando ero tornato dalla guerra, uno che era vivo per errore? Non mi ero forse abituato ormai da lungo tempo  a  osservare tutti gli avvenimenti che i giornali definiscono ‘storici’ con lo sguardo spassionato di uno che non appartiene più a      questo mondo?”

Un altro dramma si delinea all’orizzonte: l’Austria non è più un impero, non è più una nazione ma un territorio fagocitato nell’orbita della Germania. Trotta si aggira in una Vienna notturna spettrale, vuota, desolata, i locali di un tempo sono ormai decaduti, l’atmosfera asfittica è gravata da una cappa di oppressione che incombe inesorabile, lui e pochi amici compiangono la patria perduta con toni patetici. Una sera, mentre si trova in un locale con gli amici  appare improvvisamente un uomo abbigliato con una divisa mai vista che annuncia la caduta del governo e l’avvento del nuovo governo popolare tedesco. Gli amici, alla notizia, fuggono atterriti.

“Un attimo dopo restai, anzi, mi trovai solo. Mi trovai effettivamente solo e per un  secondo  fu come se da molto tempo io fossi andato effettivamente in cerca di me stesso e mi fossi trovato, con sorpresa, solo”

Non resta al protagonista che lasciarsi vivere, osservare il mondo con atteggiamento straniato e allucinato mentre vive in una casa vista come un tomba.  Come ultima consolazione ed estremo appiglio non può far altro  che recarsi alla “Cripta dei Capuccini” dove giacciono i suoi imperatori in arche di pietra, materiale che sembra rivestire il valore simbolico di un solido, unico e irremovibile punto fermo di un’epoca tramontata per sempre. Trotta non è più nessuno, il suo titolo nobiliare non  gli serve più, ora che nulla esiste più per lui eccetto  i sarcofagi della Cripta che sono l’unico e indissolubile legame col passato.

La Cripta dei Cappuccini Book Cover La Cripta dei Cappuccini
Gli Adelphi
Joseph Roth. Trad. di Laura Terreni
Letteratura
Adelphi
2007
196 p., brossura