Brunella Sacchetti nasce ad Avellino; frequenta il Liceo Classico cittadino e poi l’Università degli studi di Napoli ”Federico II” presso la facoltà di Lettere e Filosofia, dove si laurea nel 1975 in Filosofia con una tesi sul “Pragmatismo di Giovanni Vailati”, esponente del circolo di Peano; orienta la sua attività didattica verso i Licei Scientifici e poi Classici, nei quali insegna Italiano e Latino. Nell’ambito delle attività scolastiche, si è attivata a lungo a promuovere negli studenti una formazione aperta alla comprensione del Teatro Classico e Contemporaneo; in particolare ha ottenuto di poter mettere in scena a Siracusa, nell’ambito delle iniziative dell’INDA ( Istituto Nazionale del Dramma Antico) un paio di adattamenti teatrali, da lei curati: uno sull’Alcesti di Euripide con innesti dell ‘Alcesti di Marguerite Yourcenar, un altro su “La morte della Pizia”di Friedrich Dürrenmatt. Ha curato ricerche archeologiche legate al territorio irpino, pubblicando “Quaderni di Archeologia”. Gli interessi più forti si sono andati, poi, concentrando sulla poesia contemporanea; in particolare si interessa a poeti meridionali e irpini a cui ha dedicato diversi contributi, sia pubblicati in antologie specifiche, sia esplicitati in convegni e conferenze. Attualmente sta curando per “Lottavo” una rubrica di “Cinema e Storia”, rivolta al decennio del ’68.

L’Apocalisse di Francis Ford Coppola

“ Il quarto Angelo suonò la tromba: e fu colpita la terza parte del sole, la terza parte delle stelle, sicché si oscurarono un terzo di esse, e il giorno perdette un terzo del suo splendore, come pure la notte.”
( Libro dell’Apocalisse, 8,1-9,17)

Può risultare poco comprensibile l’atteggiamento di chi, pur amando e osannando un film, si rifiuti di rivederlo…ma è quello che mi succede quando penso a “Apocalypse now”, di Francis Ford Coppola, 1979; un capolavoro indiscusso, un film irrinunciabile, da conoscere assolutamente, da vedere, ma terribile e “orrorifico”.
Già, l’orrore… è ciò che sussurra Kurtz mentre muore:“In un bisbiglio gridò verso qualche immagine, qualche visione; due volte lanciò un grido, un grido che non era più di un sospiro: -Che orrore! Che orrore!”
Kurtz è il nesso centrale dell’opera, non il protagonista, ma il “bersaglio”, il punto focale del film di Coppola e del romanzo che lo ha largamente ispirato, “Cuore di tenebra” di Joseph Conrand, uscito nel 1899, da cui è tratta la citazione sopra riportata.
E L’Orrore è, infatti, il vero tema del film, e del libro di Conrad.
Difficile, però, definire l’Orrore; dal punto di vista etimologico l’horror latino ha a che vedere con qualcosa che si avverte ruvido e scabro, è un accapponarsi della pelle, quindi un provare terrore; l’orrido è anche un abisso, un vuoto tenebroso; c’è una radice sanscrita, “hars” che rinvia a “irsuto”, come irsuto è il pelo degli animali spaventati. Inoltre è parola onomatopeica, che fa sentire già sul piano analogico, e dunque intuitivamente sensoriale, il senso di un precipizio lungo un vacuum, un buco nero dell’esistenza umana, un corridoio infernale nel quale la civiltà, la società civile, il congresso dell’umana solidarietà non sono che parole senza alcun significato.

È in quest’abisso che precipita Kurtz, mentre risuonano, come in apertura del film, le note di “The End” dei Doors, la famosa cover scritta da Jim Morrison, opportunamente modificata da Coppola per mezzo del suono del motore degli elicotteri statunitensi; il brano, famoso per il suo testo influenzato dalle letture nietzschiane e junghiane di Morrison, esplicita a più riprese la “fine” dell’universo familiare e civile e, per tanto, costituisce la cornice legittima di un’opera che si occupa solo in superficie della guerra, laddove il tema centrale è, appunto, la fine del sogno dell’umano convivere.
Parliamo, dunque, di quest’orrore…di fatto si tratta di un’emozione talmente forte che riesce a trasbordare oltre i confini della pellicola; non è un paradosso alla ”poltergeist”, ma un’evidenza palpabile se si pensa che Coppola sfiorò il suicidio per ben tre volte durante le lunghissime riprese; inoltre alcuni attori soffrirono per abusi di droga e crisi nervose. Martin Sheen venne colpito da un infarto e quindi si fece ricorso spesso ad una controfigura; alcuni tifoni (!) distrussero il set più volte; si ebbero problemi con le autorità locali e problemi inenarrabili con Marlon Brando, alias Colonnello Kurtz, che non voleva essere ripreso, se non in penombra, per non mostrare la sua obesità e, al contempo, pretese un budget da capogiro ( un milione di dollari a settimana!!!); per altro non riusciva ad entrare inizialmente nel personaggio, finché Coppola non gli lesse per intero il romanzo di Conrad, isolandolo dagli altri attori e operatori, su di un’imbarcazione , come se si dovessero addentrare da soli nelle pieghe della storia; inoltre Brando era tormentato dall’uso della cocaina e non riusciva a memorizzare le battute che Coppola finì col suggerirgli per mezzo di un auricolare; eppure ne derivò un’interpretazione indimenticabile e magistrale, che è parte essenziale del successo del film (incassò oltre 100 milioni di dollari). La pellicola, infatti, ricevette 8 nomination agli Oscar: miglior film, regia, attore non protagonista (Robert Duvall), sceneggiatura non originale, fotografia (vinto), montaggio, scenografia e sonoro (vinto). Vinse inoltre la Palma d’oro al Festival di Cannes ex aequo con Il tamburo di latta. Vinse solo due Oscar sia per la presenza di “Kramer contro Kramer”, interpretato da Dustin Hoffman e Meryl Streep, sia per i cinque oscar vinti dal “Cacciatore” l’anno precedente, di cui il film di Coppola sembrava riprendere il contenuto.

Dicevamo che il film si apre con il suono di un elicottero da guerra assemblato al brano dei Doors; quindi la vicenda si snoda con un antefatto che vede il Capitano Benjamin Willard (Marlow, nel romanzo di Conrand, interpretato da Martin Sheen) incaricato di raggiungere il confine vietnamita-cambogiano, dove un Colonnello dei Berretti Verdi aveva disertato e costituito una formazione di guerrieri nativi ai suoi ordini; si tratta, appunto, di Kurtz che, estratto come personaggio in maniera pressoché filologica dal romanzo di Conrand, svolge questa funzione di elemento centripeto della Storia: Willard deve raggiungerlo ed ucciderlo, attraversando un fiume, la giungla, la guerra.
Il film si dipana, così, lungo il percorso di un’inarrestabile caccia all’uomo, percorso punteggiato da episodi strutturati quasi concentricamente: il gruppo che naviga sul fiume Nung è così composto: il capitano dell’imbarcazione, Philips, da subito ostile a Willard, un surfer californiano, Lance, figura che incarna l‘antifrastica e spensierata gioventù stile Beach Boys, e ancora un giovane chiamato Clean, nome di un famoso detersivo americano, quello che in Italia ha il volto di Mastro Lindo, e un aspirante Chef, Hicks, interpretato da Frederic Forrest, che diventerà poi un attore icona di Coppola; questo gruppo di persone che nella vita civile erano dei “normali”, capaci ancora di aspirare ai tipici miti della “middle class” americana, viene investito di un compito quale quello di seguire Willard nella missione incubo affidatagli, ma anche di portare la distruzione tra chi aspirava, a sua volta, nella sua terra, legittimamente, a una vita altrettanto normale; si susseguono episodi raccapriccianti: un attacco ad un villaggio accompagnato , com’è noto, dalle note della “Cavalcata delle Valchirie” di Richard Wagner; il gruppo dei naviganti aveva, intanto, incontrato il comandante delle truppe aeree della zona, Bill Kilgore, interpretato da Robert Duvall, l’indimenticabile “consigliori” del Padrino. Kilgore è una vera macchina da guerra, follia omicida pura, è lui, dopo la distruzione del villaggio, che sceglie il brano wagneriano per enfatizzare il terrore delle vittime ed è lui che pronuncia la famosa frase: “Mi piace l’odore del napalm al mattino. Una volta abbiamo bombardato una collina, per dodici ore, e finita l’azione siamo andati a vedere. Non c’era più neanche l’ombra di quegli sporchi bastardi. Ma quell’odore… sai quell’odore di benzina? Tutto intorno. Profumava come… come di vittoria.”

E mentre Kilgore si diletta con il surf di Lance , Willard e Chef, che era sceso dall’imbarcazione per raccoglier frutti di mango, si ritrovano a fronteggiare una tigre e ad ucciderla; non è l’unico animale che compare tra le vittime di questa inarrestabile ecatombe: c’è un cucciolo di cane in una cesta, protetto da una giovane vietnamita su di una Sampan di commercianti che vengono trucidati, c’è un vitello che, pare, sia stato macellato davvero …il mondo animale è un’ evidente rappresentazione della fine di ogni possibile patto di sopravvivenza di ogni possibile scheggia di umanità, mentre il gruppo si avvicina alla meta, al villaggio dove regna Kurtz con un’aura di sacerdote pagano.

Durante il viaggio Willard si era studiato attraverso dati e documenti la figura di Kurtz per capire cosa gli veniva imputato; si intravedono foto di film a cui Brando aveva partecipato da giovane , come “I giovani leoni”, si intravede un passato da perfetto ufficiale delle forze armate americane; Willard fa fatica, dunque, a capire: è necessario l’incontro nella semioscurità “tenebrosa”, dove Kurtz gli appare in tutta la sua pericolosa dimensione esistenziale; non c’è in lui qualcosa di preciso per definirlo: è una sorta di divinità del male dove confluiscono umanità demenziale, bestialità e uno strano sentore di vaticinio sacrale. L’episodio ricordato da Kurtz durante il loro lucido eppur farneticante colloquio, cioè quello dei bambini vietnamiti vaccinati dagli americani e a cui poi vengono amputate le braccine dai vietcong, è solo il più allucinante degli argomenti utilizzati dal Colonnello. L’incontro tra i due si fa quasi immediatamente esplicito: “Tu hai il diritto di uccidermi, ma non hai il diritto di giudicarmi”, dice Kurtz a Willard, mentre i sopravvissuti del gruppo vengono a uno a uno trucidati, aumentando il numero dei cadaveri che asfaltano il sentiero del villaggio.
Hai il diritto di uccidermi ?!?
Esiste tale “diritto”?
La guerra del Vietnam pare che lo contemplasse…
“Abbiamo un problema: rendere credibile la nostra potenza. Il Vietnam è il posto giusto per dimostrarlo.”
E’ quanto dice già nel 1961 John Kennedy al direttore del New York Times. Gli Americani, dunque, avevano un problema di immagine e di immagine del loro potere nel mondo e vanno in Vietnam a dare prova della loro forza; vanno in una lontana penisola dell’estremo oriente, dove è ancora in corso una lunga questione coloniale legata alle aspettative francesi; trasformano quell’annoso e antico conflitto, che ha radici ottocentesche, in una delle prime e più atroci “guerre moderne”, diventa una questione di principio ( un diritto della loro lesa maestà) sconfiggere le forze insurrezionali filo-comuniste che spingevano in direzione indipendentistica, sostenute dai vietnamiti del nord e, quindi, da HO Chi Min; nel ’67 era già in fortissima escalation l’intervento americano: più di mezzo milione di giovani, soprattutto neri e latini, perché i giovani di buona famiglia riuscivano in vari modi ad evitare l’arruolamento,andarono a morire in Vietnam. Ricordiamo, in questo senso, la straordinaria performance di Jimi Hendrix a Woodstock, 1969:l’inno americano”Stelle e strisce” suonato in forma acida e dissacrante

Gli arruolati stessi avevano protestato quando, il 15 ottobre 1965, l’organizzazione studentesca “Comitato di coordinamento nazionale per la fine della guerra in Vietnam” si espresse in una grandiosa manifestazione pubblica negli Stati Uniti in cui vennero bruciate le cartoline di leva. La protesta divampò dappertutto, l’ Europa divenne il cardine delle manifestazioni studentesche e giovanili del ’68; crebbe un senso di sfiducia verso tutta la civiltà americana che, fino a pochi anni prima era stata esaltata per aver sconfitto il Nazismo: ma una guerra come quella in Vietnam, che si incrudeliva soprattutto contro civili, bambini, donne inermi…una guerra così non poteva che essere una sconfitta comunque, anche se gli americani l’avessero vinta; e non la vinsero! dal ’73 cominciarono a ritirare le truppe, poi, alla caduta di Saigon e all’unificazione dei due Vietnam, dovettero arrendersi ad una delle più cocenti sconfitte della loro storia.

Ma il film di Coppola, per altro già pensato da George Lucas e John Milius nel 1969, e poi, nel corso dei primi anni ’70 , ripensato e assemblato al suo progetto di girare un film su “Cuore di Tenebra”, non è che “accidentalmente” un film sulla Guerra del Vietnam; poteva essere un film sulla Guerra dei Trent’anni ( 1618-1648) sulle guerre fratricide religiose che hanno infestato l’Europa per secoli, sulle guerre romane, persiane…di fatto è la guerra, accompagnata dal volo dei quattro cavalieri dell’Apocalisse, a essere lo strumento perché un film come quello di Coppola giunga a cercare di intendere il “cuore di tenebra” che pulsa negli “umani”. In guerra è , diciamo, più facile che due uomini si affrontino per uccidersi, come se fosse un diritto, secondo le parole di Kurtz… d’altra parte il costante incedere di Willard e dei suoi uomini nelle tenebre (ripetute in forma enfatica e martellante da Conrad nel romanzo) ci sospingono a trovare nei due che si fronteggiano nel finale il senso di tutto il film.

Sono due uomini di guerra, ma in effetti sono un uomo solo che giunge al fondo di se stesso e si guarda, nei limiti di come è possibile guardarsi nel buio delle tenebre in uno specchio : Willard e Kurtz sono l’uomo nella sua nefanda interezza, da un lato il cacciatore del reprobo dissidente, Kurtz, reprobo perché uccide senza rispettare gli ordini dall’alto, uccide e basta, alla ricerca della morte nella sua tragicità epica, dove il dolore e le atrocità sono “vere”; dall’altro, di fronte a lui, il destinato a dare la morte al reprobo, a lavare l’onta della disubbidienza, ma, in realtà a scorgere se stesso nel nodo più fondo della sua coscienza presocratica. È uno scontro eschileo, una tragedia che non si chiude né con la morte di Kurtz né con il rientro di Willard, anche perché con il machete di Willard muoiono entrambi: E’ la “Fine”, di tutto… The End, suonano i Doors, mentre scendono i titoli di coda su uno sfondo nero e tenebroso.
Si scende, ragazzi, siamo al capolinea, siamo giunti nel cuore del cuore del nostro essere.
Coppola chiude così un film terribile, nel quale le nostre coscienze dovrebbero continuare a specchiarsi.
L’apocalisse è “adesso”, Apocalypse is now!