Diploma maturità classica – Laurea in Giurisprudenza in 3 sessioni e mezza – Pratica legale – Pallavolista di successo – Manager bancario e finanziario – Critico musicale dal 1977 – 6 mesi esperienza radio settore rock inglese ed americano – Studi continuativi di criminologia ed antropologia criminale – Lettore instancabile – Amante della letteratura noir e “gialla “ – Spietato con gli insignificanti. Fabio è venuto a mancare nel maggio del 2017. Ma noi abbiamo in archivio molte sue recensioni inedite che abbiamo deciso di pubblicare perché sono davvero parte della storia della critica musicale italiana

E concludiamo l’excursus sulla città di Sheffield (Gran Bretagna), dopo Clock Dva e Cabaret Voltaire con i Comsat Angels del cantante e chitarrista Stephen Fellows, uomo dalla voce che non si dimentica. Ed anche qui, come per i Cabaret Voltaire, andiamo a vedere come esce fuori il nome del quartetto. Comsat Angels è il titolo di un racconto dello scrittore di fantascienza SF J Ballard che, è poi lo stesso autore che aveva ispirato i grandissimi Joy Division nel titolo di un brano del loro capolavoro “Closer”, titolo “Athrocity Exibition”, disco che troverete tra qualche tempo in questa rubrica de “Le Pietre Miliari” del rock e da me già analizzato e “postato”. Dunque, questi signori sono post punk e new wave di quella fine ed ispirata con spruzzate di psichedelia, garantite soprattutto dall’organo lisergico che, spunta da ogni parte lungo tutta la durata del disco.
La sezione ritmiche sfiora la glacialità, tanto è secca, disciplinata ed assolutamente precisa. E’ l’eredità delle cose a fil di lama della città di Sheffield, un posto che non dà requie. Abbiamo momenti in cui il suono ma, soprattutto il basso si muove su cadenze dub, ripercorrendo la strada inarrivabile che Jah Wobble aveva aperto col mitico disco dei PIL “Metal Box”. Abbiamo autentiche frustate di noise rock attrraverso il suono metallico e frusciante della chitarra del leader e delle tastiere e pure quel lirismo e quella maniera un po’ crepuscolare di porgere voce e liriche. Parliamo un attimo della meravigliosa voce di Fellows. La direttiva pop psichedelica della musica nulla potrebbe senza il supporto di questa voce che meritava sicuramente miglior fortuna. Questa malinconia, questa sofferenza di vivere, questo vuoto che vuole essere spinto indietro dai colori violenti pure della copertina del disco e dai flashes impietosi pure sulle cose più scomode. Questo erano i Comsat Angels. “Missing in action” va ad aprire il disco, tutta giocata sul ritmo incalzante impresso dalla batteria e dalle sciabolate gonfie di riverberi della chitarra. Il basso è quello di scuola (Peter Hook) Joy Division, vera bussola delle quattro corde di quegli anni, male di vivere come detto ed anche brividi nostalgici.
“Babe” è il grido di lamento che scava nell’inconscio con quella chitarra spiraliforme che non vuole risalire in superficie e si muove nell’oscurità più insopportabile. Sentite la voce! Disperazione tra glaciali stalattiti di suono. “Indipendence Day” (bellissima) e “Waiting for a miracle” (anch’essa), vedono la prima viaggiare su pennate claustrofobiche della solista, la seconda sul basso “gommoso”, vera radica di liquirizia rock.
Esplosioni di rock psichedelico, alternate con melodie pop con gli occhi che scoppiano di azzurro. Inadeguatezza dell’esistenza e mal di vivere, di questo parlano i testi delle due songs in parola. “Total war” ci lascia inebetiti trattando dell’assoluta incapacità di comunicare le proprie sensazioni. “On the beach” è un manifesto di solitudine sempre più disperata. “Monkey Pilot” finisce con l’alleggerire una tensione divenuta quasi insopportabile per l’ascoltatore casuale. Infine, tra le cose che non si dimenticano come non riservare spazio a “Postcard”, sciabolata di neo psichedelia che non t’aspetti e che ti fa piegare le ginocchia?.
Quest’opera prima dei Comsat Angels fu subito percepita, dalla critica specializzata, come una pietra miliare della post new wave ma, la stessa stampa non fu capace di sorreggere la musica di una band che, per altri due dischi fu ragguardevole e che poi si perse in lontane galassie, nell’oscurità di un’epoca, quella successiva a quegli anni, assolutamente incapace di proporre un milionesimo di quanto gruppi come lo furono i Comsat Angels, seppero mettere sul piatto. Tanto di cappello!

Waitng for a miracle Book Cover Waitng for a miracle
Comsat Angels
Rock
1980