Marcello Chinca ha svolto la professione di avvocato per venti anni sino al suo ritiro nel 2007. Svolge ora l'attività di critico letterario e d'arte. Scrittore

Al largo di Capo de Gata

Di Marcello Chinca

Vedi uno strato basso e nero di nubi estendersi a macchia d’olio, il mare si è alzato, onde sbattono contro il tagliamare, soffia un Mistral ancora blando ma lo senti che sta rinforzando, procedi stivando ogni cosa, controllando che tutto stia stipato e chiuso, che ogni portello degli oblò sia ben avvitato, una tempesta può farti scuffiare, hai già attivato l’autoclave e la pompa di sentina, chiuso il gas della cucina e le prese a mare del wc, tiri fuori la tormentina dall’imbrago, la sistemi a prora sotto al boccaporto che hai lasciato svitato, indossi la tuta cerata, cerchi la cintura di sicurezza, la trovi aggrovigliata ad una cima, la sbrogli, la indossi, al fianco indossi l’astuccio col coltello, ora ti affacci dal tanguccio, la situazione non è precipitata, ma sai che manca poco, metti una bolina larga, controlla sulla carta nautica la variazione di rotta est-sud-est, accendi il motore e lascialo al minimo, dirigiti verso l’albero di maestra, blocca il boma al centro, rilascia ora la drizza della randa già terzarolata, ripiega il resto della vela nella rete di matafioni attorno al boma, stringili bene, il cielo intanto rabbuia velocemente, all’orizzonte incombe in formazione una massa di cumulonembi fluorescenti gialli fieno bordati rossastri, il vento decisamente ha preso a fischiare tra il sartiame, con l’aiuto della cintura di sicurezza arranchi tra le ondate lungo un piano inclinato di trenta gradi verso prora dopo aver rilasciato per metà la drizza del fiocco, d’amblee un’ondata in pieno petto ti stende supino, scarrozzi senza fiato tra i flutti lungo la coperta senza che hai mollato la drizza nella mano sinistra, con l’altra riesci ad aggrapparti alla battagliola ed interrompere la caduta, dopotutto sei legato, uno deve essere rapido ad infilarla la vela già mezza colma di acqua dentro il boccaporto e sfilare al contempo la tormentina, armarla coi bocchettoni lungo la drizza e issarla lungo l’albero maestro, infine precipitarsi ai verricelli di poppa, cazzare la vela quasi a ferro, prendendosi in pieno volto l’ennesima ondata fuori gittata, rimane il pilota automatico e da correggere la rotta, cioè prima che lo scafo si traversi, regola il motore sui duemila giri, andatura bolina larga, l’onda a 45 gradi sul mascone, controlla di nuovo che in coperta stia tutto in ordine, cime, drizze, parabordi, l’ancora che non sbatta nel gavone di poppa, getta l’ancora galleggiante, non si sa mai, chiudi il boccaporto, chiudi le prese a mare e d’acqua, salvo quelle del motore, accendi le luci di posizione e il fanale di segnalazione in coperta, controlla il barometro sceso sotto il rosso, quindi esci per un ultimo compito decisivo: in piedi sulla falchetta sopra lo specchio di poppa, aggrappato con le mani agli stralli, sgomento ad ogni rinnovato abbrivo dello scafo verso il fondo, ad ogni furiosa discesa sul cavo dell’onda, con la cresta roboante sopra la testa, ora a tratti riesci ad urinare sottovento, disceso rialzi la patta, puoi ora arrancare sottocoperta, toglierti tuta ed abiti seduto sul divano della dinette, asciugarti e cambiarti, sorbirti un caffè istantaneo e una cicca, la barca nonostante la velatura essenziale fila sull’acqua che è una meraviglia, la puoi udire scorrere sull’acqua senza rollare, avanzare col tagliamare nel cavo dell’onda implacabile, rabbrividisci ogni volta ti giunge lo scuotimento dell’albero, lo schianto dello scafo, l’attrito discontinuo si rileva un sibilo ferroso come di artiglieria, eppure ondate improvvise e raffiche la fanno inclinare paurosamente, scarocciare, inclinarsi, vibrare sinistra nell’ossatura in acciaio dello scafo, col frangente che spazza l’intera coperta in uno scroscio rabbioso e plateale, ogni immersione ha dell’inquietante, non sai se stai traversando, se l’onda successiva farà ribaltare lo scafo, la barca fila come un traghetto al massimo della potenza, tra i 20 e i 25 con punte di 30 nodi, a meno che non sia appunto frenata da queste immersioni, meglio mettersi ai comandi, sottocoperta c’e un secondo timone idraulico, accendi Satellitare, Vhr, radar, ecoscandaglio, avvisi la Guardia Costiera della tua attuale posizione, latitudine longitudine, non si sa mai, disattiva il pilota automatico, meno male che prima di partire hai revisionato il battello di salvataggio ora fissato in coperta a prua via dell’albero, chiudi definitamente il tanguccio, sai però che non c’è nulla di meglio della vista diretta all’esterno per cui sai già che lo scrupolo non ti lascerà in pace e dovrai uscire, precauzione che avevi adottato da quando prima dell’alba, un anno prima sulla rotta verso Ajaccio, senza alcuna segnalazione del radar, si trovò in perfetta rotta di collisione con una petroliera, il muro nero abnorme della navata gli sfilò davanti la prua a mezzo miglio, da allora non si era più fidato della sola elettronica, doveva verificare dal ponte, lo stato della vela, l’eventuale traffico, per ora blindati dentro, riscaldati con la stufa elettrica, siediti, togliti la giacca, traccia la nuova rotta sulla carta, verifica declinazione e deviazione magnetica, il grado di scaroccio presunto, fai il punto nave, con la ruota del timone correggi la bolina, la stringi di qualche grado, con ciò inclini la barca quasi a 35 gradi, ora pare un cavallo Mustang che corra libero a perdifiato, a babordo il tramonto si colora plumbeo, rosso scuro, fucsia, ocra, al notiziario danno tempesta sopra Cabo de Gata, anzi un vero avviso di burrasca, previsione: un Forza otto in peggioramento. Lui e’ pronto! Perdio, se era pronto!

L’immagine di copertina è Mare in burrasca, di Pietro Dell’Aversana. Foto presa da artlynow.com