Luca Remigio Piccardo, ha 44 anni e vive in una frazione al limite boschivo in provincia di Alessandria. Sposato con Carolina ha una figlia di 11 che si chiama Nora. Disilluso e stritolato dal diabolico ingranaggio dell'editoria a doppio binario, comunque scrive

L’autunno umido

Di Luca Piccardo

Durante quei giorni insoliti, subito dopo aver appreso le nuove disposizioni elencate dal governo e successivamente impartite al popolo  con l’ennesimo decreto ministeriale – che come sempre si contorceva su se stesso rinnegando  tutto ciò che  aveva propinato fino a poche ore prima riguardo le norme di sicurezza e di igiene per contrastare la diffusione del virus – mentre camminavo a testa bassa lungo l’argine del fossato di confine distrettuale percepivo,  passo dopo passo,  di cadere senza scampo nella mia  ormai familiare  spirale di inconcludenti considerazioni metafisiche. Come facevo da varie settimane, verso sera, e nell’ultimo periodo regolarmente anche al mattino intorno alle sette e quindici, mi stavo recando per motivi di studio alla  Voltagius Pinacotech, dove, grazie alla perfetta simbologia offerta dalle condizioni naturali e paesaggistiche presenti appunto in tale luogo (sia all’interno che all’esterno), amavo crogiolarmi in perfetta solitudine, lasciandomi avvolgere dalle profonde suggestioni che da esso scaturivano. Credevo pertanto di essere nuovamente riuscito, dopo molti mesi, a passare – per quanto riguardava la mia sensibilità artistica interiore – da una preventiva elaborazione di tesi assolutamente prive di basi certe, ai pensieri utili – essenziali potrei dire – e quindi ad essere finalmente pronto a riprendere le redini del mio vecchio progetto. Proponimento sul  quale,  trovandomi per un lungo periodo in uno stato di incapacità assoluta di concentrazione –  dovuto perlopiù alla frequentazione compulsiva di una mia cara amica prostituta di nome Milena che professava in uno scantinato sul lungofiume e aveva i capezzoli più grandi che si fossero mai visti  – avevo vigliaccamente tralasciato optando per rifugiarmi nel mio quotidiano, in pensieri meno seri. In pratica avevo abbandonato ogni speranza di realizzazione del mio ambito progetto. Tale deplorevole  atteggiamento mi accompagnava ormai da molto tempo. Progetto da cui dipendeva in definitiva un altro progetto, dalla risoluzione del quale dipendeva in effetti un terzo progetto che sarebbe servito da introduzione alla stesura del progetto principale, basato sui tre scritti precedenti, che avrebbe consacrato di fatto la mia futura attività artistica spirituale e – cosa assai più importante delle altre – avrebbe contribuito dare un senso pratico alla mia intera esistenza. Quand’ecco che, mentre procedevo spedito per la  strada maestra, quella precisa mattina di cui appunto vi stavo parlando, anziché andare come ero solito fare verso la decrepita cappella consacrata alla Madonna del Rosario, con uno scarto improvviso e del tutto inaspettato, mi inoltrai in un vicolo sconosciuto come spinto da forza maggiore. Con ciò giunsi in prossimità di un lungo muraglione coperto quasi nella sua totalità di muschio. Mi fermai per un momento cercando di riflettere nel tentativo di dare una giustificazione plausibile al mio strano comportamento. Ero forse stato attirato dal forte odore di umido misto a pietanze scadute che fuoriusciva dai pertugi dislocati disordinatamente sulle facciate di quei palazzi sconosciuti? L’analisi dei fatti durò comunque poco.  Stavo appunto contemplando gli effluvi che si mescolavano nell’aria gelida del mattino protendendo le narici verso l’alto (senza più chiedermi  qual’era stato il reale motivo del mio inaspettato cambio di rotta)  quando, da una finestrella nascosta dall’edera, mi sentii chiamare per nome. Fui costretto ad innalzare ancor più se possibile il mio sguardo. In una luce fioca proveniente dall’interno di un abbaino, quasi totalmente coperto dalle edere e contornata da una spessa coltre di vapore caldo che andava formandosi reagendo con l’aria fredda del mattino, in un tripudio di goccioline, mi parve di scorgere una sagoma scura a prima vista forse  familiare; tuttavia, a causa di quella nebbiolina infame che avvolgeva ogni cosa, i miei occhi,  perennemente appannati e confusi dalle fastidiosissime mosche volanti, fluttuanti nel corpo vitreo, sulle prime stentarono a riconoscere quel misterioso individuo. Mi tamponai le cornee con il fazzolettino di raso blu dagli angoli ricamati che portavo sempre con me da quando ero bambino. Lo aveva cucito e rifinito mia nonna con il metodo punto-croce. Il mio nome, scritto per esteso, faceva bella mostra al centro della pezzola, ricamato con estrema cura, suggellato in un pallido verde smeraldo. A contornarlo e rifinirlo erano state aggiunte in un secondo momento, sempre dalle mani premurose della mia nonnina, alcune finissime margheritine dalle belle corolle bianche e rosate. Emblema di quell’età rimpianta in cui tutti i bambini si somigliano; maschi o femmine che siano, per loro ogni simbolo è adatto. Una volta tamponatomi le cornee,  schiarita che fu  per bene la mia vista,  potei capire meglio chi fosse l’uomo misterioso che mi aveva interpellato: si trattava senz’ombra di dubbio del Sig. Luzzain, il maestro. Proprio lui!  In carne ed ossa. Nel momento esatto in cui realizzai a chi apparteneva la silhouette che si sporgeva incautamente da quella finestrella nel goffo tentativo di richiamare la mia attenzione, in un batter di ciglia realizzai il tutto e capii la cosa straordinaria che mi stava succedendo. Il fatto mi parve ancor più strano del previsto proprio perché del tutto inatteso, nato praticamente dal nulla. Fu dopo questa considerazione che riacquistai la lucidità necessaria per rielaborare l’evento in ogni sua singola sfaccettatura.  Come nei giorni precedenti – infatti – sarei potuto andare in automatico verso la cappella della Madonna del Rosario e non verso il muraglione coperto di muschio.  Tutto ad un tratto però, senza alcuna spiegazione logica apparente,  non ero andato verso la cappella della Madonna del Rosario, bensì verso il muraglione coperto di muschio. Non solo, se nel giorno in questione io non avessi deciso di andare verso il muro coperto di muschio e non avessi incontrato il Sig. Luzzain,  forse non sarei nemmeno mai più tornato a ripensare a lui e – come logica conseguenza – al dipinto di Serafin d’ Avendano, pezzo pregiatissimo del suo patrimonio familiare.  Non avrei in definitiva, mai più avuto l’occasione concreta di recuperare le idee basilari e fondamentali per dare una svolta al mio vecchio progetto. Dipinto – quello dell’Avendano – che anni prima, proprio il sig. Luzzain mi aveva mostrato, ospitandomi per un giorno intero alla Badìa  (la sua imponente abitazione di allora) e consentendomi di visitare la prestigiosa collezione d’arte privata che aveva allestita all’interno di quell’immensa dimora. Era passato ormai molto tempo, negli anni successivi avevo perso completamente le sue tracce, non avevo mai più pensato né a lui né al quadro dell’Avendano, non sapevo neppure che avesse nel frattempo cambiato casa e preso alloggio in centro.  Ad ogni modo, se quella mattina mi fossi inoltrato in una via diversa da quella che avevo deciso all’ultimo istante di percorrere, se fossi andato perciò come al solito in direzione della cappella della Madonna del Rosario anziché verso il muro coperto di muschio e quindi non avessi  incontrato il Sig. Luzzain, allo stesso modo non sarei, con tutta probabilità, mai arrivato a ripensare al dipinto dell’Avendano, anzi forse non avrei avuto modo di pensare a nulla o – ancora peggio – avrei tratto conclusioni completamente diverse, forse addirittura opposte al proposito a cui ero da tanto tempo interessato. Quella che sulle prime avrebbe potuto sembrarmi un’inammissibile interruzione del  pensiero, come detto in precedenza ormai completamente assuefatto e disinteressato all’effettiva  ripresa e successiva costruzione del progetto iniziale – e cioè la rivalutazione della mia sensibilità artistica e spirituale – si era poi rivelata non come un grave intoppo bensì come un’inattesa grazia divina piovuta letteralmente dal cielo. Quella visione aveva risvegliato in me un turbine di immagini legate ad essa.  Insieme alle considerazioni derivanti da questo processo interiore e dal ricordo che sopravvenne dentro di me in quegli attimi concitati,  a tratti addirittura assillante (riguardo certe considerazioni sulla pittura e sulla letteratura simbolista)  ecco che l’incontro con il Sig. Luzzain avvenuto all’improvviso e in modo in effetti assolutamente imprevisto, si dimostrava non solo utile per la stesura del mio scritto, ma decisivo per concretizzare l’intero lavoro.

 Lo sguardo che gli rivolsi, quella mattina dopo essermi sentito  chiamare , in una fase primaria alterato dal fastidioso disagio causato da  quella che mi era apparsa soltanto come una ingiustificabile distrazione del pensiero, una grave interruzione mentale  rispetto al  compito vero e proprio che stavo perseguendo,  ecco che di colpo si svelava come l’esatto opposto – per me essenziale – vale a dire un punto di vista ristoratore diretto al centro della mia ricerca artistica, dalla quale mi ripromettevo niente di meno che la realizzazione del progetto a cui avevo dedicato – potremmo dire – l’intera esistenza. Per cui, nell’istante esatto in cui, imboccando in modo del tutto imprevedibile la strada che portava in direzione del vecchio muro coperto di muschio e più precisamente nell’attimo in cui si era materializzato all’improvviso di fronte ai miei occhi il Signor Luzzain – il maestro – lo avevo guardato con un intensità che, nella mia più intima coscienza era di gran lunga maggiore ed in effetti di gran lunga più acuta che nella realtà effettiva. Tutto ad un tratto mi ero reso conto in modo improvviso ed imprevisto – ma al contempo altrettanto imperioso  – della possibilità concreta di riprendere finalmente le redini del mio  lavoro e quindi del progetto sul recupero della sensibilità artistica e spirituale mia e del mondo, proprio dal punto in cui, giorni, mesi ed anni prima, contro ogni mia aspettativa, per non so quale motivo effettivo (diavoli o puttane che siano), questo lavoro mi si era drammaticamente bloccato. Ah , dimenticavo una cosa importantissima: devo premettere che scrivo periodi lunghi solo quando sono alterato. E in questo momento (il momento stesso  in cui sto scrivendo) sono molto ma molto alterato.. Non chiedetemene il motivo. Fare troppe domande o voler sapere troppe cose private non è buona educazione. Accontentatevi. Posso dirvi soltanto che ciò di cui stavo parlando c’entra poco o niente, sono tutt’ altri i pensieri   miei intimi che da anni  mi tormentano e che magari più avanti, se ci sarà occasione – sfruttando la tecnica della destabilizzazione letteraria o del cambio repentino di tempo  –  potrei anche decidere di confidarvi. Torniamo però a dove eravamo rimasti. Quella mattina, in quell’istante preciso, (e cioè l’attimo esatto in cui realizzai di trovarmi di fronte al Sig. Luzzain, il maestro, lui in persona) rendendomi conto che quell’impulso inaspettato rappresentava la vera ed unica linfa vitale per l’alimentazione del mio progetto, decisi che avrei scritto in suo onore, a conclusione e concretizzazione del mio lavoro abbozzato,  un documento imprescindibile: La rivisitazione in chiave saggistica, sul quadro dell’ Avendano intitolato Gente d’appennino. Dipinto alla cui visione ero stato sottoposto anni prima proprio dal Sig. Luzzain durante la ormai famosa visita alla Badìa, l’enorme casa in cui viveva allora e dove aveva allestito la sua collezione privata. Questo trattato che avrei da lì a poco composto, ispirandosi agli elementi figurativi e informali  presenti nel suddetto dipinto, sostenendosi su una serie di metafore al momento incalcolabili ma già per me abbastanza chiare, avrebbe fatto luce su tutte le problematiche più gravi riguardanti la sensibilità artistica decadente del nostro triste tempo, l’annientamento progressivo ad opera  dei media  della piattaforma culturale del mio Paese e in ultimo ma non per ordine d’importanza, il Harakiri dell’essere umano sopraffatto dal sistema stesso che nei secoli si era autoimposto.

 Il mio sguardo pertanto, fino a quegli istanti assente, assorbito perlopiù dall’incoerenza dei solchi sul terreno fangoso dove andavano via via formandosi rigagnoli d’ogni forma e misura, distolto improvvisamente da quel richiamo inatteso,  s’ era innalzato verso la finestra nascosta dall’edera da dove s’era sporto il Sig. Luzzain;  potrei dire a questo punto che a quella voce i miei occhi avevano reagito superando di molto il muraglione, si erano protesi oltre l’abbaino, superando il marcapiano, le grondaie del caseggiato, il lastrico del palazzo stesso, oltrepassando pure i profili scuri  degli altri palazzi  che lo circondavano – anche quelli più alti – e andando su, su sempre più su, verso il cielo, oltre i cumuli grigi di nebbia nuvole e fumo, verso il sole e le stelle, verso l’infinito ed oltre, verso l’assoluto. E pensare che non consideravo più l’esistenza né del Sig. Luzzain in quanto uomo né del dipinto dell’ Avendano in quanto opera imprescindibile, questo da anni ormai incalcolabili. Da non credere! Oltre tutto, com’è naturale, non mi era mai passato per la mente nemmeno per un istante che due soggetti tanto distanti da me un giorno potessero rivelarsi decisivi per il mio progetto! Se avessi mai avuto anche solo una volta, un pensiero del genere, se soltanto una volta mi fosse passata per la mente una simile eventualità,  senza dubbio sarei ricorso al loro aiuto molto prima che il destino ci mettesse lo zampino. Non mi sarei certo lasciato distrarre tanto facilmente da futili tentazioni. E invece, come succede di solito a tutti gli uomini mediocri, schiavizzato dalle abitudini e dai rituali compulsivi,   avevo espulso dalla mia mente anche Luzzain ed il suo quadro. Oppresso dagli eventi e guidato dall’istinto,  mi ero liberato di ogni cosa che ritenevo essere attinente o anche minimamente legata alla mia ricerca, di conseguenza, avevo finito per dimenticarli.  Sicché quella mattina e per la precisione nel momento stesso in cui  dirigendomi verso la  Voltagius Pinacotech, avevo deciso tutt’altro che aspettandomelo,  di dirigermi verso il muraglione coperto di muschio e non verso la solita Cappella dedicata alla Madonna del Rosario, avevo senza rendermene conto, risolto gran parte dei miei problemi artistici ed ispirativi. Potrei dire di aver dato quel giorno una svolta positiva anche ad alcune tediose idee esistenziali che da tempo mi tormentavano. Ero riuscito a  dare  un senso, forse, alla mia vita.  E devo ammettere che mi trovavo evidentemente tanto più sorpreso che fossero proprio il Sig. Luzzain e il suo dipinto, quello dell’ Avendano, a chiarirmi una volta per tutte le idee a proposito del mio sospirato progetto di vita e di scrittura. Anche in questa occasione, come in altre, avevo vista confermata la mia convinzione che sono da escludere eventi casuali o da considerarli come un nonsenso, non essendo stato di certo un caso nemmeno il fatto che anni prima fossi stato invitato a casa di Luzzain per contemplare la sua lussuosa abitazione al limite boschivo e la sua prestigiosa collezione privata . Oltretutto questo evento andava a ripetersi proprio in un periodo per me delicatissimo di cui oggi, passati alcuni mesi,  posso  senza indugio individuarne ed elaborarne le inquietanti conseguenze. Se da una parte, infatti, quella mattina,  era andata a formarsi la vera e propria e quindi decisiva svolta intellettuale della mia vita, dall’altra, ciò si produceva ed avveniva a poche settimane da uno spiacevolissimo episodio: Lo scontro fisico e verbale che ebbi con le prime preoccupanti fazioni irredentiste e negazioniste maturate nel mio paese in relazione alla diffusione del virus Covid 19. Odiavo le strane idee populiste che stavano nascendo un po’ dappertutto nel continente. Andavano molto oltre il senso etico comune mettendo alla prova non poco  la mia già scarsa sopportazione. Lo scenario che andava delineandosi era spaventoso. Si stavano riaccendendo i falò dell’autunno. I cani e i lupi erano di nuovo in agguato. Io di mio ripudiavo i falsi reazionari. In più, da qualche tempo, la  pandemia prossima a chetarsi,  s’ era di nuovo ripresentata in tutta la sua strisciante pericolosità. Per questi ed altri motivi mi ero trovato coinvolto in un antipatico incidente,  una piccola rissa, all’uscita di un teatro dove si stava rappresentando clandestinamente il dramma Casa di Bambola di Ibsen. Un tizio senza mascherina stava minacciando il responsabile della sicurezza del teatro con una bottiglia di vetro rotta a metà. La guardia gli aveva intimato di indossare la protezione se voleva entrare, e lui – negazionista – prima s’era rifiutato ridendo, poi, vista la giusta insistenza del guardiano, era andato su tutte le furie e aveva iniziato a minacciarlo. In breve erano accorse altre persone. Si erano formati così due schieramenti opposti. Chi diceva che bisognava mettere la mascherina, chi invece sosteneva l’esatto contrario sostenendo che a nulla sarebbe servita. Una mia cara amica, una prostituta senegalese da poco immigrata qui, s’era trovata per caso nel bel mezzo dello scontro. Veniva strattonata e malmenata da due nostri concittadini. Non ci avevo più visto e mi ero schierato a protezione della poverina cercando di sottrarla dalle grinfie dei due energumeni. Proprio sul più bello ecco la polizia, tutti scappano e chi è l’unico che resta? Naturalmente io. Così venni seduta stante arrestato e processato per schiamazzi, rissa, resistenza a pubblico ufficiale eccetera eccetera …  Comunque sia, per mia fortuna – dopo un brevissimo ma tedioso processo d’ufficio – ero stato giudicato non coinvolto nei fatti e quindi assolto in pieno ( anche se avevo partecipato eccome!) e, una volta a piede libero, ero rientrato frastornato e confuso  nel mio appartamento – se così potremmo definirlo – sulla Novacosta. Mi sentivo completamente svuotato da ogni idea certa sul da farsi. Ciò che potrei dire a riguardo è che quando il problema sanitario si mescola con l’etica, davvero non ci si raccapezza più, si perde di vista la luce in fondo al tunnel.

Ma torniamo a quel giorno. La mattina in cui la provvidenza sembrava sorridermi. Forse da adesso in poi cambierò stile. Non lo so. Devo ancora decidere. Non c’è fretta.

Salgo subito su dal Sig. Luzzain quindi? No! non pensiamoci nemmeno – Se ha aspettato anni, può aspettare ancora qualche ora.. Ci andrò dopo.

 Deciso.

 Adesso per festeggiare la mia nuova ispirazione, la mia nuova libertà acquisita mi ci vuole qualcosa di forte! Molto forte! Sono solo, per strada, libero!  Qui ci vuole una donna! Una lurida! Anzi due magari. A quest’ora però dove le trovo? Che divertimento! E’ già un divertimento pazzesco soltanto pensarci, soltanto farsi venire l’idea. Anni fa, parecchio tempo prima del virus, quando le mie idee erano ancora annebbiate, mi succedeva una cosa stranissima: Partivo con l’intenzione irrevocabile di andare a trovare qualche amichetta, magari nei lupanari lungofiume – eccitatissimo – poi, dopo una lunga camminata – durante la quale avevo pregustato ogni singola sfaccettatura del rapporto che stava per compiersi – giunto finalmente d’innanzi all’uscio oltre il quale la donzella di turno stava attendendomi, mi bloccavo. Tornavo indietro. Già a posto, completamente soddisfatto dall’esperienza. Come se il rapporto si fosse compiuto, preliminari e tutto.  Una specie di orgasmo figurato, mentale. Si potrebbe quindi dedurre da tutto ciò che, nella vita, conta molto di più l’idea che l’azione stessa. Il mio caro compagno di cella, il grande Viottis – attivista e violinista d’eccezione, esperto dell’universo femminile – dice che il piacere sta tutto nell’apparecchiare la tavola. Poi una volta servito il pranzo c’è chi mangia di più chi di meno ma la vera magia ormai è già finita. Sono d’accordo con lui. 

In ogni caso ora come ora ho assoluto bisogno di concretizzare.

 Adesso mi sento libero ed ispirato! Procediamo dunque! Mi basta star saldo sulle gambe e poter correre! Ma le gambe mi tremano, mi pare addirittura di non sentire il terreno sotto di me. Saranno ancora tutte le botte che ho preso. Ma ne ho anche date! Questo è sicuro!  Ed ecco l’angolo vivo della Cernaya, dietro ai carri dei pescivendoli c’è del movimento, sì, eccola  la vedo! 

Una donna. Una prostituta direi.

 Mi ci metto subito dietro, senza neppure guardare com’è fatta. Cristo santo, ma da dove arriva all’improvviso questo freddo tremendo? Ho i piedi gelati! Saranno quelle maledette gole a strapiombo sul fiume. E’ da lì che arrivano le correnti d’aria gelida? Come faranno i pescatori a stare per ore ed ore lì impalati sulle sponde del fiume?

 E allora:

“Aspetta! Aspetta un attimo! Non riesco a starti dietro se vai così svelta! Se abiti troppo lontano non ce la faccio te lo dico subito”.

“Ma no dai! Muoviti! Basta attraversare la Voltegnyas, costeggiare la cancellata arrugginita, attraversare un portone, poi un cortiletto interno, poi un altro cortile più grande, poi scendere sei scalini. Ehi, non avere tanta furia, se no mi caschi addosso”.

“E’ perché le gambe non mi reggono: troppe botte, mi trema tutto.”

Intanto penso: “come entriamo in casa e chiude la porta la prendo e non mi scappa più, la chiudo in un angolo”

“Lasciami almeno mettere giù l’ombrello prima!”

Ma io la voglio stringere, voglio premerla, palparla, strusciargli le mani sotto il cappotto, ancora con il cappello in testa.

“E piantala!”

E io gemo, sorrido imbarazzato, un sorriso falso.

“E perché dovrei piantarla?”

“Perché così mi strappi i vestiti e me li dovrai pagare come nuovi. A noi nessuno ci regala niente sai bello?”.

Ma io non la lascio. Me ne frego. Pago quello che c’è da pagare.

“Mi togli il fiato, merlo. Mi sa tanto che hai bevuto troppo.. hai un odoraccio di anisetta!”

Adesso voi lettori Pretenderete anche che faccia la parte di narratore ufficiale e distaccato?  Bene eccola, per gli amanti del naturalismo, qui non si scherza! Passiamo da Bernhard, una visitina a  Bocklin ed infine ecco a voi Zolà:

La prostituta era grassa e lenta, piccola. Lui dovette darle prima tre soldi che lei  rinchiuse accuratamente nel cassettone, poi si mise la chiave in tasca e poi, con gli occhi sempre dietro di lei che non la mollavano un attimo:

“E’ perché ho troppa voglia! Sono anni che arrivo davanti ai vostri usci e poi mi blocco e torno indietro. Mi mancava l’ispirazione! Ma quest’oggi l’ho ritrovata pertanto mi sento in forma e sono deciso a portare a termine la pratica!”

La cicciona rise di tutto cuore e si sbottonò la camicetta in alto.

“Il cane scappa giù per la via con la salsiccia in bocca!” esclamò.

 A quel punto lei lo prese e iniziò a strusciarselo addosso.

“Ehi Pistolero! Pistolero! Ma che bel pistolero che mi ha beccato stamattina! Cicci Cicci, serpentino mio! Galletto americano! Accidenti , ne recuperi di centimetri una volta che ti tendi! Si vedeva già da tutte le pieghe che faceva la pelle di riserva! Complimenti! Non mi entra in bocca!”

I pochi denti che si intravedevano dietro il rossetto viola e lucido erano lunghi e gialli, erosi dalla piorrea.

Ma lui già aveva gocce di sudore sulla fronte, e si lamentava dello sfregamento di quei denti da drago che andando avanti ed indietro gli incidevano la carne fresca del glande. Poi si guardava attorno circospetto tendendo le orecchie:

“Cosa sono questi rumori? Si sentono dei passi.. chi è questa vacca che cammina su e giù?”

“Non è una vacca, figlio di un cane! E’ la mia padrona di casa! Puoi pregare per lei se sei qui in paradiso!”

“E cosa fa? Cosa vuole da noi proprio adesso?”

“Cosa vuoi che faccia? Ci ha qui la cucina, dietro il cartongesso, non senti le pentole che bollono?”

“Che la pianti subito di andare avanti e indietro per tutti i diavoli! Deve mettersi a far da mangiare proprio adesso? Perché non si cheta un momento? Non può andare a farsi un giro?”

“Oh Dio santissimo! Andrò a dirglielo.. ecco tienitelo bene fra le mani è non farlo scappare è.. mi raccomando!! Uccel di gabbia che canta dalla rabbia!”

E intanto lei pensa:

“Che scassamento di coglioni sto morto di fame tutto sudato, potessi liberarmi subito di lui.. il fatto è che ha bevuto troppo e sembra essere molto resistente! Parla di botte date e prese.. e se poi mi diventa violento? No, non c’è troppo da scherzare.. al giorno d’oggi è pieno di merli in giro.. si deve stare attente! E non c’è verso a farlo eiaculare.. se continua su questi binari lo sbatto fuori a gambe all’aria.”

Fatti due passetti laterali sul trespolo dei suoi tacchi, bussa contro la paratia in cartongesso:

“Signora Vescovi, per un paio di minuti riesce a star ferma?, ho qui un architetto con cui devo parlare.. roba di lavoro molto importante”.

“Ecco fatto, caro camomillone mio, puoi stare tranquillo, vieni al mio cuore”

I seni della meretrice erano immensi, in mezzo a quei globi di grasso non si riusciva a respirare dalla puzza di sudore accumulatosi da giorni.

“Vedrai che stando qui comodo con la testolina al calduccio in un attimo tu vieni dentro, ed io ti sbatto fuori!”

Poi dopo alcuni interminabili minuti, vedendo che niente succedeva,  cambiarono posizione. Alla missionaria.

La testa della grassona sul cuscino, e lui a dar dentro a quelle schiume salate come un forsennato, lei distratta pensava:

Le mie scarpette ocra posso farle risuolare dal ciabattino in fondo al viale. Oppure dal nuovo fidanzato della mia amica Frida, da lui risparmio e avanzo ancora qualcosa, lei non avrà nulla in contrario – spero – a concedermelo per qualche ora. Oppure potrei tingerle di marrone, per abbinarle alla blusa beige che mi ha prestato Valentine, veramente non è che uno straccio vecchio ma non  mi importa.. bisogna rinfrescare un po’ i nastrini, lo dirò subito alla Signora Vescovi …  che tenga calda ancora la caffettiera quella insensata!  tanto il fuoco non le manca… perfino fra le gambe ce l’ha, vecchia sgualdrina che non è altro.  A proposito che cosa cucinerà oggi? Dall’odore sembrerebbe stoccafisso in umido, al verde. Speriamo lo faccia bello morbido come l’ultima volta che con la mia dentiera se è troppo duro mi tocca straziarmi le mandibole a forza di sorbire.

“O ma qui proprio non c’è verso di venire è! Dai pistolero! Cuocimi i maccheroni! Fai uscire il burro da queste mammelle da vacca! Non vedi che mi stanno scoppiando? Sono gli ultimi giorni prima del ciclo. Mi fanno pure male! Ma a te le cedo volentieri, dai muovi quel coso, rimescola la minestra che è bella calda, schiaccia le cipolle nel soffritto!

E a voce alta:

“Avanti signori! Ce n’è per tutti! Venite tutti al mio ristorante a mangiare! Ogni colpo che date vi sarà servita una pietanza diversa!

Lui alla fine, dopo tanto sfregare,  stremato, cadde sul letto, lei grugniva come una scrofa in pastura, ansimava. Sudata marcia. Poi si mise seduta e si grattò la pancia molliccia:

“Che dire… c’è poco da ridere, ma non preoccuparti succede a tutti, bisogna prendere confidenza prima, non ti arrovellare! E’ più che normale! Resta pure giù steso finche vuoi, riposati,  non mi dai mica fastidio sai”.

Poi ridendo alzò le sue braccia grasse e mise fuori dal letto i piedi con le calze bucate dalle unghie e disse:

“Non ci ho mica colpa io! Succede e basta! Non è questione di impotenza! Ti seghi molto negli ultimi periodi? Hai preso degli antibiotici? Una mia collega transessuale dopo aver fatto una cura di ormoni non ha più nemmeno una goccia di sperma. Viene a secco praticamente. Comodo no? Stai tranquillo pistolero! Rilassati che intanto io vado a girare la buridda”.

Ora si torna all’esistenzialismo:

Adesso dove vado? Sono di nuovo fuori in strada. Si è messo pure a piovere.. vado dal Sig. Luzzain? Sarà meglio! No, non ancora. Ma cosa mi sarà successo? Devo andare a prendermene un’altra? Voglio fare la prova del nove.  No prima sarà meglio tornare a casa a farmi una bella dormita, per schiarirmi le idee. Ma cosa ti è successo vecchia roccia? Puah! Che schifo! C’ho tutto il gusto in bocca del sudore di quella zoccola! Almeno lavarsi un secondo prima no?… La fontana dietro l’angolo è ghiacciata. Stacco un cannolo e me lo tengo in bocca per un po’. Potrebbe funzionare. Almeno due sciacqui. Sudore maledetto. Puttana maledetta. Ho beccato la peggiore che si potesse immaginare. Almeno fosse stata una di colore. Loro sono le più oneste. La mia amica Milena era africana. Lei era dolce, educata.. Che grande donna! Vergognatevi puttane bianche! Fate schifo!

E adesso di nuovo naturalisti!

“Che ti succede ragazzo?”

Una voce improvvisa da sotto un portico.

“Non ti sei trovato bene nella mia casa?”

Doveva essere la Signora Vescovi.

“Sei giovane ed inesperto, sei un fiorellino di campo appena colto, povero piccolo mio… però ho visto da dietro la paratia che hai un bel cannone fra le gambe! Devi spendere meglio i tuoi soldi! Siediti un momento qui con me, vieni non temere, tieni, sciacquati la bocca con questo intruglio che ho fatto con le mie manine, è alla menta e camomilla sai, le raccolgo io stessa, crescono fra le pietre e sui marciapiedi fuori, lungo il fosso … Vedi caro mio.”

E si sedettero sotto al portico, vicino ad una grande stufa di maiolica dove, in un profondo pentolone annerito, bolliva il pastone per le galline, rimasugli di pasta corta  mischiati a crusca e scarti di ortaggi semidecomposti .

“Vedi caro figlio mio, devi sapere che la potenzialità sessuale è dovuta alla cooperazione: primo: del sistema a secrezione interna; secondo: del sistema nervoso; terzo: dell’apparato sessuale. Le ghiandole che prendono parte alla potenzialità sessuale sono: l’ipofisi, la tiroide, le ghiandole surrenali, la prostata, la vescichetta seminale, il testicolo. In questo sistema il testicolo è quello che ha il sopravvento. Dalla materia da esso elaborata l’intero apparato sessuale viene caricato, dalla corteccia cerebrale sino ai genitali. L’impressione iniziale risolve la tensione erotica della corteccia cerebrale al centro del cervello medio. Allora l’eccitamento scorre per il midollo spinale. Non senza ostacoli però, perché prima che esso lasci il cervello deve passare per i centri inibitori; specie quelli dello stato d’animo vi hanno una gran parte, quali le riflessioni morali, la mancanza di sicurezza di sé, la paura di far brutta figura, la paura di infettarsi o di ingravidare la donna. In questi periodi scuri poi, la paura di infettarsi è l’ostacolo più difficile da superare. Non trovi? Hai anche tu una paura tremenda del virus vero? A parte che se decidi di andare con una prostituta il virus è ancora il male minore, con tutto quello che puoi prenderti!”

Di nuovo dal di dentro:

Allora via! Alla sera barcollante su per la Cernaya, e giù di nuovo!

“Quanto costa il piacere signorina? La bruna va bene, ha un bel sedere largo come piace a me, di quelli con le chiappe che applaudono! La bionda lascerei perdere.. le bionde non fanno per me, hanno l’aria di essere insipide.”

“Sei bello allegro ragazzo mio! Cos’hai ereditato stasera? Vuoi assaggiare questo panino che ho qui in caldo fra le cosce? E’ un bel pacchetto come vedi.. sembra appena incartato dal macellaio, vuoi aprirlo tu?”

Poco dopo, nella camera di lei, muri tappezzati stile coloniale, fiori nel vaso dietro la tenda, grammofono funzionante e ragazza che canticchia togliendosi con lentezza spasmodica le calze autoreggenti in seta artificiale, camicetta cadente, occhi neri, labbra carnose e avvolgenti.

“Io non sono una donna di malaffare, sono una ballerina! Faccio questo per arrotondare. Di questi tempi gli spettacoli sono stati interrotti dal decreto. Hanno paura che la gente s’infetti di cultura!.. Ebbene dicevo sono ballerina e sai dove? Indovina su! Su! Sai dove ballo?”

“Non saprei.”

“Dove più mi aggrada gelsomino! Ah Ah Ah.. E sai come faccio a farmi scritturare? Stai buono dai non farmi il solletico! Adesso stiamo parlando, giù le mani che rovini tutto il  momento! La mia tattica – dicevo – è: entro in un locale, e mi vendo al migliore offerente! Tipo un asta. Chi più possiede e offre, più tempo può avermi! Cosa credi funziona benissimo! Si guadagna un mare di soldi a fare come me. Anche tu per esempio: vuoi un bacino? Forza sgancia! Fai la prima offerta. Quanto per un bacino qui sulla mia coscia? 5 soldi? Mmm.. potrebbe anche andare bene.. e per uno un po’ più in su? Tipo qui sulle mie mutandine di pizzo? Quanto hai detto? 10 soldi? Mi sembra una miseria!”

Poi gli si siede sulle ginocchia, tira fuori dalla borsetta una lunga e sottile sigaretta col filtro bianco, lo guarda con un’aria implorante da cucciola impaurita e con tenerezza estrema, carezzandogli i lobi delle orecchie gli sussurra:

“Sai tu cos’è la paura di prendersi un accidente mentre si gode? Come essa ti dilania il cuore ed il cervello e ti fa sembrare tutto vuoto e freddo?”

Poi di colpo si alza, prende in mano un cilindro dall’appendiabiti e inizia un balletto coreografico tipo off Broadway. Balla e canta, canta e ride.

Di nuovo quel sudore sulla fronte! Il terrore che ritorna! E la testa scappa via ancora una volta. Din don dan, suona la campana della piazza, forza gente che è giunta mezzanotte! Scatta il lockdown. L’incantesimo presto finirà.  Cenerentola sbrigati! Attenta a non perdere la scarpetta giù per le scale del palazzo! Prepararsi al coprifuoco! Ieri notte è scappato uno! Lo cercano ancora adesso con i cani poliziotto! In giro restano soltanto gli extracomunitari! Rappresentano un pericolo per la nostra società! Bisogna espellerli! Bisogna rinchiuderli! Si devono chiudere i porti! Innalzare nuovi muri di confine per impedire loro do propagarsi! Sono loro che portano il virus!

Lui si alza, guarda la ragazza, il collo, il mento, le labbra, il suo sedere stratosferico.

“Come farò ad uscire da qui ora? Come farò domani ad andare dal Sig. Luzzain, il mio maestro? Non mi lasceranno andare! Non saranno per caso già qui fuori ad aspettarmi? Le guardie.. con i cani lupo..”

Lei gli soffia in viso anelli di fumo azzurri dall’intenso aroma di rosmarino. Gli sorride:

“Quanto sei caro, non temere piccolo mio, ti offro qualcosa da bere, stai comodo.. una sambuchina ti farebbe piacere? Un amaro o un Rosa antico.”

“Ma cosa me ne faccio del tuo grappino? Mi è già andata di lusso una volta! Sono stato processato e assolto per il rotto della cuffia! Se mi acciuffano un’altra volta in giro a quest’ora sono morto! Tutto perché io vi amo, vi proteggo, io voglio bene alle persone come voi! Ai poveri e agli stranieri che sono costretti ad emigrare.. Ti rendi conto? Ma loro non vogliono! Le guardie non vogliono! Mi stanno aspettando! Lo so, le sento arrivare! Sono dietro a quella porta!”

“Vieni, vieni piccino… apri il bocchino, bevi il grappino, non vorrai mica metterti a piangere proprio adesso? Qui ci si diverte sai! Si sta allegri tutta la sera, si ride tutta la notte!”

“Ma che dici? Tu non ti rendi conto! Dio santo che bel culo che hai! Vorrei mangiartelo tutto fino a domani mattina. Ma io non posso , non posso davvero restare! Dio mio aiutami tu! Avrebbero dovuto tagliarmi subito la testa piuttosto, quei cani bastardi! E buttarmi in qualche fossa comune!”

“Vuoi la salute? Beviti questo amaretto forza! Te lo do con le mie manine da bimba!”

“Smettila ti supplico! E pensare che una volta me ne facevo due per sera di queste lolitine qua! E invece adesso? Virus, cani bastardi, razzisti, fascisti, nazisti, tutto finito!”

Lei prende un’altra delle sue sigarette che nel mentre gli sono cadute sotto il letto e molla un calcio al pacchetto che finisce roteando dietro il piano di marmo su una console di radica scura.

“E allora vai se vuoi andare! Vai a raccontare alle guardie chi sei e che cosa stavi facendo in giro a quest’ora di notte! Vai pazzo scellerato!”

Lui abbassa gli occhi, cerca la sua cintura, non guarda più la ragazza che fuma e ride osservandolo. Poi giù per le scale, di corsa ma con passo felpato imbocca i vicoli più nascosti per accorciare la strada e non dare troppo nell’occhio. Senza nemmeno rendersene conto arriva di fronte alla porta del suo misero appartamento. Sale le scale che cigolano imprecando ad ogni gemito dei gradini. Giunto in casa, accende una lampada ad olio, tira fuori dalla dispensa una bottiglia di vino mezza vuota, o mezza piena, dipende dai punti di vista. Sull’etichetta c’è scritto BELLATI. Un barbera.  Poi si stende sul pagliericcio a bere e a meditare leggendo un opuscolo sgualcito:

Le cause principali dell’impotenza sono:

A – insufficiente carica a causa dei disturbi funzionali delle ghiandole.

B – troppa resistenza degli ostacoli psichici, esaurimento dei centri di erezione.

Quando l’impotente possa riprendere i suoi tentativi è difficile da dirsi, lo si può giudicare solo individualmente, a seconda del caso e del suo decorso. Un periodo di pausa spesso può aiutare.

Vorrei questa e quest’altra, bionde, more, rosse, le vorrei tutte – pensa mentre beve –

Vorrei andare dal Sig. Luzzain domani, per discutere sul dipinto dell’Avendano e riprendere in mano il mio progetto.

E quelle delle vetrine, e le segretarie? Quei bei pezzi di ragazze prosperose con le vagine sempre umide e accoglienti, si quelle forse andrebbero benone, quelle con una striscia di peli nera che parte dall’ombelico e arriva fino al buco del culo.

E via di nuovo a bere e a pensare.

“D’ora in poi non farò altro che bere, bere e dormire.. ci vuole una pausa, è utilissimo un periodo di pausa, c’è scritto anche nel foglio del  medico. Però domani vorrei andare a trovare il sig. Luzzain il mio maestro. Grazie a lui ho ritrovato l’ispirazione. Ma le guardie.. i cani lupo,  il virus.

 La vita potrebbe essere finita qui per me. Finita.

In copertina l’immagine dell’autore