Adriana Sabato, giornalista, risiede a Belvedere Marittimo. Dopo il liceo classico si è laureata in DAMS Musica all'Università degli Studi di Bologna. Dal 1995 al 2014 ha scritto su La Provincia cosentina e il Quotidiano della Calabria. Gestisce il blog Non solo Belvedere. Ha pubblicato nel mese di marzo 2015 il saggio La musicalità della Divina Commedia, nel 2016 Tre racconti e nel 2017 il saggio Nuove frontiere percettive nel pianoforte di Chopin.

L’inno di Mameli non è una marcetta

Di Adriana Sabato

L’Inno nazionale (il Canto degli Italiani) non è una marcia né una marcetta ma un maestoso canto di popolo che abbiamo rovinato musicalmente perché ne abbiamo appesantito l’andamento con il marziale invece del cantabile.

È stato adattato al cerimoniale militare monarchico e deve quindi seguire il ritmo degli onori alla bandiera: per usare le parole di Giuseppe Verdi una musica mal eseguita è come un quadro visto al buio, non si capisce.

 L’Inno di Mameli è invece una cabaletta, ossia una breve aria d’opera, una precisa forma musicale derivata dall’opera lirica che possiede una grande incisività e forza emotiva, grazie all’andamento cantabile fluido e cadenzato. Ed è proprio quella la funzione che assolve appieno il nostro Inno.

 Nell’epoca risorgimentale, caratterizzata da una larghissima percentuale di analfabetismo, la comunicazione, il messaggio, veniva affidato all’unica forma di musica popolare del tempo: l’opera lirica, una forma di trasmissione da tutti conosciuta.

 Tutto gira intorno alla musica, spiega lo storico Michele D’Andrea, è l’anello di congiunzione di tutti i popoli, di tutto il mondo. Gli inni nazionali sono l’esempio più semplice che uniscono milioni di persone sconosciute tra di loro.

Nell’Inno di Mameli è notevole l’importanza della funzione musicale rispetto a quella del testo, un testo di incitamento certamente importante, ma la cui forza e pregnanza venne sottolineata dalla sapienza compositiva del compositore genovese Michele Novaro.

Un inno infatti deve funzionare, deve cioè aggregare una collettività intorno ad un’idea che era quella del Risorgimento e poi non deve essere né bello né brutto, ma deve essere apprezzato dalla gente. Per questo motivo, non era dato per scontato che dovesse essere composto da musicisti del calibro di Giuseppe Verdi. Infatti le parole non sono il nocciolo ma è ciò che le accompagna, che le rende uniche e indimenticabili, perché se la musica funziona tutto può diventare un sontuoso canto, evidenzia ancora D’Andrea.

Infatti, dopo una prima bozza del 1847 intitolata Inno militare ASCOLTA QUI:

https://l.messenger.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fyoutu.be%2F2jYYzjvK3bI&h=AT0uiSj9rf9CjbCRvgYAgcMtIhUt2RG7JjGIdX4qtcioY_gEvDVgIFOqQXRKIpT0JlIIiHG42Y5trTkFNnakz4LIQ26cQ8r4mVuzTGLwW-ndujuPrq3y3dEZP0er45fWqXE

che durerà solo due mesi, nel 1848 viene composto l’inno definitivo con il testo scritto da Goffredo Mameli e la musica composta da Michele Novaro.

Come già si è detto, esso non suscitò l’entusiasmo del popolo, non si creò probabilmente la giusta alchimia fra testo e musica.

Novaro, sconosciuto al grande pubblico, ebbe enorme successo nei teatri come tenore e vinse la concorrenza con Verdi e Alessandro Botte (primo a comporre una lirica per l’inno).

Il fatto che sia stato scritto da italiani rende il nostro inno ancor più unico: all’estero non è per niente una cosa scontata e sembra sia una rarità.

ASCOLTA QUI L’INNO DI MAMELI:

https://l.messenger.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fyoutu.be%2FjI9B7pXctpc&h=AT35OEjJ7bEU0wZL5goQwkzfU8rn5ZVY_QHd-4ej8nM49UXuV0fxi_lX2_05FcAnxuML1-guKHZoEkNq74RZu6uSoY_Gl3YRLFSP8S-h8DzhEccOKFVowTb58Ybc33JGo00

 Anzi alcuni inni sudamericani, a cominciare da quello brasiliano, sono anch’essi delle cabalette composte da compositori italiani che, in seguito al forte flusso migratorio dell’epoca, hanno esportato laggiù anche il nostro melodramma.

L’inno americano, invece, non è altro che la produzione di alcuni membri di un club londinese di fine ‘700. L’inno tedesco è un clamoroso “furto” fatto all’Impero asburgico dopo la sua caduta nel 1918 e riadattato dalla repubblica di Weimar nel 1922 con parole di un oscuro poeta non noto. Nei 130 anni precedenti i patrioti tedeschi cantavano sulle note di God save the Queen, l’inno inglese.

 La Svizzera addirittura ha usato l’inno d’oltre manica fino al 1961. L’Olanda intona ancor oggi a fine inno le parole di quello iberico, “onore al re spagnolo”.

 La nostra lirica è unica e cadenzata perfettamente con le parole ma non sempre si riesce o si vuole riprodurla al modo giusto.

Critiche e dubbi sono pienamente giustificati: una tradizione inconsapevole e superficiale ha trasformato Il Canto degli Italiani (questo il titolo originale) in una marcia. L’ascoltiamo nelle cerimonie militari, dove ha sostituito la Marcia Reale di Gabetti, accompagnare il passo regolare dell’alfiere che presenta il tricolore e interrompersi bruscamente a qualunque battuta appena il gruppo bandiera giunge alla posizione stabilita.

Riferimenti bibliografici:

https://app.getpocket.com/read/2984361873

https://www.musicheria.net/rubriche/materiali/2164-il-canto-degli-italiani

L’immagine di copertina è il libretto del Canto del popolo (Foto da wikipedia)