Graziella Enna, nata nel 1969 a Oristano, laureata in lettere classiche presso l’Universita degli studi di Cagliari, insegnante di lettere.

Esistono verità scomode, fastidiose che reclamano di essere conosciute, comprese e urlate, ci sono poi  libri, come questo, che dovrebbero essere letti con l’animo sgombro di preconcetti, ideologie politiche, controversie e  forzature storiche.

E’ il caso della vicenda, narrata in prima persona dal protagonista, Graziano Udovisi, istriano, che mette in luce la sua verità negata per decenni. Fu “infoibato” a  meno di vent’anni, il 14 maggio 1945, e, per una serie di casi fortuiti, riuscì ad uscire vivo dalla terrificante voragine di Fianona. Questa, in termini essenziali, è la vicenda.

Nel ’43, Udovisi insieme con molti altri giovani militari, entra a far parte del MDT (Milizia Difesa Territoriale) che nasce come organismo di difesa dei civili e della terra istriana contro l’esercito titino che aveva già dato prova della sua ferocia.

Oggi gli storici, in modo oggettivo e super partes,  abbandonate  ottuse e anacronistiche  faziosità, hanno fatto  una meticolosa ricostruzione degli eventi, mostrandoci la difficile realtà dei popoli slavi di confine all’inizio degli anni ’40 sottoposti ad un’italianizzazione forzata e anche a rastrellamenti e deportazioni. Anche per questo, iniziò una spirale di violenze e scissioni, in cui vennero rinfocolati odio, desiderio di rivolta, tensioni sociali, opposizione al regime da parte di un popolo di confine che stava perdendo i suoi valori identitari. Il problema di questi territori, in realtà, affonda le sue radici già alla fine dell’Ottocento, ma sarebbe troppo lungo e complicato esporne  la genesi e lo sviluppo.

Gli eventi precipitarono dopo l’8 settembre, quando si creò un improvviso vuoto di potere e fu in questo frangente, l’anarchia post armistizio, che si inserì il mostruoso eccidio delle foibe che si  sarebbe protratto negli anni successivi: centinaia di Italiani (un esempio fu la giovane studentessa Norma Cossetto, decorata con la medaglia d’oro), vennero fatti sparire dopo sommari e arbitrari processi, perché tacciati di essere padroni e nemici del popolo, da parte dei partigiani di Tito, che, con una propaganda fasulla, si dipinsero come salvatori e liberatori della patria. Ne scaturì una caccia indiscriminata agli Italiani, qualunque ruolo sociale essi ricoprissero e il fenomeno acquistò i caratteri di una vera e propria “pulizia etnica”.

Furono quelli anni di tensione e di terrore, ma alla notizia della fine della guerra, molti presidi militari, abbandonati a se stessi già dopo l’otto settembre del ‘43, dopo aver  combattuto contro i partigiani slavi per difendere gli Istriani, ancora una volta si ritrovarono in una situazione precaria. L’ ufficiale Graziano Udovisi dirottò gli uomini del suo presidio da Rovigno verso Pola su un natante tedesco vuoto, liberandoli dagli obblighi militari, li fece disfare di armi e munizioni, in una sorta di “si salvi chi può”. Purtroppo era l’unico reparto ad aver ripiegato su Pola (il resto del reggimento invece si era recato a Trieste), per cui qualche giorno dopo, Udovisi apprese che i suoi soldati erano ricercati: il 5 maggio 1945 si presentò al comando slavo per riferire che il suo reparto era a Trieste:

“Con un amico ufficiale ci presentammo al comando, trovammo seduto alla scrivania un maggiore italiano passato dalla parte slava. Mi ascoltò e mi credette ma dopo aver chiamato alcuni iugoslavi, ci fece prigionieri ammanettandoci le mani dietro la schiena con il fil di ferro. A sera, con altri poveracci ci fecero marciare per una dozzina di km fino al campo di concentramento a Dignano d’Istria”.

Iniziò per Udovisi un calvario disumano, comune a tutti coloro che cadevano nelle mani dei soldati titini, uccisi nei modi più barbari. Dopo giorni e giorni di mostruose, degradanti  e abominevoli sevizie, fu condotto verso la foiba con altri sventurati, sfigurati e distrutti dagli stenti e dalle torture subite e legati l’uno all’altro.

E’ la mia ora, la luna mi è di fronte, bella, grande lucente: Immediatamente mi sale una preghiera alla Madonna: Un’invocazione calma, piena d’amore per i miei genitori. […]. E’ tutto talmente assurdo….noi sull’orlo di questo abisso”.[…]

“La terribile, profonda, paurosa foiba, inghiottitoio assurdo, muta tomba dei turpi e infamanti delitti già commessi contro la nostra gente, colpevole di essere italiana, di aver tenuta alta la bandiera italiana, il tricolore”

Udovisi per una serie di casi fortuiti, primo fra tutti l’aver allentato con spasmodici movimenti il fil di ferro che, legato ai polsi, gli lacerava le carni, riuscì poi a cadere nella foiba un istante prima della raffica di mitra, nell’acqua della profondità della voragine  e si salvò, riparandosi anche dalla bomba gettata dopo l’infoibamento collettivo toccatogli in sorte.

 Riuscì dunque a salvarsi col corpo martoriato e dopo mesi di amorevoli cure da parte della madre, da Pola si trasferì in Italia e cercò rifugio a Padova, ma venne denunciato e tacciato di essere un traditore, “accusato di collaborazionismo col tedesco invasore” perché ex combattente dell’MDT: due anni di carcere, affrontati con dolore.

“Quel che mi fece più male fu la condanna, il vedermi affibbiata l’etichetta di traditore. Di chi poi? Da parte slava oppure italiana?

Udovisi si portò appresso questo interrogativo per tutta la vita, trascorsa poi serenamente tra studi e insegnamento  elementare, ma quel terrore provato sull’orlo della foiba, lo tormentò ogni notte della sua vita.

Le  foibe sono uno di quei tristi e tragici eventi che per tanto tempo sono stati insabbiati e occultati da un becero e ingiusto negazionismo, o, cosa ancor peggiore, strumentalizzati a fini politici e relegati per decenni ad un insignificante accenno nei libri di storia. Ora è stato istituito, il 10 febbraio, “Il giorno del ricordo”, per restituire finalmente il giusto e doveroso peso a questa pagina vergognosa ed ignominiosa della storia del Novecento, ma ancora una volta si è caduti nella trappola ideologica di inscatolare gli eventi sotto etichette inutili che  hanno portato ad una visione errata e distorta di ciò che è realmente successo, decontestualizzando gli eventi, a discapito delle migliaia di vittime,  divenute solo dei numeri aridamente trascritti  con calcoli veri o presunti tali, (a seconda dell’ideologia politica), volti a indurre l’immaginario collettivo a stilare infauste classifiche dell’orrore per individuare i più malvagi ed efferati  tra nazisti, comunisti, fascisti.  Altra tragica conseguenza dei mostruosi eccidi perpetrati nelle foibe, fu la sventura del popolo istriano, costretto ad un esodo di vaste proporzioni, costellato dalla sofferenze dell’ingiusto sradicamento, uno dei cui emblemi, è anche quel “magazzino 18” triestino, che contiene le  masserizie dei profughi, un doloroso spaccato di vita quotidiana rimasto lì come muto testimone.

E ancora  oggi fingiamo di non capire che la vera colpa di tutto è stato, anche in quel frangente,  il nazionalismo esasperato, che ha condotto, tramite l’intolleranza ed il razzismo, a  quella delittuosa, vergognosa e disumanizzante pratica nota con la locuzione di “pulizia etnica”.

Per questo dobbiamo leggere la testimonianza di Graziano Udovisi, come la storia di un giovane, che voleva salvare i suoi commilitoni e  difendere il fatto di sentirsi italiano, non fascista, filonazista o altro,  in un territorio conteso e martoriato (con alle spalle decine e decine di anni di controversie politiche, invasioni, divisioni, trattati), che purtroppo la brutalità della guerra aveva gettato in un infame calderone di svariati eventi diversi e concomitanti, contraddistinti da violenze ed efferatezze inenarrabili,  forieri di una confusione babelica e di una tragedia umanitaria, ancora oggi difficile da metabolizzare e capire. Questo è stato l’infausto risultato di un succedersi di sciagure in cui i Balcani sono stati fagocitati fino ai giorni nostri che sembrano riproporre la concezione presente nelle tragedie greche “sangue chiama sangue”,  secondo cui ogni delitto ha la sua punizione in una catena interminabile di disgrazie.

L'ultimo testimone Book Cover L'ultimo testimone
Graziano Udovisi
Storia
Aliberti
2010
139