Nato a Viterbo il 25 ottobre 1991, laureato in  lettere (Università della Tuscia) e appassionato di musica (jazz, prog, elettronica).

Come sono riusciti ad essere fenomenali i Fall nel 1977, in un periodo di ghettizzazioni e omologazioni punk, solo pochi altri ci sono riusciti. Da Mark Smith e compagnia bella abbiamo ricevuto un punk connotato di tribalismi, provocazioni, cinismo e aspre critiche politico-sociali.
I Fall arrivano alla riscossa con “Dragnet” e “Live At Witch Trials“, ottimi esempi del loro sound. Ritmiche ubriache, voce nevrotica e sgangherata, instabilità e insicurezza. Già in questi dischi troviamo schegge impazzite come “Frightened”, “Rebellious Jukebox”, “Psykick Dancehall”, “Muzorewi’s Daughter”, “Spectre VS Rector”, “Crap Rap” e tante altre. Sono questi gli elementi che li caratterizzano e che subiscono un processo di maturazione talmente esteso da arrivare a sfornare album eccellenti pure sul finire degli anni Ottanta.

Gli albori della band sono contraddistinti da un malefico voodoobilly primitivo che darà lezione ai Sonic Youth più sfacciati (“Totally Wired“) e dalla leggenda di Mark Smith che velocemente si imporrà come archetipo di frontman punk.
Il suo “talking blues” scende sull’ardua riflessione sociale, su storie bizzarre, sulle vicende notturne dei pub inglesi, contornato da un notevole e shockante collage noise. La voce sofferta e fuori dai canoni, quasi antiestetica (molto più di Beefheart), è seminale per tutte le decadi successive.
I loro lavori degli anni Ottanta, come “Grotesque“, smorzano la componente atonale per spostarsi verso una concezione quasi “lo-fi”, come in “Pay Your Rates” e “New Face In Hell”. Le sarcastiche e dissacranti filastrocche country/vaudeville/punk sono talmente originali che il grande John Peel se ne innamorerà perdutamente, tanto da invitarli molte volte nelle sue live session.

L’astrattezza e l’aleatorietà sono frequenti nella loro concezione artistica, quasi per pochi eletti, addirittura colta ma non spocchiosa da “intellighenzia” insomma. Mark Smith è la classica icona che o la si ama o la si odia.
Nel 1982 si giunge ad “Hex Production Hour” che aumenta la compostezza di “Grotesque“, eliminando elementi shock di “Dragnet” e consacrando l’imminente maturazione. Abbiamo composizioni lunghe dove Smith mette in mostra il suo estro, come nella deleteria “Hip Priest“. Ma l’efficacia dei Fall giunge sempre anche quando le idee sono nette e dirette. “The Classical” è l’incipit intriso di psichedelia e da un assetto dirompente che promette solo che bene. L’ottava traccia è l’altro sussulto. Ovvero “Who Makes The Nazism?“, il tipico sabbah dove Smith ci culla con il suo declamare tonante, supportato da un compatto giro di basso. Dopo questa critica ai peggiori vizi, ai mali dell’uomo e alla presa d’assalto alla bigotta borghesia si giunge al folk di “Iceland” e al prolisso delirio di “And This Day“.
Davvero ottimale è lo stato di consapevolezza dei loro mezzi, alcune ingenuità degli albori sono state mistificate e notevole è l’aver portato a termine un album fondamentale per il futuro. Questo folle treno in corsa funge da introduzione a tutte le altre meraviglie che riservano i successivi “Perverted By Language” e “Room To Live“, aventi capolavori come “Joker Hysterical Face”, “Marquis Cha Cha”, “Hard Life In Country”, “Garden”, “Eat Y’self Better”, “Hexen Definitive” e “Tempo House”.
I’m totally wired, can’t you see?

Hex Enduction Hour Book Cover Hex Enduction Hour
The Fall
Post punk, rock alternativo
1982