Nato a Viterbo il 25 ottobre 1991, laureato in  lettere (Università della Tuscia) e appassionato di musica (jazz, prog, elettronica).

1970, Germania. Florian Fricke, mente dei Popol Vuh, alimenta la scena tedesca del kraut dando alla luce “Affenstunde”. In questo lavoro si introduce la concezione compositiva del gruppo, anche se con un aspetto ancora grezzo. Spicca notevolmente il viaggio lunare della titletrack, uno degli ottimi esempi di buon uso del Moog. L’ambient è surreale, immaginifico, estasiato: si inizia con toni cupi, oscuri, per poi planare su territori paradisiaci, celestiali. Non si crea paura e shock, ma si cerca di congiungere l’uomo con pensieri alti, sommi, l’infinito ovvero. Una pratica per far lavorare l’ascoltare con la propria interiorità, e quindi una psicanalisi vera. Questo è il messaggio degli anni Sessanta e Settanta.
Poi, nel 1971, si comprende la strada da intraprendere con fermezza, e non si vuole ricreare il concetto dei Tangerine Dream, con droni elettronici e minimali (“Alpha Centauri”, “Zeit” e “Phaedra”). L’elettronica viene messa da parte, almeno intesa come elemento preponderante, e si genera l’idea di tessere melodie più vicine al raga, all’oriente e al mantra. Non a caso il capolavoro “Hosianna Mantra” (1972) regala al mondo mistici dialoghi tra piano e voce femminile (“Ah” e “Nicht Nocht Im Himmel”) e svolazzi di chitarra (“Kyrie” e la titletrack).
Nel 1971, all’alba del secondo lavoro, si piomba nel deserto, nell’Antico Egitto, alla corte del faraone. Il sound non è più un tessuto più o meno statico, ma viene arricchito di sfumature esotiche. Un’influenza che sarà arrivata sicuramente dagli Ash Ra Tempel. Ad accoglierci non sono scale mastodontiche di chitarra, bensì un intro surreale, intriso di edonismo e panismo. La riproduzione dello scorrere dell’acqua e l’amabile suono delle tabla si sposano perfettamente con i primi sibili elettronici. L’idea che si vuole rendere è di effettuare un disegno solenne, liturgico, che si concretizzi poi con il crescendo dell’ organo. Tutto ciò è ammaliante, considerando che la titletrack è uno dei primi brani registrati in una cattedrale.
“Vuh”, l’altra parte del vinile, è meno riflessiva e tende a coinvolgere maggiormente l’ascoltatore in una nube sonora. C’è un’applicazione estrema di “A Saucerful Of Secrets”. L’estasi del mantra indiano raggiunge lo zenit e l’archetipo della musica cosmica tedesca. Cori tibetani fusi nel sublime caos elettronico e percussivo che non saranno più presenti nei successivi lavori del combo, almeno con questo impatto. Infatti, nel 1972 si sfornerà un altro picco artistico, “Hosianna Mantra, avente però una struttura del tutto differente, cristallizzando di fatto il suono in un Eden idilliaco. Dopo l’ascolto di questo gruppo tutto è banale ed effimero.

In den Garten Pharaos Book Cover In den Garten Pharaos
Popol Vuh
Kosmische music
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