Nata a Milano nel 1966, dopo studi di filologia classica all'Università degli Studi di Pavia comincia a lavorare in libreria. Fa la libraia per 26 anni. Ha collaborato con case editrici quali Astoria, come lettrice dall'inglese e dal francese e per Giunti per cui ha scritto una guida on line sulle città europee. Ha collaborato con articoli e recensioni al blog SulRomanzo e al blog di approfondimento culturale Zona di Disagio. Suoi articoli sono apparsi sul sito della società di formazione Palestra della Scrittura. Ha curato blog di carattere economico e, per anni, ha lavorato come web content writer. E' autrice di due libri: Guida sentimentale alla Tuscia viterbese, una serie di brevi reportage di narrazione dei territori e Mors tua vita mea, un libro di racconti pubblicato da I Quaderni del Bardo Edizioni. Un suo racconto è pubblicato all'interno del libro Milanesi per sempre, Edizioni della Sera. Dirige la rivista L'Ottavo


Ultimo film di Robin Williams prima della sua morte, Boulevard ci dona un’interpretazione semplicemente magistrale di questo immenso attore. Un film che si gioca tutto, o quasi, sulla mimica e sulla gestualità in cui qualcuno ha voluto vedere una sovrapposizione tra “personaggio” e “uomo”. Alcuni critici, infatti, hanno pensato che l’intensità e la profonda malinconia di Nolan (il personaggio di Williams in questo film) contenesse i segni di quella depressione che, da lì a poco, lo avrebbe ucciso. Non sono d’accordo. Ma questo non sarebbe neanche importante. In fondo potrebbero essere opinioni come altre. Ma qui questo tipo di lettura rischia di non rendere giustizia alla bravura dell’attore e alla regia, così misurata, così abile a valorizzare sguardi, movimenti, gesti.
Perché tutto il film si gioca su di essi. Con quella levità che sola riesce a farsi racconto di una storia complessa e semplice nello stesso tempo. Certo, la sensibilità di un uomo tormentato e sfinito come presumibilmente era Williams in quei giorni, ha sicuramente contribuito a far entrare in risonanza la recitazione e il tormento umano. Ma sottolineare come la depressione dell’uomo sia stata la causa prima della superba prova d’attore ci sembra una forma di violenza e un inutile gioco di forzata “caccia alle cause”.
Dito Montiel, regista fattosi conoscere soprattutto per la sua Guida per riconoscere i tuoi santi, dirige qui un attore capace di restituirci un personaggio complesso, fragile e forte al contempo, tormentato, sfaccettato. Capace di “parlare” con lo sguardo prima ancora che con le parole e con una gestualità quasi appena accennata, defilata. Malinconicamente sobria. E, per questo, ancora più toccante.
Nolan Mack, questo il nome del personaggio interpretato da Robin Williams, è un uomo sulla sessantina, un uomo qualunque come si direbbe, sposato e da quasi trent’anni impiegato nella stessa banca. Una vita che si muove, dunque, su solidi binari di normalità e “scontata felicità”. Le cose cambiano quando Nolan incontra Leo, ragazzo di strada che Nolan vorrebbe strappare dalla prostituzione, dalla dipendenza dalla droga, dalla miseria. Ma anche figura che lo mette definitivamente in discussione rispetto alla sua natura, nascosta, negata, repressa per tutta la vita. Nolan è omosessuale ma, da sempre, si è sentito incapace di confrontarsi con questo, schiacciato dalla paura e dalle aspettative degli altri. Perché, in fondo, sempre di questo si tratta. Si finisce con l’assomigliare così tanto all’immagine che gli altri hanno di noi da non riuscire più a trovare un varco per essere ciò che davvero si è.
Storia non nuova certo, ma che Williams riesce a raccontare in questo film dandole un volto sofferto, dolente, cupo e dolce nello stesso momento. Tu lo guardi e nei suoi gesti, nei suoi silenzi, nei suoi sguardi, avverti tutto il suo dramma che è quello di una vita intera trascorsa fingendo. Stupende nella loro durezza le scene in cui trova il coraggio di parlare della sua omosessualità al padre quasi morente in un letto d’ospedale (e il padre trova comunque la forza di giudicarlo in silenzio girando il viso dall’altra parte) o quella in cui la moglie (che forse lo ha sempre intuito) sollecitata da Nolan ad affrontare finalmente il mondo reale gli risponde così: “Non mi è mai piaciuto il mondo reale. Per questo ho sposato te.” Frase che contiene insieme le tante contraddizioni di cui è fatto ciascuno di noi e, in questo caso, una dichiarazione di consapevolezza e negazione al contempo.
Non c’è alcun tipo di consolazione in questo film, nessun tipo di riscatto. Il titolo stesso, Boulevard, sembra evocare un viaggio, un passaggio, un percorso, una strada appunto. Con il suo portare da un’altra parte ma anche con il suo riportare nello stesso punto. Perché non sappiamo se quella notte Nolan si trovi su quel boulevard per la prima volta o no e non sappiamo neanche cosa gli succederà dopo aver finalmente trovato il coraggio di parlare della propria omosessualità.
Un film che suggerisce anche quanto sia necessario sospendere ogni giudizio sulle vite altrui. Come quella tra Nolan e sua moglie Joy, una donna che lui sicuramente ama moltissimo e con cui, per nell’assenza di quella che nella vulgata dovrebbe essere la vita matrimoniale, vive una vita piena di affetto e di gesti di cura. Una vita che, in fondo, è stata sì una mezza verità ma anche una utile scialuppa di salvataggio. Per lui e, forse, anche per la moglie.
Vi sono scene, in questo Boulevard, di puro cinema, di cupa disperazione raccontata solo con un primo piano o con dialoghi brevissimi (come quello in cui il direttore della banca chiede a Nolan se è felice ricevendo come risposta: “Credo di sì. Come tutti immagino”). Un rapido scambio che lascia pensare che, forse, il gioco delle parti nella vita ci riguarda tutti.
Se ancora non lo avete visto, procuratevelo e regalatevi un’ora e mezza di malinconica bellezza.

Boulevard Book Cover Boulevard
Regia di Dito Montiel
Drammatico
2014