Sono nata a Vicenza, città che ha visto la mia partenza e il ritorno, dopo anni passati a Roma, prima all’università e poi a confrontarmi con il mondo del lavoro. Ho fatto l’attrice, la presentatrice televisiva, l’adattatrice dei dialoghi per il doppiaggio. Sono passata sulle tavole dei palcoscenici, negli studi televisivi, tra le scenografie di Cinecittà, sono entrata nelle case di grandi maestri, conosciuto la vita di artisti e di piccoli artigiani, percorso le strade della città eterna. Ho avuto molti giorni felici nella capitale, incontrato tante persone, dalla più umile alla più boriosa, respirato l’aria di una città elefantiaca e affascinante, guardato mille tramonti con la quinta di un colle punteggiato di pini dagli alti fusti o attraverso archi e fori della sua grandezza. Ho fatto progetti, mi sono disperata, ho stretto amicizie, le ho perdute. Fino al momento in cui è diventato tutto più chiaro: abbandonare Vicenza significava abbandonare un’idea di creazione attraverso la scrittura. Non so perché ma è stato così. Oggi tutti desiderano scrivere, molti lo fanno, sembra facile, meno semplice è crearsi gli strumenti adatti, far crescere un talento mai affinato. Così ho lasciato Roma per Milano e Milano per Vicenza, la mia città. Ora esploro le mura del mio studio. Il resto lo trovate sul suo sito rossellapretto.com

Siculo-polacca la Milano di Giuseppe Cavaleri

Di Rossella Pretto

Riprende a scalpitare, la Storia, alza la voce, protesta che l’attimo divenuto sterminato è in agonia, livido, gli occhi ormai vitrei. Dilatato a dismisura. Allora si ricomincia e il bisogno avanza – lo senti, in molti ne avvertono la mancanza: di ripristinare quanto estromesso, il filo che lega all’origine. Ritenderlo per guadagnare radice e fondatezza, presenza certa, pur nello stordimento, nella linea che dallo scompiglio attenta allo scopo e al senso.

È così che un numero consistente di poeti tornano a parlare di preistoria, arpionarsi a quella roccia, la selce, che traccia la via e lascia segni. Fino a qui. In una scia di sangue e balbettii. A cui ci si appoggia per far dritta la schiena e incidere il regno dell’uomo che impone mano violenta e si dice trovando parola e catena di storie. Così nell’ultima sezione de I corpi Santi, libro d’esordio di Giuseppe Cavaleri pubblicato da Interno Poesia (2024, pp. 92, euro 13, con prefazione di Sonia Gentili). Sono prose – queste ultime di ‘L3’ – che recano due epigrafi (Stevenson e Vitruvio) tese all’arte del racconto, mentre nella prima sezione Ocean Vuong ricordava che «la memoria è una scelta». È consapevolezza emersa a posteriori se è vero, come scrive Cavaleri in una poesia di ‘Mareneve’, che «da bambini non esiste passato. / Si raccolgono i rami dalla terra / e si battono sulla cancellata: / non si bada alle ombre che ci inseguono, / alle impronte di sé che si lasciano, / alle scintille della molatura / sui corpi in continua trasformazione»: per quei bambini il mondo è «un vaso di serpi non scoperchiato».

Ma poi il tempo avanza («crescere non vale mai la pena / e non è mai tempo di tenerezze, / ma archeologia e scavo su sé stessi») e insegna, accumula e ritorna:

Adesso che gli anni sono calati

con i loro spiriti umidi sul legno,

avevamo deciso di darlo via,

il baule bordato di stagno e oro.

L’avevamo patinato di bianco,

e il verde spuntava da qualche ammanco.

Ma l’antiquario sapeva gli inganni,

faceva da anni il mestiere, ci disse

che bisognava guardare la schiena:

lì la materia si usura e il tempo

infonde il segno, rivelando il trucco.

Così vite ricoprono altre vite

tracciando un solco,

un’impronta che valica i confini

e si fa segno di un lascito:

imprimere passaggi sugli oggetti

l’atto del fare, l’atto del marchiare.

Protagonista assoluto, il tempo è percorso avanti e indietro, si sbanda tra individuo e collettività, dai ricordi d’infanzia e adolescenza del poeta al vissuto in presa diretta dei primi uomini, inermi di fronte al creato e al proprio esistere («Scagliati in un soggetto più grande, / siamo parte di un colosso che ingloba. / Cerchiamo il perché dell’essere luogo, ma sono deittici gli unici indizi: / qui e ora, dove siamo stati gettati»). Potremmo dire con Jean Luc Nancy che si accede alla verità dell’origine ogni qualvolta siamo in presenza gli uni degli altri e insieme di tutto l’essente, perché originaria è la venuta, ogni volta una, di ogni presenza del mondo. Lo spazio lo accompagna, accompagna il tempo. Quello saturato che ha ucciso la Storia. Anche lui si sposta, quindi, e si modifica, apre la raccolta puntando il faro su Milano e i Corpi Santi – i borghi fuori dalle Mura Spagnole, borghi agricoli con cascine istituiti nel ‘700, corrispondenti alle sei porte cittadine e a quelle che forse sono ancora oggi sentite come periferie – si allunga sulla Mareneve, la strada che collega la parte nord-orientale dell’Etna con la costa («è dove si nasce la misura del mondo», e Cavaleri è originario di Catania), dove si apre il giardino e piovono i ricordi, dove stanno i cimiteri (così inizialmente i Corpi Santi con i fuochi fatui) e il Borgo (anche qui), la montagna e la strada da cui guardare le cose dall’alto (perché ce n’è bisogno), e poi sfocia in Polonia. Qui, nel 2011 è stata scoperta una fossa comune risalente al Tardo Neolitico-prima età del bronzo. La Polonia, quella che apre la prima sezione con le due signore polacche sedute sulla 93, linea dell’ATM che unisce Corvetto, Milano Sud e Lambrate, tra riqualificazione e degrado: «La 93 è una ferita che raccoglie / la fame che taglia tutta Milano. / Nei minuti incerti tra buio e luce / i contorni sfumano e lo spazio / si fa una giostra di vite che migra / e prende la consistenza della luce, / che trema sugli oggetti e poi scompare».

«Questo singolare libro» scrive Sonia Gentili nella prefazione, ha «una complessa architettura», una trama che lega il tutto e si intuisce forte grazie ai nodi del poeta che stringe, stringe e cesella: «Le persone mi parlano, mi passano davanti, / mi scivolano salutandomi nel pomeriggio. / Io però non sono più io, anzi non esisto / sono solo un pozzo dove le storie finiscono / e cadono, cadono senza perdersi mai». Quelle storie sono il dono del poeta, l’argilla che salda spazi e tempi.

Forse è a loro che lo dobbiamo

il colpo di vento che c’accende dentro,

costringendo a pensare le parole

come a un’argilla da impastare.

Un ottimo esordio, questo di Giuseppe Cavaleri!

I corpi santi Book Cover I corpi santi
Giuseppe Cavaleri
Prose poetiche
Interno Poesia
2025
92 p., brossura