Vladimir D’Amora è nato a Napoli nel 1974. In poesia ha pubblicato Pornogrammia , Edizioni Galleria Mazzoli, 2015 (finalista Premio Fiumicino 2015), Neapolitana Membra , Arcipelago Itaca, 2016 (Premio Itaca 2016) Anima giocattolo (finalista Premio Trivio 2016)

Siamo tutti, vittime…?

di Vladimir d’Amora

Vittime? Dell’età e del destino e del fato e di dei e della natura ossia della forza della legge della necessità, e la natura quando viene è distruttiva e cieca…? Ecco che, se la natura ama la cata-strofe, che è il suo, proprio volgersi alle sue profonde ragioni, l’uomo ha da essere un carattere distruttivo: deve prevenirla, la natura. Perché essa, nella sua necessaria violenza e catastrofica, non afferra e annichilisce la vita nuda ossia la vita vivente, e semplicemente nata a respirare come sulla bocca di un vulcano: anche spento: in una società e cittadinanza di comode partizioni di diritti e scopi e compiti. La vita nuda, coperta soltanto dalle sue forme necessarie e inappariscenti: è, da sempre a sempre, già finita: la natura distrugge la nuda vita ossia la vita di vivente vita vestita: dall’idolo e feticcio della sacralità e intoccabilità coperta schermata: da ciò essa, la vita, viene violentata: proprio da ciò che la libera a una vita semplicemente vivente: vissuta. Quindi, la natura distruttrice va pre-venuta dal carattere distruttivo, da una politica, da un senso di comunità e di comunione: che sappia fare né decostruzione né distruzione, ma destruzione: sapendo deporre non la distruttività delle necessità e dei contesti e delle situazioni inevitabilmente umane: storiche: esistenziali; ma che sappia dismettere e dimettere ogni menzogna – e disattivare ogni schermo: come un latino verbo e deponente è il carattere distruttivo, il vero umano: è, nella sua forma, come un bambino che subisca la vita adulta, dei giganti nei suoi dintorni: come un profondo battito e infantile, che sappia agire – agire null’altro, che la sua passività: essere una porosa roccia e vesuviana, una distruzione soltanto distrutta.Questo apparire passivo, insostanziale, debole come un nome che tutto lo raccolga, l’amabile: e fragile. E inapparente feriale quotidiano e instancabile. Ma la cui opera fa attivamente il vuoto, lascia agio, fa spazio. E ama, che un altro gli sia testimone, così ambisce a essere pubblico, ad attorniarsi degli sguardi di chiunque possa abitare passando per quel vuoto, in quell’agio distruttivo. Disattivare uno schermo, è disattivare quella noia, quella pigrizia, quella anarcoide fame e chimica: che sia soltanto la risorsa data in dote a una vita: perché questa funzioni: e respiri un’aria di disumano. Di disastri soltanto inguardabili. Indimenticati. Senz’avventura.