Vladimir D’Amora è nato a Napoli nel 1974. In poesia ha pubblicato Pornogrammia , Edizioni Galleria Mazzoli, 2015 (finalista Premio Fiumicino 2015), Neapolitana Membra , Arcipelago Itaca, 2016 (Premio Itaca 2016) Anima giocattolo (finalista Premio Trivio 2016)

Burocr(h)atica Lex…

Di Vladimir D’Amora

O della forma senza una vita Vladimir d’Amora Dei processi, degli assurdi meandri delle burocrazie di uomini… E’ un dio: il loro inferno… Un dio kafkiano. Liberare la vita dalla bava inappariscente della modulistica e vivificante però, è liberare la vita dall’angelo, dal senso, dalla trascendenza: dalla luce che meriti di essere richiesta, pregata: rilasciata, accordata come un perdono, una salvezza? I ministri, i funzionari sono angeli… Ma quelli burocratici sono angeli che portano un messaggio non di salvezza, ma di condanna all’eterno ritorno della vita pietrificata in pratica, modulo, protocollo: nei limiti di un parto prolifico: ma senza condanna alcuna: né vergogna. Come liberare una vita dalla pratica d’ufficio: dall’officium della vita stessa? Liberarla, cioè, da una forma sovrana, la legalità burocratica, che non comanda dall’alto, ma non in modo eclatante e quasi anonimamente senza visibili traumatici versamenti di violenza… E da una tale formalizzazione, dalla protocollarità una vita è, dunque, in vero sacrificata, resa sacra, fatta come un prodotto di limiti e distanze: e inviolata e inviolabile? E questa violenza legale-burocratica è in vero tale? E, se non è sovranamente ingiusta ma sempre legalmente fondata, non le è forse, la vita, la esistenza troppo simile, ossia insalvabile? Non sono forse quell’aguzzino e boia di un impiegato e quella vittima che è l’utente: entrambi schiavi di un sovrano acefalo e senza mani terribilmente civili e i tentacoli e spire letali e mostruose? Non sono forse il ministro e l’impiegato, e l’utente e il cittadino: tutti complici e collusi di una scena, di un ministero e mistero mistificante e mistificato: oltre colpa e perdono: al di là e al di qua e del bene e del male: e oltre ogni salvazione e condanna? E quindi: in tale confusione non caotica: come… respirare dell’aria che non sia solo il flusso dei dati, il puzzo delle stime, l’olezzo delle tabelle dealbate o meno, e pure le flagranti fragranze dei ristori, dei punti di ritrovo, delle oasi di piacere e sentore? La legge sovranamente, ossia non violentemente ma efficientisticamente opportunisticamente grigiamente bonariamente ideologicamente magicamente psicologisticamente, imposta impiantata burocraticamente governalmente: lex insieme angelica e mercatoria: politica ed economica: provvidenzialisticamente fitness e perentoria in una perenne immodificabile e insieme contingentissima crisi: questa legge è una lex tale che, a funzionare, ossia per essere utile, il suo limite non le è esterno, come una sua contestazione e resistenza, o un suo accomodamento in una gestione (al minimo di dispendi e sforzo) dei suoi mancamenti e delle slabbrature sue e insieme inassegnabili: perché ogni agente, ogni impiegato, ogni ministro e funzionario non è che un esecutore di un ordine mai udito, mai patito: insomma mai assumibile come causa di quell’effetto che è il servizio erogato, la defaillance di prestazione, la lacuna di sistema… No, questa è una lex talmente tatuatasi nelle coscienze a macchia e d’olio e di leopardo e di governati e di governanti: una legge tanto stelleggiante nei cieli superni e cosí interiorizzatasi nei meandri di coscienze di archivisti la cui moralità e prassi di respiro non è altro che l’essersi, sempre ieri, internatosi il senso di una finalità e di una funzionalità nel suo stesso, nudo ingranato innescarsi ed esporsi (al) pubblico… – questa lex è un diritto, la cui logica forma è il suo stesso nomos giusto: questa legge è un sovrano che balbetta e scazonte per una via di soltanto giudicabilissime e riconoscibili crisi mai mortali: un sovrano che è la sua stessa flessibilità… Perché kafkianamente, ossia in una conformazione e complessione maniacalmente maniacalmente teologica: ove e quando il male è la se-curitas più chirurgica e inapplicabile: il processo accade come trial e questo procede come un miracolo: perché nessuno accusa, nessuno colpisce, nessuno espia, nessuno ringrazia: per uffici e stanze, per snodi e spiazzi dove dominano accuse e ringraziamenti, espiazioni e colpi tanto allenati a mancare il bersaglio e le loro vittime, da essere non flessibili: ma la flessibilità stessa… Quasi sirena tacita non solo, ma anche silenziosa. Perché? Perché, se si risponda, e sic si risponderá, che di fronte ai burocrati s’ha da essere perché basta e conviene essere flessibili… – allora, significa che skizzo deleuziana fuga e foucauldiana resistenza sono prodotti di potere e non risposte provenienti da un realissimo fantomatico fuori alla legge, al sistema, alla violenza, non solo. Ma anzitutto accade alla storia e a ogni storificazione mondiale, che non esista teologia, ossia dominio & gerarchicità e sacrificalità, politica opposta alla economica, ma che ogni teologia è immanente e imminente, da sempre a quest’oggi ossia da sempre a sempre, solo alla sua economicità sacrificale – alla sua mitologica ideologica presunzione di valere ossia di essere res politica: accanto ai suoi costi e pezzi prezzati… La flessibilità, cioè, è l’Oriente di ogni sovranità: la legge nasce nella sua arcontica presunzione di originarietà come originalità & flessibilità: nasce non da, ma in una sospensione economica gestionale: oblativa dépense: in una afroditica assolutizzazione di caritas & chárisma.

1. … che skizzo e resistenza sono prodotti di potere e non risposte provenienti da un realissimo fantomatico fuori alla legge, al sistema, alla violenza.

2. … che la legge contiene in sé la sua flessione e sospensione… Minacciando la contro-denuncia per mancanza: di-azione-in-ufficio: simulando un agone-trial: lasciamo procedere la legge: processando la violenza campionandone vuoti e urli, spintoni e mancamenti: realizziamo l’inane socialità di debiti crediti paure minacce – e risarcimenti fritti nel loro stesso olio di depressione!

3. … ma, una strategia (postanarchica) è una strategia che né comporti il definirsi di un indefinito, né si comandi a finalità neppure nudamente insorgenti.