Vladimir D’Amora è nato a Napoli nel 1974. In poesia ha pubblicato Pornogrammia , Edizioni Galleria Mazzoli, 2015 (finalista Premio Fiumicino 2015), Neapolitana Membra , Arcipelago Itaca, 2016 (Premio Itaca 2016) Anima giocattolo (finalista Premio Trivio 2016)

Analogico Avatar

Di Vladimir d’Amora. Scelto e selezionato dal saggista, poeta e traduttore Piero Dal Bon

Avatar – siamo noi qui, nel così detto digitale… Ma ci stiamo – ancora analogicamente.

Avatar per lo più soffriva d’insofferenza, non gradiva prendere piacere. Quando soffriva d’altro, ed era già un certo, suo piacere, Avatar restava dentro a spostare e rimontare, talvolta bastava restare per funzionare. Fuoriuscire o restare, non faceva quasi differenza. Poi si tornava.

Quando si sconnetteva, semplicemente gli restavano fuori, a sua disposizione, dei funzionamenti nudi, inimmaginati, cioè regole che, qualora lui volesse, potevano aiutarlo, potevano fargli avere delle idee sul migliore, ossia meno capzioso, dei funzionamenti. Il mondo di Avatar funzionava come una scatola chiusa sui suoi funzionamenti e sulle sue regole; conoscendo le quali Avatar era o, meglio, sarebbe stato nel suo mondo.

Quando si riconnetteva, e rientrava, cioè si traduceva, era cambiato, talvolta, quasi nulla. Talaltra tutto, all’interno, somigliava a una scatola aperta, di cui si erano, per un po’, scordate le regole di chiusura. E ciò che mutava, era il tempo nel soggiorno e della connessione.

Se un contatto era invisibile, o si era staccato, Avatar provava un piacere, o quasi una specie di piacere, commisto a delusione. Quando il disconnesso era morto, Avatar sapeva di poter contare sulla regola, secondo cui poteva anche piangere, soffrire non solo di indifferenza. Sapere di una morte, sapere, o non sapere, delle sue ragioni e delle sue modalità, corrispondeva, per Avatar, a sapere se servirsi o meno (una volta che si fosse riconnesso, o soltanto avesse aperto gli occhi e un altro dei suoi sensi, o tutti quanti) di una certa scatola e dei suoi funzionamenti.

Rispondere a una domanda, sapere un perché, per Avatar poteva essere come quella situazione, in cui uno decidesse, o meno, di restare nel suo mondo. O di lasciarlo. Ma non già per la sua più o meno evanescente copia, piuttosto per il funzionamento di questa o quella scatola, secondo l’una o l’altra regola.

A cambiare, per Avatar, erano e non erano le scatole – erano e non erano i loro funzionamenti.

Eppure Avatar preferiva, ed era questa la forma della decisione riservatagli, sapeva preferire non una somiglianza a un’altra somiglianza, ma piuttosto una permanenza a un’uscita, l’uscita alla permanenza… Connettersi o non connettersi?

In una certa scatola, però chiusa, ma non disfunzionante, non gli faceva problema ciò.