Nata a Milano nel 1966, dopo studi di filologia classica all'Università degli Studi di Pavia comincia a lavorare in libreria. Fa la libraia per 26 anni. Ha collaborato con case editrici quali Astoria, come lettrice dall'inglese e dal francese e per Giunti per cui ha scritto una guida on line sulle città europee. Ha collaborato con articoli e recensioni al blog SulRomanzo e al blog di approfondimento culturale Zona di Disagio. Suoi articoli sono apparsi sul sito della società di formazione Palestra della Scrittura. Ha curato blog di carattere economico e, per anni, ha lavorato come web content writer. E' autrice di due libri: Guida sentimentale alla Tuscia viterbese, una serie di brevi reportage di narrazione dei territori e Mors tua vita mea, un libro di racconti pubblicato da I Quaderni del Bardo Edizioni. Un suo racconto è pubblicato all'interno del libro Milanesi per sempre, Edizioni della Sera. Dirige la rivista L'Ottavo

Di Geraldine Meyer

È il gennaio del 1945 e Budapest viene distrutta, stretta nella morsa dei bombardamenti e dei colpi dell’artiglieria dell’Armata Rossa, da una parte, e dell’esercito tedesco che, per la cieca volontà di Hitler, non vuole retrocedere e porre fine all’assedio. È proprio in questo contesto che conosciamo la giovane Kinga (voce narrante di questo bellissimo Una storia ungherese di Margherita Loy) che, dalla cantina in cui ha trovato rifugio con la madre, il fratello e altri sfollati, scrive. Scrive un diario a cui affida pensieri, ricordi, paure e speranze, cercando con la scrittura di colmare il vuoto di un tempo drammaticamente lento e veloce al contempo.

I giorni dilatati dalla paura e dagli allarmi, dallo scoppio assordante delle bombe, dall’incertezza sul futuro, dalla fame e dalla morte, diventano per Kinga lo spartito su cui comporre la sua vita e una storia così tanto più grande durante la quale la giovane donna vede attorno a lei cambiare tutto, cose, persone, sentimenti. Tutto sembra ormai impregnato di odio, chi prima era amico diviene il nemico addosso a cui attaccare l’immagine di capro espiatorio, bersaglio facile per la criminalità di ogni conflitto.

In un ondeggiare tra presente e passato Kinga ricorda gli anni trascorsi in campagna nella casa della nonna materna, l’abbandono del padre, l’amore per il giovane ebreo Gyalma, costretto dalle leggi naziste a trasferirsi a Praga per poter studiare medicina, il fratello Alexander e quelle giornate trepidanti e profumate. E quella giornata sul lago Tibisco in cui la passione, la consapevolezza di avere un corpo che prova e pretende piacere, diverranno una sorta di spartiacque nella sua vita.

Poi. Poi la guerra, il chiuso della cantina e l’attesa di una vita che, terminati i bombardamenti, sarà forse ancora più dura e crudele di quella scandita dal rumore assordante delle bombe e degli spari. Kinga si troverà in un mondo in cui violenza, razzismo e odio sono divenuti la materia di cui tutti sembrano essere fatti. E la scrittura le serve proprio per cercare di comprendere come sia possibile un mondo che appare come lo specchio deformato di ciò che era prima. “Ma l’odio non è germogliato all’improvviso. Oh no. Io ho visto la gente di Budapest cambiare. […] Il controllore ha chiesto ai due zingari i biglietti. Erano anziani. Probabilmente erano arrivati a Budapest da poco. Hanno mostrato il loro biglietto. Il controllore ha detto che non andava bene. Tutti noi che eravamo lì abbiamo visto che il tagliando esibito era corretto. Alla prossima fermata scendete, il controllore aveva già la voce irata. Perché? Ecco il nostro biglietto, l’uomo glielo ha offerto di nuovo mostrando il palmo rugoso e sporco. IL tram si è fermato. Il controllore ha preso il fagotto della donna e lo ha scaraventato giù. La donna si è precipitata a recuperarlo ed è scivolata sulla neve. Il marito si è piegato per aiutarla. L’autista ha richiuso le porte e il tram è ripartito. Nessuno ha protestato. Neanche io.”

Queste, forse tra le righe più dure del libro, sono la restituzione più alta di dello smarrimento di Kinga che sente su sé stessa la ferita più profonda che una guerra possa procurare a uomini e donne: l’indifferenza. Troppo impellente il bisogno e l’urgenza di salvare sé stessi. Talmente impellenti e urgenti da travolgere e stravolgere quei legami che rendono umana l’esistenza, anche la più dura.

Questo Una storia ungherese, prima opera di narrativa (con l’espediente della forma diario) di Margherita Loy, autrice di libri per bambini, è uno spaccato degli anni forse più drammatici dello scorso secolo, in cui una storia individuale diviene la storia e la testimonianza di tutta un’epoca. Con elementi pericolosamente attuali. E anche l’idea, seppure basata su motivi precisi (che l’autrice ci racconta in conclusione) di ambientare in un altro paese e in un altro tempo la vicenda, non fanno che amplificare il messaggio di questo libro, la sua urgenza nel sollecitarci a capire come l’odio sia forse la forza più capace di valicare tempi e luoghi. E di come sia ancor più necessario, oggi, tenere desta la coscienza e l’attenzione.

Una storia ungherese Book Cover Una storia ungherese
Margherita Loy
Narrativa
Atlantide
2019
201