Nato a Montichiari (BS) nel 1976, è giornalista e critico letterario. Laureato all'Università degli Studi di Parma, scrive per varie testate tra cui il Quotidiano del Sud e L’Indice dei Libri del Mese. È caporedattore del lit-blog Laboratori Poesia e collabora con Avamposto-Rivista di Poesia e il blog Brescia si legge. Ha curato gli epistolari tra Vittorio Sereni e Roberto Pazzi e tra Carlo Cassola e Angelo Gaccione. Nel 2020 ha vinto il Premio Letterario “Lago Gerundo” per la Sezione Epistolari.

GOVONI E IL LASCITO DEL LIRISMO

di Federico Migliorati

Già specializzatosi con una tesi sul lascito lirico di Corrado Govoni, il giornalista, saggista, libraio e critico letterario ferrarese Matteo Bianchi affronta in questo libro da svariate angolature e specule, con un lavoro introspettivo basatosi su una poderosa bibliografia che coinvolge a più riprese altri autori coevi, l’esperienza e l’eredità letterarie dello stesso poeta ferrarese. Rimasto volutamente ai margini sia del Crepuscolarismo, di cui condivise specificità come la reductio del poeta a semplice cittadino e non più Vate-guida di dannunzianesima memoria, sia del Futurismo del quale rifiutò l’eliminazione del passato come ricordo in funzione dell’azione del futuro, Govoni permase distaccato anche da due secoli: dall’Ottocento che salutò ancora da adolescente, e dal Novecento, in cui pure incise a fondo con la propria produzione senza tuttavia apparire minimamente etichettabile, fuori da correnti o movimenti, lontano da ingabbiamenti e soprattutto privo di eredi e di epigoni.

Maestro gli fu soprattutto Gian Pietro Lucini, canonizzato piuttosto improvvidamente da Edoardo Sanguineti tra i “Novissimi” ad aprire il nuovo secolo, con il quale mantenne una fitta corrispondenza e tra i compagni di maggior fedeltà è da citare Aldo Palazzeschi che contribuì, su altri versanti, a uno sperimentalismo speculare al suo, senza obliare il sognatore e flâneur Filippo De Pisis. Matteo Bianchi si muove con la precisione del filologo e utilizzando il preciso bisturi del critico dando nuovamente esempio di un sagàce lavoro di ricamo, di sintesi e di profondità insieme con un volume che apre nuovi squarci nella conoscenza del poeta ferrarese e arricchendo l’esegesi e lo studio con rimandi pluridisciplinari laddove questi si prestino alla bisogna per enucleare il sostrato diretto o indiretto di certi suoi versi, di certa sua esperienza di scrittura. Nei quattro capitoli si passa da una disamina della poetica govoniana a un ideale viaggio lungo il Po e la pianura padana allo scandaglio di quei poeti che dalla realtà ferrarese (tra i quali segnatamente i da poco scomparsi Roberto Pazzi che di Bianchi fu mentore prezioso e Angelo Andreotti, per non dire del narratore-poeta Giorgio Bassani) hanno forgiato l’inizio del secolo scorso tramite gli influssi “esplosi” nel corso dei decenni sino a una curiosa e interessante vocazione della poesia quale ferita che da individuale diventa collettiva all’indomani del terremoto che sconvolse l’Emilia Romagna nel maggio 2012. Scrivere di Govoni significa partecipare a un verso che nasce come sperimentale per poi affrancarsi nel corso del tempo da certa iperattività giovanile e rinchiudersi in un hortus conclusus, in una beata solitudo lontana e fuori da ogni consorteria. In lui l’ambito agreste e bucolico così come l’elemento naturale assumono una funzione predominante, panica, il tutto arricchito da un’attenta capacità classificatoria di piante e animali. Vita e morte sono inscindibilmente legate ed egli stesso ne avrà una triste conferma allorquando il figlio Aladino perirà alle Fosse Ardeatine, tragedia destinata a segnarlo a fondo. Da ciò si invera una produzione ancora più essenziale, scarnificata, con accenti spirituali pur nella consapevole “illusione” del tutto. La mancanza, in una città per quanto di nobili tradizioni come Ferrara, di un’autorità (“un Duca”) in grado di instradare il cammino, di illuminare la via ha condotto a un proliferare di testi talvolta ripiegati su sé stessi anche se intrisi di accenti simili. In questo caso Bianchi ha inteso addivenire a una sorta di succinta antologia, di cronologico disporsi della poesia lungo un secolo che muovendo dall’eredità di Govoni ha poi proceduto per vie parallele a lasciare questa o quella impronta. La vena intimista e la ricerca di un senso di solidarietà che abbracciasse l’universo-mondo sono il sostrato più pregnante di quella generazione di scrittori in versi trovatisi a fare i conti con il terremoto del 2012 e che Bianchi, con acribia, esamina anche in rapporto ad altre forme d’arte, per inferire che, sebbene oltraggiata, la “deserta bellezza” di Ferrara è ancora feconda e capace, nonostante tutto, di brillare alla distanza.

Il lascito lirico di Corrado Govoni. Dai crepuscoli sul Po agli influssi emiliani Book Cover Il lascito lirico di Corrado Govoni. Dai crepuscoli sul Po agli influssi emiliani
Matteo Bianchi
Saggio
Mimesis
2023
198 p.,