Graziella Enna, nata nel 1969 a Oristano, laureata in lettere classiche presso l’Universita degli studi di Cagliari, insegnante di lettere.

Gli insetti nella letteratura classica

Di Graziella Enna

Con questo saggio l’autrice si è aggiudicata il primo premio del concorso Paesaggio interiore, nella sezione Saggio sul mondo classico (NdR)

Nella letteratura classica anche  piccole creature come gli insetti sono presenti in moltissime opere e acquistano una certa rilevanza per il significato e il valore che viene attribuito alla loro esistenza in relazione a quella degli esseri umani. E’ evidente che un simile rapporto simbiotico è dato dalla vicinanza dell’uomo allo stato di natura, in una condizione di equilibrio e di armonia primordiale che costituiscono il retaggio della mitica età dell’oro e divengono un motivo topico in moltissime opere di ambientazione agreste e  bucolica, (ma non solo), presenti nella letteratura greca e latina. Sarebbe un’impresa troppo grande enumerare la folta messe di autori e opere in cui si parla degli insetti, si prenderanno in considerazione alcuni esempi. In una raccolta nota come “Appendix virgiliana”, di dubbia attribuzione e datazione, è contenuto addirittura un poemetto dedicato ad una zanzara, il “Culex”. E’ sicuramente un’opera originale ascritta ad un giovane Virgilio, anche se le citazioni interne si riferiscono ad un Virgilio maturo, cosa che ha generato innumerevoli e dibattuti problemi critici. A prescindere dalle disquisizioni esegetiche sull’epillio[1], la vera protagonista ne è proprio una zanzara che assume i connotati di un’eroina del mito. La vicenda narrata nel poemetto si apre con un pastore di capre  immerso in una natura edenica e idilliaca. Mentre modula il suo canto spinge le sue greggi in un fresco luogo ombroso per sfuggire ai raggi dell’ardente Iperione. Appena trova pace presso una fonte limpida e gorgogliante, sdraiato sull’erba, abbandona le sue membra stanche al placido sonno. Un enorme serpente, dalle squamose spire, si avvicina all’uomo sibilando minaccioso. La piccola alunna della palude spaventa il pastore infierendo sul suo occhio chiuso con il suo pungiglione per sottrarlo alla morte: egli sobbalzando furibondo la schiaccia con un colpo, poi vede il rettile e, dopo averlo ucciso, fugge via pieno di terrore. La notte successiva gli appare in sogno la zanzara piena di risentimento per essere stata ingiustamente soppressa, lo rimprovera per la sua ingratitudine e deplora la sua triste sorte nell’Ade. Questo episodio si ricollega al rimprovero dell’anima di Patroclo ad Achille dormiente[2] con la differenza che l’eroe rimasto insepolto non può entrare nell’Ade, mentre la zanzara vi penetra. A questo punto si apre il vero fulcro dell’epillio, una vera e propria catabasi che richiama quella più celebre dell’Eneide[3] e ancora prima la nekyia dell’Odissea[4]. La zanzara si imbatte in tutti gli elementi topici dell’Ade: deve attraversare il fiume dell’oblio, il Lete, è traghettata da  Caronte, le vengono incontro le Erinni, Cerbero, visita le nebbiose lande dei Cimmeri, vede tutte le terribili pene infernali. Giunge poi all’Eliso, la sede dei beati enumerando moltissime anime che vi dimorano. Si apre un’ampia digressione in cui è narrato il mito di Orfeo, sceso negli Inferi per tentare di riportare in vita Euridice. La trama poi si arricchisce di mille altri miti e personaggi inclusi i nóstoi dei più celebri condottieri dopo la guerra di Troia a cui sono collegate le vicende di Enea e lo sviluppo delle gentes degli eroi romani.  Non risulta chiaro se l’opera sia un lusus e, in quanto tale, una parodia della discesa agli inferi, oppure una prova di virtuosismo poetico vista la doctrina, l’erudizione di matrice alessandrina, presente. La vera peculiarità è il punto di vista dell’animaletto e la considerazione che le viene assegnata nel divenire  protagonista di episodio importante come la catabasi di cui erano stati interpreti unicamente eroi celebri del mito. Ma non è questo l’unico tributo di onore per l’insetto morto: al termine del sogno il pastore si sveglia angustiato e gemente e decide di erigere, in un luogo protetto da verdi e fronzuti alberi, un tumulo di terra circolare intorno al quale crescono fiori d’ogni specie. Diversamente dall’uso pastorale, lo ricopre di marmo. Un siffatto tumulo, uno dei monumenti sepolcrali più solenni, tipico della tradizione etrusca, fu anche quello prescelto da Augusto: per questo alcuni critici hanno visto l’allusione al suo mausoleo ma non è chiaro se in chiave seria o parodica. Altro elemento topico è il catalogo dei fiori presente nel IV libro delle Georgiche[5], con la differenza che, in questo caso, circondano il tumulo e non si trovano in aperta campagna. Una volta terminato il sepolcro, il pastore colloca nella sua parte frontale un epitaffio di gusto tutto ellenistico:

 “O piccola zanzara, il custode del gregge a te meritevole

questo ufficio funebre  in cambio del dono della vita rende” .

L’iscrizione tombale per un animaletto morto non è certo una novità dell’autore dell’Appendix ma si inserisce nel solco della tradizione ellenistica. Nell’imponente raccolta di epigrammi denominata  Anthologia Palatina[6], si trovano molti altri epicedi che hanno come temi consueti il nome o la specie dell’animale, il rammarico delle sventurate creaturine per il fatto che  non potranno più svolgere nessuna attività nel mondo terreno, oltre a elementi descrittivi dell’Ade o riferimenti ad esso. Si può citare, in proposito, la poetessa greca Anite[7], (dalla suddetta Anthologia), che dedica alcuni suoi epigrammi a animali tra cui anche insetti, come si legge in questo componimento (VII, 190):

«Ad una cavalletta, usignolo dei solchi,
e ad una cicala, ospite delle querce,
tomba comune eresse Miro bambina;
e infantili lacrime pianse,
ché l’Ade cattivo fuggì con i suoi due balocchi.»

 I poeti dell’Anthologia parlano pero degli insetti nei loro epigrammi anche in altri contesti non solo quelli funebri. Ne offre un esempio il famoso autore Meleagro[8] che, in componimenti erotici, si rivolge ad una zanzara, cui affida un compito ben preciso e pericoloso, ma da cui trarrà un gran guadagno. (A.P. V 152)“Vola, zanzara, veloce e messaggera e sfiorando
appena le orecchie di Zenofila sussurrale così:
“Vegliando ti attende e tu, dimentica chi ti ama, dormi”.
Orsù, vola, sì, musicista, vola.
Ma parla piano, che tu non desti chi le dorme accanto
e ne susciti contro di me le furie gelose.
Se mi condurrai la fanciulla,

ti vestirò di una pelle di leone, zanzara,
e ti metterò in mano una clava.”

In un altro epigramma, sempre d’amore,  (A.P. V 151), Meleagro si riferisce in modo ironico alle  zanzare e preferisce sopportare stoicamente le dolorose punture pur di garantire alla sua amata un sonno tranquillo.

«Stridule zanzare, spudorati sifoni di sangue umano,

mostri alati della notte, un breve sonno tranquillo,

vi prego, consentite che Zenofila dorma:

 spolpate, ecco qui, le mie membra.

 Ma che serve parlare? Anche quelle belve spietate

godono a scaldarsi sulla sua tenera pelle.

Ancora v’avverto, razza maligna: deponete l’audacia

o conoscerete il peso delle mie mani gelose»

La tradizione epigrammatica funebre penetrò anche nella cultura latina e ne importò tutti i temi, incluse anche le dediche sepolcrali agli animali e agli insetti. Tra gli epigrammi di Marziale[9] troviamo questi esempi:

VI 15

In morte di una formica  

Mentre una formica vagabondava all’ombra d’un pioppo

una goccia d’ambra avvolse la fragile creatura.

Così lei che in vita fu sempre disprezzata,

è ora resa preziosa dalla sua sepoltura.

IV 32
In morte di un’ape
Si nasconde e risplende conservata in una goccia d’ambra,
un’ape, così da sembrar imprigionata nel suo stesso nettare.
Essa ha avuto un premio degno delle sue tante fatiche:
è credibile che lei stessa abbia voluto morire in tal modo.

La persistenza del genere e delle tematiche conferma perciò che il topos nei secoli ha avuto una sua consacrazione. Tornando al poemetto Culex, la presenza, in un’ampia digressione, del  famoso mito di Orfeo crea un collegamento evidente con il IV libro delle Georgiche virgiliane e in più offre lo spunto per introdurre celebri pagine dedicate all’apicoltura. Il tema è inserito nel contesto di una vita agreste in cui si può realizzare una perfetta armonia tra uomo e natura. La congerie umana secondo l’ideologia virgiliana dovrebbe seguire l’esempio della società delle api, comunità ideale in cui vige un’organizzazione precisa e ordinata: i beni sono posti in comunione, i compiti suddivisi equamente tra tutti i membri dell’alveare, ogni ape lavora in modo infaticabile per sé e per la comunità, dominano la concordia e la fedeltà assoluta al re. Tutte godono degli stessi diritti e hanno, parimenti, dei doveri, come risulta dai seguenti passi:

vv.153-169  184-190 “Solo loro hanno in comune i figli, un’unica casa per tutte, e vivono seguendo leggi rigorose, solo loro riconoscono sempre la patria, il focolare, e sapendo che tornerà l’inverno in estate si sottopongono a fatica per riporre in comune ciò che si procurano. Così alcune provvedono al cibo e secondo un accordo stabilito si affannano nei campi; una parte, nel chiuso delle case, pone come base dei favi lacrime di narciso e glutine vischioso di corteccia, poi vi stende sopra cera tenace; altre accompagnano fuori i figli svezzati, speranza dello sciame; altre accumulano miele purissimo e colmano le celle di limpido nettare. Ad alcune è toccata in sorte la guardia delle porte e a turno osservano se in cielo le nubi minacciano pioggia, raccolgono il carico delle compagne in arrivo e, schierate a battaglia, cacciano dall’alveare il branco ozioso dei fuchi: ferve il lavoro e il miele fragrante odora di timo.”

Per tutte uguale il turno di riposo, per tutte il turno di lavoro: la mattina sfrecciano fuori, e non c’è sosta; poi, quando la sera le induce a lasciare campi e pasture, solo allora tornano a casa e pensano a se stesse; in un brusio crescente ronzano intorno all’arnia davanti alle entrate. Quando infine dentro le celle vanno a riposare, cala il silenzio della notte e un giusto sonno pervade le membra stanche”.

Un altro aspetto peculiare delle api è che non sono sottoposte alla schiavitù dell’eros, sono insensibili al fascino di Venere, perciò per un dono divino si rigenerano attraverso un prodigio senza doversi accoppiare. Proprio per fornire la spiegazione di quest’unicità, Virgilio inserisce un poemetto mitologico alla maniera alessandrina, un epillio, che costituisce la parte finale del quarto libro ma anche dell’intero poema. Il pastore e apicultore Aristeo, disperato per la morte improvvisa delle sue api, apprende dal multiforme Proteo l’ira delle ninfe contro di lui per aver causato la morte di una di loro, Euridice, moglie di Orfeo. La fanciulla era stata infatti morsa da una serpe mentre Aristeo la rincorreva spinto dal desiderio amoroso. È così narrata la lunga vicenda di Orfeo che scende negli Inferi, (la stessa narrata nel Culex), per riportarla in vita ma la perde irrimediabilmente. Aristeo, per placare le ninfe, dovrà compiere un sacrificio di quattro tori e quattro giovenche dalla cui putrefazione rinasceranno gli sciami dalle api: è la cosiddetta “bugonia”, cioè la nascita dal corpo dei buoi. In questo modo la narrazione virgiliana svolge una funzione eziologica cioè descrive l’origine del fenomeno della rinascita delle api, infatti con una struttura circolare della narrazione si riallaccia al punto in cui aveva iniziato a spiegarne l’origine. Anche il motivo eziologico, derivato dalla poetica alessandrina, penetra nella cultura latina e vi si consolida. Ecco i versi 281-286 e  554-558 che espongono l’inizio e la fine del prodigio.

“Ma se a qualcuno d’improvviso muore tutto lo sciame e non sa come rigenerarne la specie, è tempo di svelare la straordinaria scoperta di un pastore d’Arcadia: il modo in cui dal sangue guasto di giovenchi uccisi riprodusse le api. Risalendo alle origini, esporrò dal principio tutto ciò, che si tramanda”.

“E qui d’improvviso un prodigio incredibile appare: fra le viscere disfatte degli animali per tutto il ventre ronzano le api, brulicando dai fianchi aperti, in nugoli immensi ne escono e, raccogliendosi sulla cima di un albero, pendono a grappoli dalla curva dei rami” Virgilio, con la rappresentazione del consorzio delle api in tutte le sue peculiarità, offre dunque al lettore diverse interpretazioni di natura ideologica e culturale. Un primo aspetto è relativo all’aspirazione, (in linea con la politica augustea), a un modello di società fondata sui valori della pacifica laboriosità, della giustizia, del rispetto delle tradizioni e della famiglia. Da sottolineare è il fatto che l’ape nel mondo antico sia il simbolo tramite cui si manifesta la nozione di anima come spirito purificato pronto a riunirsi con il mondo celeste, in altre parole la vita che trionfa sulla morte, lo spirito puro che rinasce dalla materia putrida. Un’implicazione importante  riguarda anche la figura di Aristeo che, pur essendo apicoltore, indegnamente si discosta dalla castità e dalla purezza delle api per cedere alle pulsioni dell’eros e provocare la morte di un’innocente ninfa. Lo stesso Aristotele[10] avvalora la purezza attribuita alle api e sostiene che la ricerchino e la amino  aliene da ogni forma di corruzione. Le include tra gli animali sociali che vivono in un gruppo organizzato, i cui componenti si adoperano per un fine comune e si spartiscono le occupazioni, proprio come l’uomo, le vespe, le formiche e altre specie. Inoltre si contraddistinguono anche per il fatto di sottomettersi ad un capo. Una lode all’operosità e all’altruismo delle api operaie ci giunge dal poeta greco Semonide[11]. In un componimento conforme allo stile diffamatorio del giambo e caratterizzato dalla misoginia, la “Satira delle donne”, elenca varie tipologie femminili e ne evidenzia i difetti attraverso il confronto con un animale o con un elemento naturale, in base al carattere. L’unica categoria di donne da sposare è quella  della cosiddetta “donna ape”: (vv. 83-93)

“Un’altra, poi, (la creò) dall’ape: felice chi la prende!

 Perché a questa soltanto non siede accanto il biasimo, fiorisce grazie a lei e s’accresce il patrimonio, e può invecchiare, amata, col marito che l’ama, dopo aver partorito una splendida e rinomata stirpe. Risalta il suo splendore tra tutte le donne, e grazia divina intorno le si spande.

 Né tra le donne si compiace di sedere, là dove si intrattengono in discorsi amorosi.

Di tali donne agli uomini fa benigno regalo Zeus, e sono le migliori e le più ragionevoli.

La citazione dell’ape viene considerata anche un omaggio a Esiodo[12], il quale utilizza la metafora delle donne che si adoperano con solerzia proprio come gli operosi insetti.

La presenza degli insetti nella letteratura classica, in particolar modo delle api, riveste un valore sacrale, in base a quanto detto, ma anche in riferimento al fatto che Zeus sarebbe stato nutrito di solo miele da sua madre Melissa, (nome comune dell’ape in greco). Molti sono dunque gli elementi che dimostrano l’importanza di queste specie animali anche negli autori più arcaici presi in esame. Filo conduttore ancora più rilevante è l’assimilazione culturale del mondo greco a quello latino, il rinnovamento e la rielaborazione a cui la tradizione è continuamente sottoposta che ha permesso la sopravvivenza di generi letterari, come i sopraccitati epillio ed epigramma, incluse le varie tematiche in essi trattate. In modo del tutto originale la letteratura classica in toto coniuga due mondi in cui scrittori, poeti, senza contare miti, leggende e tradizioni, confermano la centralità della natura e la dignità che ogni singola creatura merita, perfino la più minuta. In conclusione, dagli esempi addotti, tutti gli animali del creato sia quelli produttivi e alacri come le api, che quelli  notoriamente fastidiosi e molesti come le zanzare, sono onorati allo stesso modo.

Note

[1] epìllio s. m. [dal lat. tardo epyllium, gr. ἐπύλλιον, dim. di ἔπος: v. epos]. – Breve componimento poetico in esametri, caratteristico dell’età alessandrina (e imitato anche da poeti latini), di argomento epico e mitologico, ricco di quadretti di genere e descrizioni minuziose di uomini e cose umili.

[2] Omero, Iliade XXIII, 63 e seg.

[3] Virgilio,Eneide, VI

[4] Omero, Odissea, XI

[5] Virg. Georgiche, IV 116-148.

[6] L’Anthologia Palatina costituisce la raccolta più articolata e ricca dell’antichità ed è costituita da ben 3700 epigrammi appartenenti a circa 340 poeti greci dall’età arcaica all’età bizantina. La raccolta fu così chiamata perché il codice manoscritto che la riporta fu scoperto nel 1607 presso la biblioteca dell’elettore palatino di Heidelberg. La raccolta è di fondamentale importanza perché da essa dipende tutta la nostra conoscenza dell’epigramma.

[7] Anite di Tegea. – Poetessa epigrammatica vissuta probabilmente sul finire del sec. IV a. C. autrice di epigrammi (ne restano 21),  semplici ed eleganti, nei quali compare, per la prima volta nella Grecia, il sentimento bucolico.

[8] Meleagro di Gadara nacque intorno al 130 a.C. a Gadara, in Siria e morì intorno al 60 a.C.. Meleagro fu tra i primi poeti a raccogliere gli epigrammi precedenti a lui in una nuova antologia da lui chiamata Corona (o Ghirlanda) dato che ogni poeta veniva paragonato ad un fiore di una corona. Il proemio alla sua ghirlanda si trova nel quarto libro dell’Antologia Palatina

 [9]Marco Valerio Marziale, (Augusta Bilbilis, Spagna, 1 marzo del 40 d. C., Augusta Bilbilis104), trascorse la maggior parte della sua esistenza a Roma, conducendo la dura vita del poeta cliens. E’ considerato il più importante epigrammista in lingua latina e anche l’unico poeta che si sia dedicato esclusivamente a questo genere sfruttandone a fondo tutte le potenzialità e perfezionandone le tecniche.

[10] Aristotele, Historia animalium (Trattato della generazione e Le parti degli animali 488 a)

[11]SEMONIDE  di Amorgo. – Poeta giambico greco, nato a Samo; tuttavia trasse l’appellativo dall’isola di Amorgo, nella quale egli si stbilì per sfuggire dalla patria, probabilmente in seguito a lotte politiche interne. La sua età non è ben precisata: alcuni lo considerano coetaneo di Archiloco, il che porterebbe alla metà del sec. VII a. C.

[12] Esiodo, Teogonia vv. 594-602

Bibliografia

  • Maurizio Bettini, Limina, vol.3, Firenze, La Nuova Italia 2005
  • Giovanna Garbarino, Opera, vol 2, Varese, Paravia, 2004
  • Giulio Guidorizzi, Letteratura greca, Milano, Mondadori Università, 2002
  • A cura di Maria Grazia Iodice, Appendix virgiliana, Milano Fabbri Centauria, 2015
  • Virgilio, Georgiche, Milano, Garzanti 2001
  • L’immagine di copertina è un’opera di Jan Van Kessel, foto presa da wikipedia