Marcello Chinca ha svolto la professione di avvocato per venti anni sino al suo ritiro nel 2007. Svolge ora l'attività di critico letterario e d'arte. Scrittore

La questione della legittimazione del Potere 1 parte, da Platone ad Hobbes

Di Marcello Chinca

Per Platone l’organizzazione umana era dappertutto malata. L’esperienza stessa della polis era giunta al fallimento dopo la guerra del Peloponneso con annesse guerre civili che ne sono conseguite ad Atene e in tutta l’Attica e il Peloponneso, guerre civili che vedono fronteggiarsi la fazione democratica e quella aristocratica.

La spinta alla dissoluzione del suo spirito unitario aveva avuto origine con l’espansione di Atene come potenza imperiale. Atene sarebbe divenuta una città tiranna secondo un dictum attribuito a Pericle. 

Secondo Platone nella struttura dell’anima dell’uomo prevalgono sempre elementi irrazionali come il desiderio di ricchezza e l’ambizione del potere. Ciò per Platone è la causa della rovina del mondo greco. Solo con un ricondizionamento educativo secondo il filosofo si poteva indurre l’uomo alla salvezza della polis e ciò con la conduzione politica da parte dei filosofi. La stessa istanza democratica era per Platone insana perché inficiata ab origine dalla sua interna vocazione demagogica, perché inevitabilmente spinta a compiacere il proprio elettorato di provenienza. L’oligarchia al contrario è al servizio della ricchezza. 

Glaucone, fratello del primo, asserisce nel dialogo della Repubblica la predominanza della pleonexia cioè della tendenza della sopraffazione sul proprio simile di ogni singolo e ciò al solo fine di acquisire gloria e ricchezza. Glaucone si mostra come un precursore del Leviatano di Hobbes con largo anticipo, quando in specie sostiene che, per sopperire a tale tendenza, l’aggressività umana sia costretta dalla paura ad un patto di giustizia che scongiuri uno stato di guerra o di violenza interna indiscriminata. Le leggi e la giustizia come protezione dei deboli ma anche dei forti che opportunisticamente rinunciano all’istinto della violenza, tout court questo sarà il concetto cardine di tutta la filosofia sino al cristianesimo. 

Già in Platone e Glaucone sono evidenti i pericoli che la scelta della forma politica può implicare, oltre alle forme di governo suddette tutte deleterie, esiste la via occulta dei complotti, della società segreta che prosegue in forma oscura l’asservimento dei più. Da qui la lezione platonica deve ricorrere ad un artificio che curi questa malattia endemica dell’uomo, un governo retto da filosofi sarebbe la terapia prescelta, alla malattia fatale della natura dell’uomo si deve affidarci agli illuminati sottratti ad un consenso periodico, avulsi da ogni interesse umano, puri. Ma come scegliere questa classe dirigente? Tutto dipende secondo Platone dalla selezione iniziale per caratteri, cioè da una scuola formativa degli adolescenti che li vedrebbe divisi nelle categorie dei filosofi, dei militari e infine dei lavoratori e dei commercianti, chiaro che soltanto i filosofi sarebbero fuori dal congegno degli interessi in gioco. 

In Agostino nella Città di dio, dopo il sacco di Roma di Alarico, si rivendica una simile arma per liberarsi del pericolo di una guerra civile permanente, questa volta con una classe dirigente ispirata alla lezione cristiana, in cui la chiesa sia il faro di un Mondo rigenerato nel segno della virtù come espressa dai vangeli.

Bisogna arrivare ad Hobbes per comprendere come lo Stato sia ormai l’ente per eccellenza e un dato della storia formato. Hobbes parte dagli stessi presupposti di Glaucone, ossia che è la bramosia a guidare l’uomo, dall’altro esiste la paura della morte che fonda una ratio precauzionale. Dall’insieme dei due fattori non si determina mai un amore naturale tra gli uomini ma solo un contemperamento del bisogno insopprimibile del possesso o dell’ambizione, bisogno che crea uno stato di guerra permanente di tutti contro tutti. La legge e la giustizia non nascono dunque dal diritto naturale ma dall’esigenza di non scannarsi come diceva Glaucone, da ciò l’esigenza avvertita di rifuggire da una società senza leggi. Uno stato di guerra impedirebbe ogni attività umana espansiva e porterebbe alla lunga verso la distruzione del genere umano. Perciò qui vale la giustificazione della normazione valida ed effettiva verso tutti i cittadini come un principio di cautela basilare per poter sopravvivere collettivamente, concetto che troviamo in Socrate che insegna la primazia della legge anche se errata, accettando la morte invece che fuggire proprio per ribadire questa primazia che è il solo baluardo della civiltà greca, concetti che riscontriamo simili in Paolo di Tarso, in Plotino, sino al Machiavelli.

Per Hobbes però c’è un rigetto dell’idea di un ordine divino universale a fondamento della giustizia, tesi care agli stoici, ai Romani e a tutta la tradizione cristiana e medievale da Agostino a Tommaso d’Aquino. 

Vediamo più nel dettaglio le posizioni di Hobbes, perché Hobbes è stato il più acuto filosofo nella formulazione di un sistema politico che contenesse i requisiti della durata e della effettività, sganciato da ogni teologia allora vigente come da ogni pregressa formulazione ideologica se se si esclude quella della coppia Platone Glaucone.

Hobbes parte da una concezione meccanicistica della realtà vista in termini deterministici: esistono unicamente corpi fisici, non è dimostrabile un’anima, pensieri e passioni sono altrettanti movimenti relativi al corpo, prodotti da movimenti esterni. Il differenziale che distingue l’uomo dagli animali, è la capacità di congetturare eventi futuri sulla base di quanto appreso dal passato. Il solo calcolo probabilistico nasce da questo raffronto, spesso il calcolo si dimostra tuttavia fallace, altrimenti l’uomo come specie sarebbe migliorato. 

Hobbes è il primo empirista cui seguiranno Locke e Hume, tutto il conoscibile deriva solo dai dati dell’esperienza i cui risultati seguono un procedimento logico geometrico, qui accostandosi a Pitagora. 

Inoltre, Hobbes propone il nominalismo, sia logico che etico: parole e concetti sono creazioni arbitrarie degli uomini, “bene”, “male”, “giusto” e “ingiusto” non hanno una radice extra umana, non provengono da dio.

Gli uomini sono condannati alla pleonexia, Hobbes qui è pessimista, questo istinto di prefazione è parte dell’essere uomo, ogni volta l’uomo si sforzi di procurarsi i mezzi per soddisfare i propri interessi costui entra in conflitto con l’altro. Proprio perciò si avverte la necessità’ dello Stato, questo Leviathan che ‘fa ribollire come pentola il gorgo, fa del mare come un vaso di unguenti. Nessuno sulla terra è pari a lui, fatto per non aver paura. Lo teme ogni essere più altero; egli è il re su tutte le bestie più superbe. » (Giobbe 40:25-32, 41:1-26), monstrum giuridico, implacabile quando è richiesta la ferocia, al contempo mezzo di moderazione degli istinti, ente super partes nei conflitti di classe, esattore, esecutore di sentenze quando la norma è violata, Stato che Hobbes così descrive:

«Io autorizzo e cedo il mio diritto di governare me stesso a quest’uomo o a questa assemblea di uomini, a questa condizione, che tu gli ceda il tuo diritto, e autorizzi tutte le sue azioni in maniera simile. Fatto ciò, la moltitudine così unita in una persona viene chiamata uno stato, in latino civitas. Questa è la generazione di quel grande Leviatano o piuttosto – per parlare con più riverenza – di quel Dio mortale, al quale noi dobbiamo, sotto il Dio immortale, la nostra pace e la nostra difesa.»

Solo con lo Stato si garantirà la sicurezza degli individui, a condizione che questi rinuncino ai propri diritti naturali – eccetto uno, quello alla vita – 

Sarà dunque necessario un potere coercitivo statale.che faccia rispettare il patto. Una volta che i diritti di tutti gli individui sono stati trasferiti al sovrano, tale trasferimento è per Hobbes ritenuto irreversibile se non per abdicazione del sovrano stesso. Nonostante si affermi uno Stato assoluto la sfera economica rimane libera di agire, per cui Hobbes rimane uno dei precursori del liberalismo moderno.

Hobbes si schiera decisamente contro l’insurrezione, difatti la resistenza del suddito al sovrano non sarebbe che una riproposizione dello stato di natura, all’interno del quale tutti hanno diritto a tutto, e la vittoria ricadrebbe nella sfera del più forte.

Hobbes esprime la sua preferenza per la monarchia, in quanto un’assemblea può più facilmente dividersi in fazioni e giungere alla guerra civile. La guerra civile sarebbe la ricaduta più esiziale nello stato di natura, il peggiore dei mali, peggiore della tirannide. 

Hobbes inoltre si pronuncia decisamente contro la separazione dei poteri, se i poteri dello stato agiscono di concerto non c’è ragione di tenerli separati; se invece agiscono in disaccordo, allora questo già è il primo passo verso la guerra civile e la distruzione dello Stato.

Hobbes si trova in un’epoca di profondi rivolgimenti in cui assistiamo all’inizio degli stati nazionali moderni in Inghilterra, in Francia, Spagna, Austria e Russia, ciò si compie con più decisione dopo la fine dell’idea di un impero nel segno di una universality sotto l’egida della chiesa bizantina prima, cattolica dopo, ciò si compie dopo le pandemie che devastarono l’Europa nell’alto medioevo e agli inizi del trecento, dopo la nascita del protestantesimo con Lutero e Calvino, e delle micidiali guerre di religione che durarono più di un secolo (guerra dei cento anni), ciò si compie in concomitanza con la prima formazione dell’industria manifatturiera e del lavoro salariato, quindi del fenomeno di massa dell’inurbamento nelle grandi città, sino alla scoperta del Nuovo Mondo che sconvolgerà profondamente il mondo Europeo sia a livello di economy sia culturalmente.

La situazione interna inglese nella seconda parte del ‘600 è afflitta da una crisi gravissima della legittimazione politica tra le istanze democratiche e quelle di Carlo primo, un conflitto tutto ingenerato sulle questioni di appannaggio del commercio interno ed estero e della fiscalità pro censo, ma con evidenti risvolti di carattere religioso (Presbyterian in testa). Al termine del confronto il Re finì giustiziato, Cromwell sale al potere. Il parlamentarismo pare aver vinto ma arriva la restaurazione dei Tudor tre anni dopo.

Hobbes rifugge da questi sviluppi, non perché conservatore ma per dedizione alla logica, alla filologia storica della sua teoria organica, se l’uomo cerca una stabilità di pace con l’estero come un’armonia sociale interna esso deve farsi guidare dalla legge e quindi da un sovrano super partes che sia anzitutto preservato dal giogo politico degli interessi sul tavolo. Neanche la salita al potere degli Orange e la proclamazione dei Bill of Rights che segna l’inizio della democrazia parlamentare coi correlati della divisione dei poteri tra esecutivo giudiziario e legislativo, il riconoscimento dei diritti inviolabili del singolo, la limitazione delle prerogative regali, porteranno Hobbes a riconsiderare le proprie perplessità. 

Perplessità che confrontate a quella tremenda e sanguigna contingenza politica rischiano oggi di non essere più esaustive della situazione in atto, dove la forza degli stati nazionali è compromessa da un accentrata direzione globale che esula del tutto dalla normazione del singolo stato, direzione che vede apparati bancari e finanziari, l’industria militare, quella energetica, dominare i mercati e le nazioni, esaurienti nel perseguimento del mero ‘interesse economico, ossia dell’incremento puntale del saggio del profitto ad ogni costo, evoluzione che comporta una serie di conseguenze sul pianeta, dai rischi ambientali ora evidenti, dalla minaccia di guerre devastanti, alla compressione delle forme democratiche, alla eliminazione del welfare state su scala globale, dove la funzione definita da Hobbes si mostra superata proprio dalla minaccia mortale che detta funzione di comando intendeva evitare, 

Non si può delineare l’attuale fase senza il ricorso a Marx analista del capitalismo laddove nel suo sviluppo storico si sarebbe ad un certo punto arenato ossia nella sua sovrapposizione determinata dalla sovrapproduzione, in un mercato saturo, nella agglomeration dei trust e del dominio della finanza ormai fuori controllo, indipendente dal suo substrato produttivo reale, dai rischi ambientali a quelli della sovrappopolazione, una miscela esplosiva come si vede, in cui i rischi per l’umanità non sono stati mai così vigenti e reali e per i quali manca ogni autorità di controllo che ripristini una parvenza di legalità globale che eviti il disastro in cui siamo già immersi. Marx è qui fondamentale perché riguarda ciò che abbiamo davanti gli occhi, che cioè tanto i rapporti giuridici quanto le forme dello stato non possono essere compresi né per se stessi né per l’evoluzione generale dello spirito umano come pretendeva lo Hegel, ma hanno le radici nei rapporti materiali dell’esistenza, cioè nella cosiddetta società civile e che l’anatomia della società è da riscontrarsi in prevalenza nella forma attuale della sua economia politica, da qui il corollario che la classe dominante in una data società è in pari tempo la potenza spirituale di questa società anche se il suo modello sia il più deleterio per l’umanità, da, qui la manipolazione tramite Mass media e Social media dei fatti pur se incontrovertibili. 

La produzione attuale come avrebbe affermato Marx ha ridotto la natura in un vasto bene da sfruttare, ha umiliato il lavoro in merce, in lavoro precario, in lavoro sotto pagato, ciò che ha condotto la natura alla sua distruzione inquietante e sistematica e all’alienazione dell’uomo come soggetto di diritti e doveri, visto unicamente come un prodotto tra i tanti, sottratto ad una vita privata accettata coi suoi rapporti familiari, coi suoi interessi comunitari ridotti a zero, alla mortificazione della cultura e dell’arte essendo inutili nel processo di scambio. Al tentativo stesso di denaturare l’impatto delle religioni viste come come un ostacolo alla piena globalizzazione capitalista. Più di tutto il ricorso alla guerra, spese militari sempre più ingenti, annullamenti dei trattati sulla riduzione degli arsenali atomici, intensificazione della gamma di armi chimici e batteriologiche, con spese enormi nel settore militare in ogni nazione. 

da La legittmazione del potere di Marcello Chinca

In copertina ritratto di Thomas Hobbes, di John Michael Wright, National Portrait Gallery, Londra. Foto presa da wikipedia