Laurea magistrale in lingue e letterature straniere e master MBA in lingue applicate al commercio estero. Lavoro come commerciale export dept. per una ditta manifatturiera del piacentino, ma le mie vere passioni sono i libri, il teatro, i viaggi e gli animali. In gioventù ho collaborato per un periodo per il quotidiano cittadino “Libertà”. A tempo perso mi sono occupata di traduzioni letterarie, dell’insegnamento della lingua italiana a persone straniere e di ripetizioni di inglese, francese e spagnolo per tutti. Amo la letteratura italiana, da Dante a Cavalcanti, da Angiolieri a Monti, da Leopardi a Manzoni, da Pellico a Pasolini, da Fallaci a Marone. Ammiro Augias per il suo modo di parlare, eredità da preservare di un tempo ormai andato. Sono un’inguaribile sognatrice permeata di pessimismo! Amo le letterature straniere (Chateaubriand, Yourcenar, Austen, Shelley, Bronte, Orwell, Wolf, Salinger, London, Bach, Sepulveda, Cohelo, Dostoevskij, Bulgakov, le pioniere americane quali Susanna Rowson, alcuni nomi che mi vengono in mente rapidamente). Mi appassiona il teatro (l’opera, ma anche la prosa di Ibsen, Shaw) a teatro però, in sala; non sopporto l’opera in tv.

La donna degli albero. Fuggire per ritrovarsi

Di Stefania Carini

La donna degli alberi, di Lorenzo Marone è un diario-romanzo, una donna in fuga dalla città, dal mondo moderno dominato dalla fretta, dall’individualismo, dal voler sempre avere ragione, dalla plastica, dai cellulari, dai social, dal voler dominare gli altri. Una donna in fuga da se stessa, dal suo non vivere, dal suo sentirsi vinta ma non spenta,
sconfitta dal mondo che lascia e nel quale non si ritrova più, nel quale forse non si è mai trovata, ma che ha
sempre vissuto ed attraversato ogni giorno, schiacciando il suo vero io, il grido con il quale tutti veniamo al
mondo ma che non tutti sanno riconoscere ed udire prima di andarsene.

Una donna adulta, nella maturità di se stessa, con addosso, fuori e dentro, i segni di una vita che l’ha graffiata, ferita, violata, senza però cancellare in lei la gentilezza e la voglia di riscatto, la voglia di riprendersi il tempo che le è dato.
Ottobre, l’autunno incombe e la Donna lascia il suo quotidiano senza rimpianti, senza nemmeno la
convinzione che qualcuno la cercherà o sentirà la sua mancanza, lei stessa non sente la mancanza di
nessuno, e si rifugia nella vecchia baita di famiglia ai piedi del Monte, custode della Valle. Non cerca il
passato, non cerca i ricordi, ma i ricordi arrivano, l’infanzia, le estati trascorse in quei luoghi con i genitori,
sprazzi di rivelazioni sul suo rapporto con la madre e il padre. Momenti ed episodi che solo ora, donna
adulta e piegata, è in grado di sentire appieno per poterne cogliere il senso profondo e l’insegnamento
intrinseco.

Il Bosco, gli Alberi, gli Animali, il Monte, la Valle, le sue sole certezze consolatrici, la sua forza. Un lungo inverno da attraversare, da far passare, sola in una baita di alta montagna a mezz’ora a piedi dal paese. L’istinto primordiale di sopravvivenza a noi stessi e alla nostra mente, la lotta contro le costrizioni della vita creata, la rabbia che genera azione e permette di restare vivi e vigili, senza diventare però esseri rabbiosi.
Come spesso accade, e come altrettanto spesso dimentichiamo, gli incontri casuali cambiano le cose, ci
cambiano la vita da dentro, l’io più vero e profondo. Lo Straniero, anima raminga e ferita come lei che ha
quale missione ripopolare di piante il fianco sventrato del Monte, dare vita a qualcosa che resterà anche
dopo di lui, piantare un seme che darà riparo ad animali e conforto a viandanti per secoli. Saranno i loro
silenzi, il loro saper stare ed essere senza voler chiedere e conoscere la storia dell’altro a tracciare il
sentiero. La Guaritrice, curva vecchietta, muta bambina, che vive della dolcezza e della contentezza delle
anime semplici, custode dell’antica sapienza del Bosco come una madre insegna e arriva a consolare e
lenire nel momento del bisogno, per lasciare poi di nuovo la libertà di essere soli, soli per scelta, non per
solitudine. Questa è la grande conquista, la rivincita. La Rossa, la locandiera che insieme alla figlia con
dignità sfama e nutre chiunque entri nella sua locanda, con il cibo, con il vino, ma anche con i sorrisi e la
silenziosa presenza a tavola. La Benefattrice, che dispensa la compassione e la devozione della fede dei
semplici onorando la quotidiana resa alla consuetudine. Donne che si capiscono senza parlarsi, senza
raccontarsi i dettagli delle reciproche vite. I loro occhi e il loro incedere quotidiano svelano quel che c’è da
comprendere e sapere. Donne, madri, che la stringono in un patto di amicizia e amore, lei donna privata
della potenza della maternità alla quale viene concesso di essere partecipe di maternità umane e animali.

Il sopraggiungere della primavera la trova superstite dell’inverno, non senza ferite però, nuove e vecchie
che a volte ritornano nel cuore della notte come spettri, spingendola verso il grido primordiale che è dentro
di lei, che è dentro ognuno di noi. Il dolore beffardo che le è stato riservato dal Monte, dall’Inverno, ai quali
però non può portare rancore, la scaverà ancora, fino a farla rinascere insieme all’estate indicandole
finalmente la via. La fatica fisica, il corpo martoriato e l’anima purificata dalla concretezza di un gesto che
resterà anche dopo di lei, per onorare lo Straniero, la Montagna, il Bosco, per assolvere e purificare se
stessa.

L’estate che piano piano volge al termine riporta a galla il suo pensiero di fare ritorno alla città, di fare pace
con se stessa e con chi ha lasciato, ma lo scorrere delle stagioni sul Monte che sovrasta la Valle le ha donato
finalmente un nome, lei che nome non aveva nel mondo: la Donna degli alberi.
Nessuno ha un nome di battesimo nel romanzo. Tutti hanno una connotazione: lo Straniero, il Boscaiolo, la
Guaritrice, la Fornaia, la Rossa, la Benefattrice, la ragazza che ha partorito, il Cane, la Volpe, il Gufo, perché
non è un nome ad identificare una creatura, un’esistenza; è l’essenza di ciò che si è, che si fa, a darci una
connotazione nella vita, nel nostro passaggio su questa Terra.
Un diario-romanzo, scritto in prima persona, al femminile, poesia fattasi prosa per l’elevazione linguistica
che Lorenzo Marone ci regala. Lo stile lirico dell’epicità dell’intramontabile ricerca di se stessi nella
modernità della voce femminile che deve disperatamente aggiustare se stessa nel tempo e nel mondo dove
non si aggiusta più niente ma si butta tutto.

Un tempo sabbatico, autobiografico per l’autore, magnificamente reso dal femminino per omaggiare la
forza delle donne, per omaggiare la vita, femminile non solo a livello semantico e grammaticale, che
sembra cedere il passo e non farcela sotto il peso dell’inverno per poi esplodere di nuovo a primavera nella
fierezza e nella consapevolezza di nuove vite, appena partorite o aggiustate.
Un luogo aspro, che non accetta compromessi e non fa sconti, ma ameno in quanto sincero e severo
educatore, magnificamente descritto nei dettagli che lo connotano, la natura, gli animali, le piante, gli
abitanti; un luogo mai identificato geograficamente nel corso del romanzo, ma che esiste davvero e al quale
lo scrittore deve un ringraziamento.

La donna degli alberi Book Cover La donna degli alberi
Lorenzo Marone
Narrativa
Feltrinelli Editore
2020
224 p., brossura