Anita Mancia, nata a Roma, ha lavorato 20 anni presso l'Istituto Storico della Compagnia di Gesù come assistente bibliotecaria ed Archivista. Ha collaborato con la rivista storica dell'Istituto con articoli sulla Ratio Studiorum, la pedagogia dei gesuiti, i gesuiti presi prigionieri dai pirati e recensioni. Presso l'editore Campanotto di Udine nel 2007 ha pubblicato un volumetto di poesie.

Un rendiconto sulla sinistra italiana

Di Anita Mancia

«… Era una domanda autentica: “Ma davvero tu pensi così, che dobbiamo vergognarci per essere stati nel Pci?”. E’ stata l’unica volta, in molti anni, in cui ho avuto la sensazione di una comunicazione emotiva con D’Alema»

Questo libro, Rendiconto. La sinistra italiana dal PCI a oggi, è un cult, in realtà, perché fu pubblicato nel 2001 per la prima volta ed esce ampliato di un post scriptum a distanza di 19 anni dalla prima pubblicazione.

L’opera contiene una premessa alla nuova edizione (9-13) in cui l’autore spiega al lettore che il suo è un rendiconto dei suoi sette anni – dal 1987 al 1994 – passati a Botteghe Oscure, sede storica del Pci, lasciata definitivamente nel 2000. Petruccioli non vuole offrire un modello, pubblica il suo rendiconto solo perché pensa che possa essere utile ad altri per scrivere un proprio rendiconto, anche a persone che non condividono affatto le sue idee. Come lo ha scritto? Non in forma di diario quotidiano, ma tutto di fila a ridosso degli avvenimenti – e quali avvenimenti nell’arco di sette anni! L’89 con piazza Tien-an-men a Pechino, la caduta dei regimi comunisti, il crollo del muro di Berlino, la svolta della Bolognina e la fondazione del Pds, la segreteria di Occhetto, Mani Pulite, l’anno referendario, il governo Ciampi, la sconfitta della coalizione progressista nel 1994 e la vittoria di Berlusconi alle elezioni politiche del 1994, la fine della segreteria di Occhetto – di cui è stato partecipe testimone e attore. Ha offerto il suo rendiconto a due persone, fra le altre: Carlo Azeglio Ciampi primo ministro nel 1993 dopo il referendum del 18 aprile 1993 e Presidente della Repubblica dal 1999 al 2006, e lo storico Pietro Scoppola. Dalle loro reazioni Petruccioli si convince che il suo lavoro è interessante. Ciampi non conosceva gli eventi che stavano alla base e dietro la formazione del suo governo e Scoppola gli dice che il suo libro – che egli si ostina a chiamare brogliaccio – costituisce in realtà una fonte per coloro che in futuro scriveranno la storia degli eventi sottesi agli anni fra 1987 e 1994. Quindi lo invita a pubblicarlo. Non si tratta di una fonte oggettiva o inerte. Al contrario è una fonte sui temi che «sono ancor oggi oggetto di interesse, e spesso di polemica: non si tratta di materia fredda e inerte ma viva e calda, che stimola curiosità e accende passioni» 12.

Petruccioli racconta fatti a cui prese parte con molta lucidità, drammaticità e passione. Caratterizza e analizza offrendo dei medaglioni personalità diverse e anche opposte quali Alessandro Natta (33-38), Giancarlo Pajetta (lo spirito costituente 60-64), Achille Occhetto (quasi tutto il libro parla di lui, ma sono significative e quasi spietate le pagine che lo descrivono come dirigente prima del Pci e poi del Pds (169-172) e quelle che ci presentano Massimo D’Alema (172-176), l’opposto di Occhetto. Vale la pena citare un breve paragrafo nel quale è descritta la concezione che Occhetto ha di un gruppo dirigente per la sua puntualità e profondità, che alcuni potranno non condividere, ma che certo non perde di forza di carattere e penetrazione: «La concezione che Occhetto ha di un gruppo dirigente è molto elementare. Sicuramente non gli farò piacere, ma a me sembra che somigli all’idea del branco. C’è un capobranco che prende la testa e decide dove andare: e il branco segue. Alcuni, più tenaci, resistenti e intelligenti si raggruppano intorno al capo, lo coadiuvano, lo proteggono. Ma più tempo passa, più cammino si fa, e più nel branco si creano corpi separati i vecchi capobanda seminano disordine; se c’è qualche altro individuo alfa o che si considera tale comincia a fare scorrerie in proprio. E cresce il malumore verso “quello là davanti”» 169. Di qui a passare a D’Alema il tratto è breve. E’ il suo esatto opposto. Tutto il libro è avvincente e richiede essere disposti a una lettura attenta, che io non farò qui perché è compito del lettore. Mi sembra interessante, invece, soffermarmi sul post scriptum «Quanto è difficile “Uscire dal Pci”! In vista del centenario 1921-2021)», capitoletto che è stato scritto a febbraio del 2020, un anno fa. Quello che è mancato alla svolta per essere tale è stato un riposizionamento, una ricollocazione dell’esperienza del Pci. Questa operazione è stata fatta male o è mancata del tutto. Scrive Petruccioli: «E, anche allora, una parte di noi ha voluto la svolta per “uscire” dal Pci, mentre un’altra l’ha subìta per restarci”. I primi pensano che l’Italia abbia bisogno di una sinistra – diciamo pure di un partito – che non c’è, e non c’è mai stato, da immaginare, sperimentare, costruire. I secondi pensano che la sinistra italiana sia quello che ora c’è, che deriva dal nostro passato. La divergenza ha pesato per tutti gli ultimi dieci anni. Finora hanno vinto i secondi; il progetto della svolta non è compiuto. Ma come tutti i problemi veri, lo si può ignorare, eludere, non cancellare; resta lì davanti a noi» 295.

Il post scriptum è complesso perché contiene una risposta ad un articolo di Piero Citati del 25 marzo 20129 apparso su “La Repubblica” intitolato “Ma quanto sono bravi gli allievi di Togliatti” e la risposta di Petruccioli a Fabio Mussi, che rifiutò di aderire al Partito Democratico quando nacque nel 2007. Sono risposte appassionate e sincere che mettono in evidenza in che cosa sia consistita la doppiezza del Pci. E il bello dell’articolata risposta di Petruccioli è che «non si può accettare che un passaggio tanto rilevante e impegnativo come quello coinciso con il crollo del comunismo e con la fine del Pci, sia vissuto e proposto come un episodio di “adattamento” fra i tanti che segnano la nostra vita quotidiana”» 301. Non è un adattamento, è un dramma.  Direi che l’elemento più qualificante del discorso di Petruccioli nell’ultimo e nuovo capitoletto del libro è la concezione della storia che sta alla base della sinistra italiana e non, e soprattutto del Pci. La storia viene vista come una sorta di itinerario e, in alcuni momenti fondamentali, di passaggio sistemico fra un sistema, appunto, capitalistico e uno socialista. Questa idea sistemica della storia è sbagliata ed ha portato molti errori. E’ nata nella mente di filosofi come Marx, per esempio, che vedevano il capitale come capitalismo e come sistema che con l’avvento al potere della classe operaia sarebbe cambiato portando una società senza classi e quasi, Petruccioli non si esprime così ma quello è il senso, il paradiso in terra. Abbiamo visto coi nostri occhi che non è così. Qui inserisco una nota personale, che forse non sarebbe necessaria, ma fa parte del mio vissuto e del mio rendiconto.

Nel 1973, quando avevo 19 anni, e poi dal 1974 al 1975 con la mia famiglia feci alcuni viaggi nei cosiddetti paesi del socialismo reale. Furono molto amari e, direi, tristi. Mentre passeggiavamo – ma la parola è forse eccessiva – mentre camminavamo per le strade di Bucarest mio padre mi prese da parte e mi disse: – Anita, mi sembra di vedere il fascismo. E mio padre era di sinistra, ma era anche e molto, antifascista e sincero. Siccome i viaggi – specie quello a Praga furono per noi drammatici perché fummo trattati male in quanto occidentali – volli ripetere da sola l’esperienza di Praga nel 1981 dopo il 1975. Fu un disastro. Dissi a me stessa e a degli amici catalani con cui parlai della mia esperienza che Praga doveva risorgere, perché era una città morta. Dal 1981 non l’ho più rivista. Andai invece in ciò che restava dell’URSS nell’estate del 1991 e lì, a Murmansk, si poteva cogliere l’essenza visiva del disfacimento nelle navi da guerra,  nei negozi vuoti, nelle strade pure svuotate.

In conclusione, ad una concezione sistemica della storia se ne deve sostituire una diversa, processuale. E qui uso le parole di Petruccioli a conclusione del libro: «Liberalismo, democrazia, socialismo: non sono sistemi che si escludono, sono momenti, passaggi di un processo – mai unilineare, sempre reversibile – costruito da uomini e donne prima di noi, che conosciamo, che possiamo studiare e raccontare. Di questo processo ha fatto parte anche l’esperienza del comunismo: quello sovietico, al potere, e quello di altri comunisti come quelli italiani, che “al potere” non sono stati ma che ne hanno condiviso colpe ed errori, anche facendo violenza alla propria intelligenza e alla propria coscienza per il solo fatto che il 1917 fu considerato la rottura di un sistema e il passaggio finalmente possibile a un altro sistema. E’ questo l’errore di cui liberarsi» 339. Direi che questa è la giusta conclusione per un riesame del rendiconto dell’azione della sinistra italiana fino ad oggi, fino alla recentissima storia della sinistra di cui il Partito Democratico rappresenta, ancora una volta, un errore perché ha portato i suoi esponenti ad irrigidirsi sulle loro posizioni e storie di partenza e a non mescolare in un composto nuovo, le loro esperienze.

Rendiconto. La sinistra italiana dal PCI a oggi Book Cover Rendiconto. La sinistra italiana dal PCI a oggi
Claudio Petruccioli
Saggistica politica
La Nave di Teseo
2020
368 p., Rilegato