Vivo in Calabria, ho appena varcato la soglia dei 50 anni e lavoro come copywriter e creativo pubblicitario. Narrano le cronache che all'esame di quinta elementare mi presentai al tavolo degli insegnanti con una striscia di fumetti da me disegnata e sceneggiata come "tesina" di introduzione, provocando nel corpo docente sentimenti tra il visibilio e il disprezzo più profondo. Da allora non ho mai smesso di scrivere, alternandomi tra sceneggiature pubblicitarie e racconti di vario genere. Alcuni di questi ultimi hanno partecipato a vari concorsi letterari in giro per l'Italia, venendo in seguito pubblicati su collane online e addirittura su raccolte di libri di vera carta, dissipando i miei dubbi sulla loro reale esistenza. Da qualche anno raccolgo i miei racconti in un blog nel quale compaio come autore sotto pseudonimo. Molti dei miei racconti sono ispirati a storie vere, dalle quali scortico via il superfluo per fare venire alla luce lo scorrere della vita. O almeno ci provo.

La novità

Di Gennaro Lento

Una mattina, all’improvviso, arrivarono i marziani.

Preceduti da un soffice rumore di risucchio e in mezzo a un gran svolazzo d’erba e foglie, atterrarono proprio dalle parti di Tregambe, esattamente nel punto in cui si narra che quasi un secolo prima, il diavolo in persona apparve ad una contadina locale particolarmente procace, completamente ignudo e dotato di una virilità così notevole da farlo sembrare provvisto di tre arti inferiori invece dei canonici due, da cui il nome della località. Si racconta anche che la contadina, visibilmente sconvolta, riuscì a sfuggire dalle grinfie del satanasso e correre subito in paese ad avvertire il resto della popolazione della diabolica minaccia che incombeva sulle loro teste, mettendo in guardia le signore dall’avventurarsi su per la montagna. Come spesso accade per vicende di questo genere, del fatto esiste anche una versione meno elegiaca alimentata dalle dicerie popolari, secondo le quali il ritorno in paese della contadina non fu così immediato e che sotto le esigue spoglie diaboliche non ci fosse altri che un certo Nicola, omone alto due metri che viveva allo stato brado sulle montagne fin dalla nascita.

Ma questa è leggenda.

Nonostante si fosse in novembre inoltrato, il cielo di quella mattina era limpido e sgombro di nuvole, se si eccettuava qualche rado filamento biancastro proprio ai confini dell’orizzonte, giusto attorno alle cime dei monti Appizzutati. Così addobbati, quei picchi austeri parevano un drappello di vecchietti puntuti e barbuti messi lì a concionare di questo e di quello davanti all’ufficio delle Poste nel giorno di pensione. Senza tante manovre, gli alieni parcheggiarono la loro grossa astronave lucida in mezzo ad una radura piana, creando un certo scompiglio nel gregge lanuto impegnato a brucare l’erbetta umida proprio al centro dello spiazzo. Il primo ad accorgersi di quel disco panciuto così simile a una teiera d’argento fu il pastore Pino, che giusto in quel momento stava pigramente espletando le necessarie funzioni fisiologiche. Ricompostosi non senza difficoltà e con grave rischio d’incolumità alle parti molli, la sua prima reazione fu di incredulità. Paradossalmente pensò a qualche scherzo allestito ai suoi danni da quei furboni del bar giù in paese, tanto per farsi quattro risate alle sue spalle. Tuttavia, sebbene non fosse dotato di un’intelligenza particolarmente vivace, il pastore Pino ci mise pochi istanti per scartare questa ipotesi e rendersi conto che nessuno di quei perdigiorno poteva essere stato in grado di combinare una messinscena così grandiosa e ben rifinita e che quindi qualcosa di straordinario stava avvenendo proprio sotto i suoi occhi. Da questa riflessione si originò la sua seconda reazione, che fu quella di cavare di tasca un oggetto piatto e lucido con il quale si mise immediatamente a inquadrare l’oggetto ex-volante non identificato. All’incredulità era infatti subentrata una preoccupazione legata a fattori più contingenti. Mettiamo il caso che se ne vanno via subito, pensò angosciato, chi mi crederebbe se raccontassi una storia simile in giro? Ad ogni buon conto meglio scattare qualche foto con il cellulare che si sa, fotogallery non mente.

Comunque, quelli non sembravano voler sloggiare tanto rapidamente, anzi, a dire il vero sembrava non volessero fare proprio un bel niente. Posatosi il vortice di polvere e stoppie, l’astronave se ne stava ferma e immobile, tanto che le pecore, prontamente dispersesi all’apparire del mezzo, tornarono lente a brucare l’erba attorno ai piedoni di metallo del mezzo extraterrestre, confermandosi come bestie notoriamente insensibili al fascino dell’ignoto e ortodosse nell’osservanza della loro semplice graduatoria di necessità animali. Primo, mangiare.

Passati dieci minuti di comprensibile smarrimento e dopo un centinaio di scatti di sicurezza, il pastore uscì con cautela da dietro l’albero che gli aveva fatto da improvvisato riparo e prese a valutare la faccenda da un punto di vista pratico. Che fare? Probabilmente la prima cosa era chiamare le forze dell’ordine, loro sicuramente avrebbero saputo chi avvisare e regolarsi di conseguenza. Si, però chiamo i Vigili, ragionò con una certa logica, che i Carabinieri stanno a più di cento chilometri, hai voglia ad aspettare, non arrivano mai. E poi cosa gli dico? Che nel mio pascolo sono atterrati i marziani? Quelli minimo mi mandano a funghi. No no, chiamò Petrasso, che lo conosco e mi darà retta.

Stabilita la procedura, il pastore Pino prese a consultare il suo touch screen con aria solenne, come se fosse stato di fronte all’oracolo di Delfi. O al mago Strano, dove era andato un paio di volte insieme a Zia Finuzza per farsi togliere di dosso quell’invidia e quel malocchio che non gli permettevano di trovarsi una moglie bella e brava. A dire il vero, la prima volta che c’era andato il mago l’aveva squadrato da capo a piedi e dopo aver scosso il capo aveva sentenziato che, a parer suo, il ragazzo non aveva alcuna invidia addosso, anzi. Forse abbisognava di maggiore cura personale per rendersi più appetibile alle signorine della sua età, che ormai guardavano tutte la televisione e ciattavano col computer e di ragazzi belli ne vedevano a tutte le ore. La zia non si diede per vinta e quasi per forza si fece consegnare, dietro adeguato compenso, una boccettina piena di liquido scuro da far ingurgitare al disgraziato due volte al giorno durante il plenilunio, esclusivamente a digiuno. Manco a dirlo, di fidanzate belle e brave neanche l’ombra, figuriamoci mogli. Piuttosto, durante il periodo della cura, al povero pastore gli si sviluppavano certe bolle su tutto il corpo che ne compromettevano drasticamente la già discutibile dotazione di fascino personale. Pazienza, si vede che non era destino.

Gi, gi, gi, acca. Acca? Hamed, l’ambulante marocchino che ogni tanto lo riforniva di film pirata. Era da un po’ che non lo sentiva. Elle, elle, emme, emme, emme, O. Pa, pa, peluso, peppe. Petrasso vigile. Eccolo. Appena avvistato il nome desiderato, il pastore Pino bloccò lo scorrimento e grazie all’ausilio del solo pollice fece partire la chiamata. Potenza della tecnologia.

Il telefonino, tuttavia, sembrava muto. L’uomo guardò interrogativo lo schermo, come se una simile latitanza di operatività non fosse contemplata nel raggio delle potenzialità dello strumento. Riprovò con maggiore convinzione, quasi che l’apparecchio potesse rispondere con diversa sollecitudine a una richiesta formulata con più consapevolezza. Niente, polvere di scariche elettriche e basta. Maledisse silenziosamente la commessa del negozio, che sicuramente gli aveva rifilato un cellulare scrauso, ma appena tornato in paese si sarebbe fatto sentire, guai a loro se non glielo avessero sostituito, che diamine, era ancora in garanzia e costava come un paio di pecore. Più mortificato che spiazzato, iniziò a grattarsi la sommità del cranio, come sempre faceva quando si trovava di fronte a qualche questione di non facile risoluzione. Come molta della gente di quelle parti, non era abituato a considerare troppo a lungo le cose, prediligendo l’azione alla speculazione. In quel momento non riusciva a risolversi tra il correre al paese e avvertire gli altri, lasciando incustodite pecore e alieni, oppure attendere l’arrivo di qualche contadino di passaggio dai poderi vicini. Stava ancora valutando le due possibilità quando la soluzione del dilemma gli si presentò sotto forma di un omino magro come una canna e così curvo che sembrava cercasse qualcosa in terra mentre camminava. Era il vecchio impagliatore del paese, di ritorno dalla corvè mattutina al piccolo ricovero che faceva da casa ad un maiale destinato a trasformarsi da grezzo bozzolo maleodorante in tante bellissime farfalline profumate e appese testa in giù in cantina. Potenza della natura. Giunto accanto al pastore Pino, il vecchio si fermò e alzò lentamente il capo verso l’astronave. Poi si girò verso di lui e con una mano sul fianco gli parlò con la voce bruciata dalle innumerevoli senza filtro che gli brillavano continuamente tra le dita.

– Oi Pì, ce l’hai messa tu ‘sta cisterna in mezzo alle pecore?

Il pastore Pino lo guardò dall’alto in basso, come si può guardare un bambino quando fa una domanda sciocca.

– Che cisterna, zio Miché, questa è un’astronave aliena, viene dallo spazio, – rispose sottolineando ogni sillaba per essere certo che l’altro afferrasse bene il senso delle parole. – Ed è atterrata sulla terra mia, – aggiunse con un certo orgoglio.

Il vecchio sembrava per nulla impressionato. A uno che aveva visto mandrie di nazisti inferociti correre su e giù per la vallata a caccia di partigiani e affini per regalargli a viva forza viaggi premio negli ameni campi di concentramento tedeschi, quella cosa ferma in mezzo alla radura non destava alcuna emozione particolare, al limite un pizzico di curiosità. Rimase ancora un po’ a guardare quello spettacolo inusuale e poi fece per andarsene, che con tutte le cose che aveva da fare non era tipo da starsene là impalato con le mani in mano, neanche se c’erano i marziani. Il pastore lo vide allontanarsi e gli balenò l’idea.

– Zio Miché, me la fate una cortesia?

– Se posso, – rispose il vecchio senza voltarsi.

– Quando arrivate in paese glielo dite ai Vigili se vengono qui a controllare? Io devo restare a guardare le pecore.

Il vecchio agitò stancamente un braccio per aria, in un gesto che poteva voler dire va bene, oppure vai a quel paese. Di certo a quella velocità ci avrebbe messo almeno un paio d’ore prima di arrivare in piazza. Tanto valeva sedersi ai piedi dell’albero e aspettare, pensò il pastore Pino.

Le incredibili emozioni della giornata gli avevano messo addosso un certo appetito, così che raccolse la bisaccia e ne tirò fuori un involucro di carta spessa che conteneva il menu della giornata, consistente in due grosse fette di pane nero a fare da bastioni a un massiccio strato di frittata alle cipolle. Seduto con la schiena appoggiata al tronco dell’albero, iniziò a masticare lentamente e di gusto, accompagnando di tanto in tanto i bocconi con generose sorsate di un vino nero come l’inchiostro da una bottiglia che aveva appoggiato vicino alla gamba. Nonostante l’ora grave e fatale, appena terminato il desinare il pastore Pino cedette a quel vinello traditore e si addormentò pesantemente e con la bocca aperta. E prese a sognare di splendide alienesse che lo circondavano con le loro morbide spire e lo portavano dietro ai cespugli per esperimenti inenarrabili, mentre il mago Strano lo guardava sorridente con il suo pizzetto nero, scuotendo il gran testone in segno di approvazione. E proprio quando stava per avere il suo primo incontro ravvicinato del terzo tipo, sentì il vocione squillante di zia Finuzza che cercava di strapparlo alle creature extraterrestri con minacce e improperi, mentre sullo sfondo del sogno gli amici del bar ridevano con i denti di fuori. Neanche nelle mie fantasie mi lasci in pace, vecchia megera.

– Svegliati, svegliati su, – gli diceva la voce, mentre una mano gli scrollava bruscamente la spalla.

Ancora impastoiato tra i lacci del suo metabolismo interno, il pastore fece fatica a raccapezzarsi, come quando la mattina presto la zia lo strappava al sonno senza tanti riguardi.

– Mò arrivo, zia, dammi cinque minuti, – biascicò inebetito.

– Ma senti a questo! Quali cinque minuti? E svegliati! Possibile che dormi pure in un momento del genere? – la voce adesso si era fatta aggressiva.

Il pastore Pino si svegliò di colpo e vide su di lui gli occhi tondi del capo dei Vigili Petrasso e di altri cinque o sei paesani. All’improvviso si ricordò dell’astronave e scattò all’impiedi come fulminato da una scossa elettrica. Dentro di sé prese a maledirsi furiosamente per aver ceduto alle sue debolezze, invece di restare sveglio e all’erta a custodire la scoperta. Li conosceva quelli, sempre pronti a fregarti se non stavi attento. Non voleva che si accaparrassero gli onori dell’avvistamento, era stato lui a vederli per primo, erano atterrati nel suo terreno in mezzo alle sue pecore. I marziani erano suoi.

– Avete visto? Avete visto la novità? – strepitava impettito come un galletto in mezzo all’aia, – gli alieni!

– Certo che li abbiamo visti, non siamo mica ciechi, – rispose Petrasso.

– O addormentati, – aggiunse uno dei presenti, provocando le risatine degli altri.

– Stai tranquillo, Pinù, – disse Petrasso mettendo una mano sulla spalla del pastore e leggendogli nei pensieri, – lo sappiamo che li hai visti tu per primo, non ti preoccupare. – A sentire queste rassicurazioni il pastore Pino abbandonò l’atteggiamento guerresco afflosciandosi come un soufflé tenuto troppo in forno.

– Avete chiamato i carabinieri? – disse mentre si ripuliva gli abiti da fili d’erba e briciole di pane.

– Eh, è una parola, – il capo dei Vigili alzò gli occhi al cielo mentre con la punta del piede disegnava un semicerchio nel terreno.

– Perché?

– Stamattina non funziona niente, Pinù, – allargò le braccia sconsolato, – telefoni, radio, televisione. Tutto muto. Pure le macchine non partono, ce la siamo dovuti fare a piedi dal paese fino a qui. Deve essere questo coso che provoca interferenza, – disse indicando l’astronave.

– E mò? – fece il pastore con tanto d’occhi.

– E mò niente, ho mandato un paio di persone ad avvertire il sindaco e gli assessori e ho incaricato Rafelone di sequestrare una bicicletta e correre in città ad avvertire i Carabinieri. Speriamo che gli credano, ho i miei dubbi. Forse dovevo andare io.

Il pastore riprese a grattarsi il capo nel suo consueto gesto di riflessione.

– E le televisioni, le avete avvertite le televisioni? – esclamò con tono improvvisamente allarmato.

– Le televisioni? Questo pensa alle televisioni! Pinù, ma l’ha capita che non funziona più nulla in paese? Come le avvertivo le televisioni? Quando arrivano i Carabinieri ci penseranno loro alle cose da fare.

– Ma tu non capisci, questa è un’occasione unica per tutti noi! – disse prendendo il braccio di Petrasso e scuotendolo energicamente. – Appena si diffonderà la notizia lo sai quanta gente vorrà venire a vedere questa novità? Da tutto il mondo verrano! Questa cosa ci cambierà la vita!

– Stai calmo Pinù, è capace pure che arriva l’esercito e sequestra baracca e burattini e tanti saluti alla novità. Queste cose non si sa mai come vanno.

– Ho letto in una rivista, – s’intromise uno degli uomini, – che questi alieni atterrano un po’ dappertutto e che i governi ce lo tengono nascosto perché dicono che non siamo pronti.

– Ma quando mai hai letto una rivista tu? A parte Le Ore, e quella mica si legge, – lo apostrofò sghignazzando un altro.

– Che poi non capisco perché vengono ad atterrare propria qua, – fece un terzo allargando il braccio a comprendere il panorama, – in mezzo a questa terra ignorante.

– Forse gli si è rotta l’astronave e sono stati costretti a un atterraggio di emergenza.

– Si, mò i marziani se ne vanno in giro per lo spazio con una macchina scassata come la tua 127, – lo rimbrottò il pastore Pino, – si vede che gli piaceva questo posto, che ne sai tu. Che ci manca qui? Non ci manca niente.

– Si, come no? Un paradiso in terra, – fece sarcastico il capo dei Vigili. –Piuttosto, dimmi come sono andati i fatti, Pinù. Che cosa hai visto?

– Ero seduto qui a farmi i fatti miei, – disse il pastore aggrottando le sopracciglia, – quando questa cosa è arrivata in mezzo alle pecore senza neanche fare rumore. Plof. Si è piazzata nel campo e poi basta, non si è più mossa.

– Niente, neanche un rumore, una luce?

– Niente di niente, te lo posso giurare, – fece il pastore portandosi due dita all’altezza delle labbra, – l’ho tenuta d’occhio per tutto il tempo.

– Si, pure quando dormivi, – incalzò caustico uno degli uomini, – è capace che mentre russavi questi sono usciti e ti hanno ballato il tip tap davanti e tu neanche te ne sei accorto.

– Pinù, non è che ti hanno messo qualche sonda dentro e mò siete fidanzati? – presero a canzonarlo.

– Tanti auguri e figli maschi!

– Vafangulu!

Mentre continuavano amabilmente a discutere davanti alla cuccuma spaziale, in lontananza si poteva vedere avanzare un nutrito gruppo di persone che in fila indiana stavano per raggiungere il punto del ritrovamento. In testa al drappello c’era il sindaco in persona, tutto azzimato e con la fascia tricolore delle grandi occasioni. Nonostante una certa pinguedine, il primo cittadino teneva morbosamente alla sua immagine, tanto da sottoporsi a cicli di trattamenti all’acido ialuronico nel tentativo disperato di rimandare gli effetti dell’invecchiamento e a massacranti sedute di zumpa tenute da una polacca ex-badante che si era riciclata come ballerina da quando il suo ex-assistito era passato a miglior prospettiva. Appena saputo della novità, comprese al volo le implicazioni derivanti da un simile evento e decise di non farsi trovare impreparato di fronte ai rappresentanti di un mondo extraterrestre. Inoltre aveva costretto il vice sindaco suo cognato a portarsi appresso il pesante gonfalone cittadino che svettava inquietante tra la folla come un drappo medievale. Appena giunto davanti all’astronave sgranò gli occhi tondi da bambinone e giunse le mani in posa plastica da visione estatica. Una grassa e lucida Bernadette con i baffi.

– Amici, – esordì ieratico dopo una pausa solenne, – ci troviamo di fronte ad un fatto di portata eccezionale. Siamo testimoni del più grande evento della storia dell’umanità, qui, proprio davanti ai nostri occhi, nel nostro territorio, in mezzo alle nostre case. – Il silenzio scese denso su quegli uomini, come se solo in quel momento si fossero resi conto dell’incarico che aveva riservato loro il Destino. Pure le pecore smisero per un attimo di ruminare, guardandolo attonite.

– Dobbiamo essere onorati e degni di un simile avvenimento. Il nome del nostro comune virtuoso sarà scritto sui libri di storia e rimarrà a imperitura memoria per le generazioni future. Come vostro Sindaco mi faccio portavoce e ambasciatore per l’incontro con questa civiltà aliena, – e rivolgendosi al vicesindaco suo cognato, – alza il gonfalone Marià, che vedano bene il simbolo della nostra città.

Il pastore Pino, che all’udire quelle parole si era portato istintivamente una mano sul cuore come quando sentiva l’inno nazionale alle partite dei mondiali, pensò tra se che probabilmente anche il suo nome sarebbe stato citato nei libri di storia, sia pure in piccolo da qualche parte. Come scopritore gli sarebbe toccato anche qualche onore, che diamine, tipo quelli che attribuirono a Cristoforo Colombo, in fondo anche lui aveva scoperto un nuovo mondo. Forse quella vita grama stava per finire davvero. Il primo cittadino lo strappò alle sue riflessioni di gloria.

– Amici, – disse con sguardo elettorale rivolto alle esigue masse presenti, – ricorderemo questo giorno per sempre. Facciamo in modo di esserne degni, – e sculettando si fece largo tra loro, con la fascia che si agitava dietro come una coda di ippopotamo e tirandosi dietro il vicesindaco suo cognato che simile ad un alfiere si portava appresso il pesante fardello della storia.

Nel frattempo, a gruppi sempre più numerosi, la gente del paese cominciò ad arrivare su a Tregambe, raccogliendosi attorno al pastore Pino per apprendere dalla sua viva voce il perché e il percome di quella novità e lui tutte le volte ripartiva daccapo a raccontare, aggiungendo ogni volta particolari diversi, sempre più fantasiosi e improbabili. In men che non si dica, il passaparola tra quelli che c’erano e quelli che continuavano a sopraggiungere divenne un serpentone sempre più lungo e inverosimile, tanto che tra gli ultimi arrivati si vociferava di alieni a sette teste, coperti di aculei multicolore e dotati di poteri soprannaturali quali l’audiocronologia e la capacità di prevedere il futuro leggendo le vene varicose.

Nel pomeriggio c’era ormai tutto il paese attorno all’astronave, se si eccettuava un manipolo di irriducibili ultra centenari non deambulanti e il cagnaccio del falegname chiuso nel suo recinto a masticare l’aria. Decine di paia di occhi lustri grandi e piccoli fissavano il mezzo in attesa di un movimento qualsiasi, uno sbuffo d’aria, un peto di scappamento. La curiosità per l’imminente uscita dei marziani aveva ormai contagiato l’intero paese. Che poi erano marziani per modo di dire, visto che nessuno sapeva da dove arrivassero. Potevano benissimo essere venusiani, o plutoniani, se non provenienti da qualche lontano pianetino al di fuori della nostra galassia. Erano marziani generici, per così dire. Tuttavia il desiderio di vedere con i propri occhi uno spettacolo che nessun al modo poteva vantare di aver visto prima, li spingeva a restare nella radura, incuranti dei panni stesi ad asciugare e dei bimbi urlanti per la fame e il sonno.

Come spesso succede, la reverenza iniziale aveva lasciato spazio alla più volgare confidenza e in breve tempo centinaia di flash crepitarono sfacciati sulle pareti lustre di metallo, immortalando i paesani nelle pose più ridicole e stravaganti, a futura memoria di quella giornata straordinaria. Il brusio rispettoso dei primi minuti crebbe d’intensità, fino a diventare un vero e proprio baccano man mano che il pubblico aumentava di numero e ognuno si sentiva in diritto di dire la propria. Il Sindaco discuteva con la Giunta se non fosse il caso di allestire seduta stante un Consiglio Comunale Straordinario proprio in mezzo alla radura, in modo da non perdere di vista gli alieni nel caso avessero deciso di dare un’occhiata fuori dall’astronave. Il vecchio fabbro, un omone gigantesco e mezzo strinato dalle quotidiane esposizioni alla fornace della sua officina, sosteneva con convinzione che, se gliene avessero data la possibilità, avrebbe aperto quell’uovo metallico con i suoi attrezzi in meno di mezzora. Il barista si rammaricava di non aver portato con sé un fiasco di quello buono, che se uscivano qualcosa bisognava offrirgliela, che diamine. Il prete continuava a sudare nella lunga sottana e cercava di rispondere alle domande delle parrocchiane riguardanti la possibile fede degli alieni. Che non siano musulmani, per carità, buddisti al limite, ma non musulmani. Tra quelle ci fu qualcuna più sfacciata che gli chiese lumi su un altro ordine di caratteristiche, più legate al corpo che allo spirito. Il prete arrossì un pochino e tutte si misero a ridacchiare con i denti disponibili. Ad un certo punto, dal gruppo si alzò la proposta se non fosse il caso di andare a bussare educatamente al portello dell’astronave, non fosse altro per sincerarsi delle condizioni di salute degli alieni, visto che erano ormai parecchie ore dacché erano atterrati e non avevano dato alcun segno di vita.

Il sole era quasi al tramonto, e lasciava dietro di sé una scia di rosso stanco per la giornata appena trascorsa. Sembrava un tuorlo cremisi e bituminoso che tingeva il metallo lucido dell’astronave di riflessi quasi infernali.

Quando improvvisamente tutto tacque.

Preceduta da un leggero sbuffo d’aria dai bocchettoni laterali, l’astronave, finalmente, sembrò risvegliarsi dal letargo. In un attimo tutti si rianimarono, stringendo il cerchio attorno al mezzo. Forse ci siamo, pensò il pastore Pino. Sarebbe pure ora, eccheccazzo, pensarono quasi tutti gli altri.

Tuttavia nessun portellone si aprì. Davanti agli occhi sbarrati dei presenti, l’astronave prese a vibrare per un paio di minuti come una lavatrice in centrifuga, finché iniziò a lievitare da terra molto lentamente. Si sollevò di un paio di metri sulla folla e poi stette lì sospesa per qualche istante, come assorta. Sembrava osservarli pensosa. Lungo il metallo lucido delle paratie laterali si potevano vedere riflessi i volti sbalorditi dei paesani con le bocche spalancate. Poi, veloce come un lampo, si alzò alta nel cielo e sparì verso le profondità siderali, lasciandosi dietro una debole scia luminosa, come di strass. Così com’era arrivata, se n’era andata.

Un sentimento di amara delusione iniziò a farsi largo tra i presenti, alcuni dei quali erano da parecchie ore in attesa dell’incontro ravvicinato con la civiltà aliena. Ma come, mormoravano, noi siamo qui ad aspettare con tanta trepidazione e questi se ne vanno, senza neanche presentarsi, senza neanche salutare. Non si fa così, che diamine, di dovunque fossero è certo che sono dei gran maleducati, sparire a questo modo, proprio a noi dovevano capitare questi marziani zoticoni, volevo vedere se atterravano a Roma o a Parigi se si permettevano una simile offesa. Villani.

Un brontolio di rabbia crescente salì dalla folla delusa. Qualcuno fischiò alla pecoraia con le dita in bocca, un altro si produsse in una pernacchia di notevole impatto sonoro, accompagnata da inequivocabili gesti di disapprovazione. Il più deluso di tutti era il pastore Pino, che già si vedeva a Porta a Porta con Bruno Vespa che lo intervistava e Belen che gli faceva gli occhi dolci e lo ammazzava di spacchi e farfalline dalla poltrona di fronte. Il disgraziato già pregustava stuoli di aspiranti fidanzate pronte a cadergli ai piedi e ali di folla a lanciargli fiori, mentre portava all’altare una stangona bionda sulla sua Porsche Cabrio. Niente carrozza, che ormai ragazze romantiche non ce n’erano più. Poteva essere la svolta della sua vita. Pazienza, si vede che non era destino.

– E adesso, che si fa? – chiese con aria afflitta, interrompendo le lagnanze del pueblo unido.

La folla fece silenzio di colpo e prese a fissare il pastore Pino. Già, adesso che si fa?

– Guardate, – rispose con enfasi l’edicolante, – il mio telefono segna di nuovo la presenza di campo.

Tutti presero a consultare amorevolmente i loro figlioli digitali, costatandone con palpabile sollievo il ritorno alla vita.

– Questo significa che sicuramente anche la tv è tornata a funzionare.

Un brusio di approvazione corse tra i presenti.

– Beh, tanto ormai i marziani se ne sono andati, quindi è inutile stare qui a rimestare la cicerchia. Oggi è martedì e se corriamo facciamo in tempo a vedere Squadra Antimafia 5. Non so voi, ma io non mi voglio perdere il momento quando si apre la botola, – disse d’un fiato. E poi, dopo una pausa a effetto aggiunse, – secondo me è la Manes.

Dalla folla un anonimo tirò un bestemmione da far venire giù la chiesa con tutto il campanile. Era il segnale del rompete le righe. In fila indiana e con il Sindaco in testa, tutti s’incamminarono ingobbiti lungo la stradina che portava al paese e nella luce incerta del crepuscolo sembravano tante formiche con i testoni ciondolanti, di ritorno alla tana dopo una giornata di duro lavoro. Il primo cittadino aveva riposto la fascia tricolore e sbottonato la giacca mostrando le sue istituzionali rotondità, mentre il vicesindaco suo cognato, abbandonata ogni speme, trascinava l’onusto gonfalone simile a Nostro Signore con la croce sul Golgota.

Solo una piccola figura rimase nella radura, con gli occhi puntati verso il cielo ormai scuro, dal quale iniziavano a spuntare leste le stelle più luminose. Al suo fianco, seduto per terra e con il muso puntato in alto, un bastardino di colore indefinito spazzava rapido il terreno con la coda curiosa. Nella testa del bambino una lunga serie di domande si affastellavano le une sulle altre, nella vana attesa di un’illuminazione che sciogliesse i suoi dubbi. Domande di carattere esistenziale, del tipo chi erano quelli, da dove venivano, dove stavano andando. E altre più specifiche, se c’erano bambini nell’astronave, che giochi facevano, se avevano cingomme spaziali capaci di durare un’intera giornata. Cose così, insomma. Quesiti ai quali il bambino tentava di trovare una soluzione col naso per aria e un dito dentro a raccogliere risposte più solide, che poi abbandonava distratto sulle maniche del maglione. La meraviglia per quell’incredibile novità gli aveva lasciato il cuore in subbuglio, non riusciva a comprendere come gli altri se ne fossero potuti tornati tranquillamente alle loro case come se nulla fosse accaduto. Non erano curiosi, loro?

Nella testa del cane, invece, c’era un immenso osso volante che lo guardava ammiccante. Anche lui, essendo di natura bestiale come le pecore, tendeva ad approcciarsi alla vita attraverso un’elementare logica di necessità animali. Primo, mangiare.

Rimasero a guardare il cielo per molto tempo ancora.