Rosella Lisoni nasce a Marta, in provincia di Viterbo. Laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne e Contemporanee presso L'Università degli Studi della Tuscia con una tesi sul cinema di Pasolini, autore su cui sta scrivendo un saggio di prossima pubblicazione con la casa editrice viterbese Sette Città. Lavora nella segreteria di direzione DIBAF presso l'Università della Tuscia. Per molti anni ha scritto recensioni cinematografiche sulla rivista Cinema60

DESIREE’

Di Rosella Lisoni

Era mora, bella e con lineamenti delicati, capelli lunghi e ricci che le incorniciavano il volto, sembrava fosse fatta di vento, tanto si muoveva con eleganza e leggerezza.

Procedeva con un incedere soave e leggiadro, quasi a passo di danza, quasi a voler cancellare via la pesantezza della vita, come in volo, come ad alzarsi da terra e raggiungere mete lontane e inarrivabili.

C’era in lei qualcosa di unico, che la rendeva speciale, sembrava danzasse nell’aria ed era sempre altrove con il pensiero, indecifrabile e incomprensibile.

Un mistero per tutti, forse anche per lei, ma di un fascino unico che la rendeva incredibilmente desiderabile agli occhi del modo.

Desireé era un sogno, peccato che soltanto lei non se ne accorgesse, anzi a volte non riusciva ad accettarsi e si criticava duramente.

Ai suoi occhi appariva inespressiva, sbagliata, inadeguata, diversa dal resto del mondo, senza comprendere che era proprio questo il mistero della sua bellezza, essere una nota fuori dal coro, unica, speciale.

Forse nessuno ha mai la piena consapevolezza di ciò che realmente è, nessuno riesce mai a vedersi come appare, ma in lei tutto ciò era amplificato, enormemente dilatato, come se di sé le ritornasse un’immagine distorta, irreale.

Desireé sembrava giungere da un mondo lontano fatto di sogni e fantasia, giunta sulla terra chissà in quale arcana maniera, magari per un breve soggiorno per ritornarsene poi nel suo mondo lontano.

Nella vita però lei era entrata con prepotenza, quasi all’improvviso, svegliandosi un giorno e trovandosi a dover risolvere mille problemi più grandi lei.

Durante la sua infanzia era stata molto coccolata e viziata, ultima di cinque figli era la cocca di casa, la principessa.

Dolcezza, tenerezza, amore l’avevano avvolta infondendole un calore immenso che mai l’avrebbe abbandonata nella sua vita futura.

“L’amore donato torna sempre indietro” ripeteva Desireé, quasi come un mantra, quasi come un inno di speranza,” infondo quell’amore ci guiderà e renderà il cammino meno aspro.

Ciò che nella vita rimane sono i momenti felici vissuti, è l’amore ricevuto; la gioia vera sono le emozioni che hai provato, che affievoliscono il dolore e lo rendono accettabile” pensava spesso Desirèé, che in fondo credeva nel rosa.

La sua infanzia era stata rosa, ricca d’amore e colma di accortezze e coccole, desideri realizzati e infinita tenerezza.

Un mondo ovattato, reso ancor più roseo dall’agiatezza e dalla ricchezza che le avevano garantito tanta serenità.

Una casa accogliente, grande, ben arredata, in un quartiere residenziale, gente elegante, professionisti.

Un mondo quasi senza problemi, in cui la vita scorre liscia, senza intoppi, in cui vivere è facile.

La vita per Desireé però aveva in serbo altre sorprese, altri percorsi, altre strade, ma l’amore ricevuto nella sua infanzia sarà l’amore cercato per tutta la vita, sarà la luce, lo spirito guida della sua esistenza, la lanterna che illuminerà il suo percorso complesso, faticoso, mai banale.

Ora che era una donna di mezza età, aveva compreso che non si era ancora adagiata, al contrario molti progetti aleggiavano nella sua mente e la facevano sentire viva.

“Non mi sono mai annoiata nel mio percorso, non ho mai avuto pace, ma ogni dolore mi ha condotto là dove volevo arrivare” pensava spesso Desireé, quasi una sfida con la vita che mi ha lasciato cicatrici indelebili ma anche grandi gioie”.

Ora seduta sulla terrazza della sua casa di fronte al mare era felice, serena.

In fondo per lei “la felicità altro non era che stare in pace con se stessa, quasi uno stato di grazia in cui nulla sembra ferirti o turbarti, momenti irripetibili in cui il mondo sembra pulsare all’unisono con te.”

Di fronte al mare tutto diventa semplice, la pace, la quiete, il rumore delle onde e quella brezza così musicale che infonde una quiete infinita.

D’un tratto tutta la sua vita le passò davanti, quasi un quadro fatto di luci e ombre, in cui lei altro non era che una spettatrice che osservava senza giudicare nulla, senza rancori.

All’improvviso si era accorta che stava entrando in tempo diverso, più maturo quando il figlio Lucio che intento a riempire di benzina il serbatoio della macchina disse con tono seccato:” Se continuiamo così staremo fermi qui per ore, la benzina scorre lenta, è incredibile sono due minuti che stiamo qui e ancora non abbiamo finito”

 Desireé non aveva notato nulla e ripeté a Lucio “che fretta hai, in fondo sono due minuti soltanto che aspettiamo”.

“Che lentezza, che lentezza”, ripeteva Lucio.

La lentezza, ecco, era la lentezza che affascinava Desireé, il perdere tempo, lasciarsi trasportare dal senso del nulla, del vuoto, cercare il vuoto, mentre suo figlio doveva riempire il tempo, doveva aggiungere, lei doveva togliere, sottrarre, sottrarre il superfluo e far emergere soltanto l’essenziale, ciò che ha valore e dà valore alla vita.

Forse il senso della vita è tutto qui, nella quiete del nulla, o forse Desidereé stava invecchiando come spesso si ripeteva.

Forse il suo invecchiare altro non era che l’avvicinarsi alla saggezza, a quel sentimento che permette di vivere meglio, di gioire di poco, di diventare leggeri e apprezzare ciò che di bello la vita ti offre.

Contrariamente allo spirito giovanile che accelera tutti i sentimenti e toglie il fiato, la saggezza dell’età adulta rilassa, distende e rende tutto più soave.

Desireé aveva impiegato una vita ad accorgersene e aveva imparato a sue spese quanto il bello della vita costi caro, aveva appreso che nessuno regala nulla, che tutto va conquistato anche la serenità.

La sua casa era accogliente, come lei, infondeva un senso di serenità e di benessere, arredata con mobili antichi e tinteggiata con colori pastello.

La terrazza era la zona più bella della casa, aveva una vista mare superba, “quando mi siedo di fronte al mare mi sento in pace col mondo, mi proietto in luoghi lontani, mi sento altrove e raggiungo una sensazione di benessere che in nessun posto riesco a provare”.

Era l’unica casa che possedeva ora, dopo aver vissuto in molte case, dopo aver comprato molte case, l’unica che le era rimasta.

Aveva trascorso parte della usa vita in ville di lusso, arredate magnificamente, aveva condotto una vita agiata, fatta di viaggi, incontri, cene, ora tutto era cambiato e tutto aveva preso una piega differente, ma nella sua terrazza fronte mare Desireé era serena, era finalmente felice, non aveva nostalgia del passato.

Aveva finalmente cambiato vita, abitudini, lavoro e stava provando a ricominciare a ad essere felice, ad essere in sintonia col mondo.

Il grande salone con i divani bianchi era per lei il luogo ideale per meditare e ricordare il suo passato, ma ora i suoi pensieri si proiettavano verso il futuro, verso il nuovo, verso un tempo fatto d’attese e di silenzi.

L’attesa, il perdersi ecco, questo la caratterizzava, non una meta precisa da inseguire, non un traguardo da raggiungere.

La sua passione per i mobili d’epoca l’aveva spinta a farne un lavoro, aveva studiato a lungo l’antiquariato, fino a divenirne un’esperta; i mobili acquistati duranti i suoi viaggi poi le avevano dato la spinta ad aprire un gran negozio d’antiquariato ricco non soltanto di mobilio ma anche di tappetti e oggettistica d’antiquariato. Grazie al suo fornito negozio riusciva ancora a viaggiare per acquistare qualche pezzo raro e riusciva a condurre una vita discreta.

La sua casa ne accoglieva alcuni veramente rari e di pregio ai quali era legata non soltanto per il loro valore, ma anche dalla loro storia.

Il suo studio era interamente arredato con una libreria immensa proveniente dall’antica farmacia della zia, la quale, trovandosi a vendere il negozio, non intendeva lasciare all’acquirente il mobile pregiato decidendo di regalarlo a Desireé che aveva spazio sufficiente per accoglierlo.

  In salone era esposto un comò Luigi XV di raro valore, regalo di sua madre, acquistato da una contessa che, rimasta senza soldi, iniziò a vendere tutto ciò che possedeva per sopravvivere.

Insieme al comò la contessa vendette alla madre quasi tutto l’arredo della casa compresi una specchiera dorata e un tavolo in noce che arredavano il salone di Desireé valorizzandolo e donandone un tocco di rara eleganza accentuata anche dai tanti tappeti: due Qum e tre kilim e molti soprammobili antichi estremamente ricercati.

Ogni angolo della casa era ricco di ricordi e spesso quando Desireé guardava i suoi mobili ritornava col pensiero alla loro storia e tutto questo non la faceva sentire sola.

La casa era il luogo della memoria, la sicurezza, l’armonia, un porto sicuro dove sentirsi protetti e Desireè quando tornava a casa era immersa nel suo mondo, sentendosi avvolta e ricoperta di calore.

Ricordava spesso il giorno dell’acquisto del suo comò: era con sua madre e Lucio piccolissimo in braccio, si recarono a casa della contessa Mafalda a farle visita, ignare della sorte della nobildonna la quale le confessò di non essere più in grado di far fronte alle spese di mantenimento delle sue proprietà e perciò costretta a vendere tutto.

Sua madre Lucia allora si permise di informarla che era alla ricerca di mobili antichi per arredare la sua nuova casa e intenzionata all’acquisto del mobilio.

Desireé non pensava affatto di tornare a casa con una grande quantità di mobili e fu alquanto meravigliata dall’accaduto.

Con sua madre capitava spesso di ritrovarsi in situazioni originali e inattese, era proprio questo che affascinava Desireé, l’originalità di sua madre che col tempo Desireé fece sua, assomigliando sempre più a Lucia.

Qualcosa però la differenziava da sua madre, qualcosa che solo lei amava e ricercava: la voce del silenzio.

Desireé col tempo aveva imparato ad apprezzare il silenzio, la quiete, il susseguirsi dei pensieri quasi rarefatti, sempre più sottili, quell’armonia alla quale non è facile giungere, la somma di tutti i rumori.

Sua madre invece amava il caos, la gente, i rumori, le voci, ma col l’età Desireé intuì che per sua madre tutto ciò rappresentava quasi una droga, un mezzo per non pensare, per non restare sola con se stessa, per colmare quel vuoto che la affliggeva e la turbava.

 Lei al contrario doveva raggiungere quel vuoto, la sua essenza per trovare la pace e la serenità.

La vista del mare e il suo rumore inconfondibile la rasserenavano e l’orizzonte infinito che le si mostrava davanti la invitavano a intraprendere nuove sfide, nuovi progetti.

Non era il coraggio a mancarle, neanche il timore di sbagliare, avendo sbagliato più volte aveva imparato come tirarsi fuori dai guai, come avere la meglio.

Ora con l’avanzare dell’età aveva apprezzato la soavità, la delicatezza, arrivare alla meta a passo di danza, senza corse, senza spingere il freno sull’acceleratore.

Togliere sempre qualcosa per ottenere di più, togliere la fretta, togliere la rabbia, togliere i rancori e lasciare soltanto l’essenziale, l’essenza.

La sua vita complessa e ricca di ogni ché le aveva fatto apprezzare il valore di ciò che individua e definisce la realtà, nulla di più.

“In fondo basta poco per vivere, l’essenziale, ripeteva a se stessa Desireé, è quel poco che ci serve” e tutto ciò lei lo ritrovava nella sua casa.

Poco mobili, tutti di pregio, molta luce, il mare e un enorme camino che riscaldava l’ambiente e il cuore.

Era lì che lei si sentiva a suo agio, che meditava creava sempre qualcosa di nuovo, mobili da ristrutturare,

oggetti da limare da tinteggiare e da adattare dando loro nuova vita.

Nella sua officina sotto casa dava vita alle sue creazioni, ma le idee nascevano tutte nel suo ambiente accogliente.

La sua casa era rassicurante e colorata, accogliente e armoniosa come Desireé, quasi il suo prolungamento.

Lei che a volte si scopriva fragile, ma forte al contempo, straordinariamente potente e decisa da mettere in imbarazza il prossimo, profonda e dolce in un modo quasi imbarazzante.

La sua casa destava lo stesso effetto, straordinariamente bella ma a volte imbarazzante per l’austerità ma dolce e rassicurante per il calore che emanava.

Tanti sentimenti intrecciati, tanti stati d’animo mischiati che formavano un insieme meravigliosamente stupefacente.

Deisreé era il caldo e il freddo, la gioia e il dolore, la passione e il gelo era in tutto ciò che risiedeva il suo fascino, nel suo mistero nel suo essere non etichettabile, imprevedibile, sembra mutevole, alla ricerca di altro e sull’orlo del precipizio.

Amava il caldo, il sole, la luce, ma era attratta dall’inverno, affascinata dalla nebbia colpita dalla pioggia, non era una persona soltanto ma l’insieme di mille persone.

Era triste e felice insieme, dolce e dura, ma con un sorriso fantastico che riusciva a mettere di buon umore chiunque le fosse accanto. Il sorriso era la sua arma vincente, il suo sorriso era ammaliante e infondeva felicità.

Anche la sua casa sorrideva e metteva di buon umore, era il luogo dell’anima, era magia pura.

Anche Desireé era magica, c’era in lei qualcosa di unico, di incredibile, di raro, di infintamente etereo, irreale, che faceva di lei una creatura fatata.

Era l’elogio dell’inafferrabile, l’essenza della leggerezza, della soavità, odiava la normalità e le cose semplici, i suoi progetti erano tutt’altro che facili da realizzare, “ciò che è facile, che è comodo è banale è stupido” ripeteva sempre

Era mossa dalla passione, metteva passione in tutto ciò che faceva, perfino nel tinteggiare i suoi mobili o nel passare l’antitarlo, “senza passione non si ottiene nessun risultato “affermava spesso.

La vita non le aveva risparmiato dolori e ferite, ma lei sapeva che “il migliore amore era ancora quello scomodo, quello che ti rende incerto, insicuro, che non ti fa dormire la notte, l’amore è senza rete, è un’incognita, altrimenti è altro, è la comoda normalità” spiegava Desireè a suo figlio Lucio, quasi spaventato dall’amore e pronto a fuggire di fronte a qualunque ragazza che gli ispirasse sentimenti coinvolgenti.

La maturità l’aveva resa migliore, aveva cancellato i mille dubbi tipici della giovinezza e aveva accentuato i suoi pregi, le sue doti.

Indomita e ribelle lo era sempre stata, ora la sicurezza e la dolcezza l’avvolgevano e il suo essere divenuta autonoma e indipendente la rendevano ancor più affascinante.

La sua vita era ricca di dolori ora, di graffi, di sofferenze, ma grazie a essi era divenuta ciò che era: una creatura incredibilmente empatica ma ferma e decisa, pronta a allontanare chiunque fosse intenzionato a manipolarla, o prendersi gioco d i lei.