Erika Potenza nasce a Milano nel 1989. Dopo svariati lavori, tra Milano e Londra, decide finalmente di ascoltare quel richiamo verso la scrittura creativa. Nell’attesa dell’uscita del suo blog di poesie e racconti, si diletta nel dare voce alla sua passione.

Autopsia

Di Erika Potenza

Odi. Sai tu chi fui?… Del tuo pugnale

Sfido il morso spietato;

Qui ne l’orrida stanza sepolcrale

Ti narro il mio passato.

Il grande specchio rettangolare, illuminato da una cornice di palline di un intenso bianco, la ritraeva, mentre stava ripassando la sua parte, e con il pennello insisteva nello stendere un altro strato di fondotinta. Non era soddisfatta del trucco, vedeva ancora pallore e stanchezza sul volto. Niente da dire sui lunghi capelli castani, raccolti in uno chignon adornato da una treccia, che invece rendevano giustizia al suo viso. 

Doveva essere tutto perfetto per la serata più importante della sua vita.

Le spalle iniziarono a rilassarsi al ritmo del sali e scendi del respiro.

L’ultima settimana era stata parecchio faticosa, praticamente, a causa delle fitte prove, stava vivendo in quel teatro e la sua salute ne aveva risentito. Ne valeva la pena però, se non fosse stata così motivata, a quest’ora si sarebbe trovata davanti al solito specchio, condiviso e non più appagante.

-Il passato è passato! – Una scrollata di spalla e i ricordi scivolarono via.

Pungenti, i funghi del risotto le fecero tornare un altro conato, ma basta ansia da prestazione! Si era sforzata, deglutendo con grinta bocconi stopposi, le servivano energie perché niente e, soprattutto più nessuno, poteva fermarla.

“Signorina Amelia, posso?”

“Che c’è?”

“Scusi, ho un messaggio da parte di Armando. Ecco, lo poggio su questo tavolino. Scusi ancora, le chiudo nuovamente la porta.”

Amelia vide un grande mazzo di rose, rosse e rosa, con al centro un biglietto: “Alla mia nuova Star. Tuo Armando”.

Lo specchio mise in mostra un sorriso di candidi denti affilati e pronti a mordere l’osso che era stato conteso. Poi l’intensità della sua figura sfarfallò per un istante, presagendo un repentino, decisivo cedimento fisico. 

Il suo corpo si rovesciò a terra, morto.

***

“E son morta così, capisci, sola. Come un…un…gatto…gatto perso…”

“Come un cane perduto!”

“Certo il cane! Sola. Come un cane perduto, così son morta senza…senza… insomma…senza…”

“Senza udir parola! Grazie, per me può bastare. Armando? 

Ada Negri si è già ribaltata nella tomba, ti prego falla smettere!” 

La sceneggiatrice sussurrò ad Armando lanciando uno sguardo intriso di pietà e disprezzo.

“Decisamente…Brava, Vanessa, brava, grazie. Allora passiamo alla prossima…chiama pure…tua cugina…”

“La so tutta però! Giuro, sono solo emozionata! Comunque è mia sorella e ti ringrazio per il provino…per me, per lei…”

“Abbiamo una tabella di marcia serrata, passiamo alla prossima…”

Armando doveva tenere calma la sceneggiatrice, si trattava solo di un provino, non la stava scritturando!

“Si, Vanessa abbiamo altre ehm attrici. Stasera…”

“Il solito…Ciao Armando.”

Armando fece cenno di sì, pregustando una serata molto caliente, ma l’eccitazione venne vaporizzata subito da un’occhiataccia della sceneggiatrice. Aveva capito. Il suo uccello lo stava fottendo ancora! Quando prendeva il comando, non si accorgeva delle cazzate che combinava, ma questa volta non poteva più concedersi intralci. L’ultima era stata totalmente disinibita tra le lenzuola quanto folle da sparire senza lasciar traccia, dopo aver avviato il precedente spettacolo teatrale. 

Vanessa, bella, era bella, dritti capelli biondi che a cascata le scendevano sulla schiena nuda…sì, alla mente il ricordo della notte passata insieme, sapeva far buon uso della sua bocca, tra le lenzuola, più che sul palcoscenico. Meglio che si limitasse a fare solo la modella, oppure, dopotutto, le aveva promesso soltanto un provino, che aveva fatto, e per potersela ancora spassare, senza troppo compromettersi, forse le avrebbe potuto dare una piccola parte. 

Assorto in un importante questione per mettere pace tra ragione e basso ventre, non si era accorto che era entrata la sorella, la versione bruna e sciatta di Vanessa! Erano gemelle? 

Non poteva andare peggio, anche se non si spiegava perché, avvolta in una felpa troppo larga per la sua corporatura, occhi opachi e rosee guance, le ricordava la sua baita. Sull’annuncio immobiliare era grezza, senza rifiniture, abbandonata e grigia, ma qualcosa lo aveva attratto e andando sul posto scoprì che si trovava in una posizione da mozzare il fiato, con le alte montagne innevate attorno.

“Mi chiamo Amelia, adoro Ada Negri e questa poesia, spero di essere all’altezza.”

E son morta così, capisci, sola,

Come un cane perduto,

Così son morta senza udir parola

Di speme o di saluto!…

Come lucida e nera e come folta,

La mia chioma fluente!…

Senza un bacio d’amor verrà sepolta

Sotto la terra algente.

“Bravissima! Che interpretazione!”

La sua voce era fluida, rievocativa del dolore, della sofferenza del pezzo, sapiente nel scandire il giusto ritmo. 

Questa Amelia era una rivelazione!

Armando aveva proprio bisogno di una buona stella, che facesse tornare a brillare il suo cammino di regista teatrale e, per questa volta, si poteva complimentare con la sua smania di sesso: per vie traverse l’aveva condotto verso Amelia. 

***

Come giovine e bianco il flessuoso

Mio corpo, e come snello!

Or lo disfiora il cupido, bramoso

Bacio del tuo coltello.

Suvvia, taglia, dilania, incidi e strazia,

Instancabile e muto.

Delle viscere mie godi, e ti sazia

Sul mio corpo venduto!

Le strappò dalle mani il copione, lo lanciò contro la porta della camera, la rabbia aveva occupato anche l’ultimo spiraglio di sorellanza. Vanessa non poteva sentire Amelia recitare quella maledetta poesia della sua rovina.
“Basta! Non voglio sentirti! Non posso credere davvero che tu sia la protagonista! Non avrei mai pensato che tu…era solo per farti rendere conto che non avresti mai potuto recitare, tu!”
Si mise seduta sul letto, sbattendo i piedi, come era solita fare fin da bambina, quando, nonostante i capricci, non aveva ottenuto di farsi comprare un gioco.
“Ma io, Vane, non immaginavo di farcela, non era questo il mio obiettivo, volevo solo provarci, per una volta lanciarmi, come ha detto Nonna Ada…”
“Non tirare in mezzo nonna! Tu non puoi accettare! Tu non potresti mai reggere lo stress delle prove e poi come farai quando dovrai recitare davanti a migliaia di spettatori? Crollerai perché sei una debole, tu! Dopo tutto quello che faccio per te, giorno dopo giorno! Tu non puoi!”
La sua voce urlante avrebbe perforato le orecchie delicate di nonna Ada, se fosse stata presente, ma si era ben guardata da fare questa scenata con lei in casa.
Come aveva potuto Amelia, triste nel suo scialbo outfit jeans-felpa, capelli castani sempre raccolti in una coda che si allentava ogni dannata volta confermando il suo aspetto trasandato; tutto questo le faceva venire un nervoso, ripudiava il disordine e la noncuranza della gemella perché Vanessa era l’esatto opposto, dedita alla cura maniacale del suo corpo, mai unghie con smalto sbiadito, mai capelli scomposti, tutti i giorni in palestra, abbigliamento alla moda. 

“È ingiusto che devo essere responsabile di te! Entrambe abbiamo perso mamma e papà, ma io ne pago tutti i giorni le conseguenze, avendoti sempre tra i piedi!”

“Perché dici questo, non lo faccio apposta a sentirmi così, lo sai…”

“Lo so bene cosa stavi per fare e rimpiango quel giorno, ora. Forse è arrivato il momento di dirlo a Nonna Ada!”

“No, Vane! A nonna, ti prego, non dirlo. Lo avevi promesso! Starebbe troppo male, ti prego!”

Odiava vederla mangiare le unghie quando si agitava, arrivava al punto di farsi uscire sangue, era schifata da quelle dita contornate da pellicine e tagli. 

Per colpa del suo affetto da sorella, non l’aveva lasciata a terra, incosciente, e inoltre le aveva addirittura consegnato quel ruolo che lei desiderava da tanto, a dire il vero, quello di diventare attrici era il sogno di entrambe, ma Vanessa si sentiva di meritarlo di più.

Vanessa non si sarebbe concessa di essere sentimentale questa volta, non sarebbe stata ostacolata. Ovvio, non avrebbe mai parlato a Nonna Ada, sicuramente l’avrebbe delusa tirandosi dietro altri rimproveri, però Amelia aveva abboccato e adesso sarebbe stata disposta a tutto, pur di mantenere il segreto.

“Smettila di massacrarti le unghie! Che nervoso mi fai venire! Io non dirò nulla a Nonna Ada, come promesso, ma in cambio tu dovrai fare qualcosa per me…”

“Rinuncerò alla parte.”

“Non voglio più questo. Io so andare oltre. Se sei stata scelta tu, vuol dire che ho sottovalutato il tuo talento, che prima ignoravo, perciò accetterai la parte e mi darai lezioni di recitazione. A tempo debito, ti chiederò solo un cambio di look”.

Vanessa rise con goduria. La sua era un’idea davvero brillante, più dei glitter sulle sue unghie.

 ***

Scendi col tuo pugnale insino all’ime

Viscere, e strappa il cuore.

Cercalo nel mio cor, cerca il sublime

Mistero del dolore!…

Tutta nuda così sotto il tuo sguardo,

Ancor soffro; lo sai?…

Colle immote pupille ancor ti guardo,

Nè tu mi scorderai:

Poi che sul labbro mio, quale conato

Folle di passïone,

Rauco gorgoglia un rantolo affannato

Di maledizïone.

Ada stava leggendo la poesia, unico indizio concesso da Amelia per sapere di cosa trattava lo spettacolo; ormai mancava solo una settimana per la prima! 

Quanta strada aveva fatto Amelia, se lo meritava quella ragazza! 

Ada voleva bene alle sue nipoti, ormai da più di 5 anni erano diventate come figlie, ma si era sentita sempre più vicina a Amelia, così sensibile e buona, Dio solo sa, quanto aveva sofferto la perdita dei genitori. Invece Vanessa aveva da sempre dimostrato un carattere forte quanto eccentrico, era riuscita con abilità a farsi amici, a trovare un lavoro, anche se non le piaceva che sfilasse per tutta la vita, ammetteva che si era data da fare. Il suo unico difetto era la sua inspiegabile gelosia verso la sorella. La trattava male, sempre a mortificarla, povera, fino a quel provino. 

Sentì aprirsi la porta.

“Sei tu Vanessa?”

“Si, nonna.”

“Sei sola?”

“Si, Amelia è ancora a teatro.”

“Bene. Desideravo un momento con te. Ti chiedo scusa, tesoro. Sai bene quante ramanzine ti ho fatto perché non ti comportavi bene con Amelia, tante volte ti ho sentito insultarla e gettarle addosso delle colpe che non aveva…”

“Se le meritava quelle colpe.”

“No, non è mai stata colpa sua essere così sensibile e perciò non riuscire a recuperare in fretta, come hai fatto tu. Ti ho chiesto di prenderti cura di lei per sostenerla. Voi dovete rimanere unite, ma sullo stesso piano.”

“Unite, ma sullo stesso piano, cosa intendi nonna?”

“Intendo come stai facendo finalmente ora. Sostenerla in questo lavoro che piace anche a te, è il dono più bello che potessi fare a lei e a me. Sono orgogliosa.”

“Il dono più bello dici? Grazie, nonna. Mi hai fatto vedere ciò che non ho mai compreso.”

Ada si alzò per prendere il bollitore, le andava una tisana. Si sentiva soddisfatta di quella versione di Vanessa, più morbida e accondiscendente. 

Le cose tra loro stavano andando verso un lieto fine, se lo augurava. 

“Anche tu hai preso lo stesso vizio di Amelia?”

Fu stupita di vedere Vanessa provare a mangiarsi le unghie perfettamente smaltate. 

“Siamo entrambe nervose per la prima.”

“Comprensibile. Per fortuna hai lo smalto che ti impedisce di rovinarle, sono così ben curate le tue, non caderci anche tu nel vizio! Piuttosto ti preparo una camomilla.”

***

-Rovistando tra i ricordi degli interrogatori dei tre sospettati, il detective redigeva il rapporto sul caso dell’attrice trovata morta avvelenata nel suo camerino. Un omicidio apparentemente come gli altri. –

Ci si aspetterebbe questo, proseguendo con la lettura del racconto. Invece,  

cari lettori il racconto non è nato con l’intenzione di essere un giallo, ha preso vita da un’ossessione.

Nella mia mente uno giorno si presentò lei, di schiena, dapprima nuda poi vestita, ammirandosi allo specchio mentre recitava stralci di versi, a caso o di poesie d’autore, lei che, con il progredire delle settimane, divenne sempre più molesta. 

Mi supplicava di darle una parte in qualche mio scritto, mi opprimeva con la sua vanità; si era bella, molto bella, ma mi tormentava con la sua egocentrica presenza, mi derideva e mi denigrava perché ero incapace e non all’altezza del suo potenziale, infine minacciò di andarsene in cerca di un altro scrittore, sicuramente non smidollato, senza talento come me.

Iniziai a sentirmi frustrato, umiliato e giunse una rabbia, rossa sangue, che chiedeva giustizia, di fronte a quella gratuita umiliazione. 

Lo feci con gusto e divertimento. 

Apparecchiai la trama, misi piccoli indizi e infine la mia confessione: sono io ad aver ucciso la mia idea, che si spense al riflesso delle luci da camerino.

In copertina L’urlo di Munch