Nata a Milano nel 1966, dopo studi di filologia classica all'Università degli Studi di Pavia comincia a lavorare in libreria. Fa la libraia per 26 anni. Ha collaborato con case editrici quali Astoria, come lettrice dall'inglese e dal francese e per Giunti per cui ha scritto una guida on line sulle città europee. Ha collaborato con articoli e recensioni al blog SulRomanzo e al blog di approfondimento culturale Zona di Disagio. Suoi articoli sono apparsi sul sito della società di formazione Palestra della Scrittura. Ha curato blog di carattere economico e, per anni, ha lavorato come web content writer. E' autrice di due libri: Guida sentimentale alla Tuscia viterbese, una serie di brevi reportage di narrazione dei territori e Mors tua vita mea, un libro di racconti pubblicato da I Quaderni del Bardo Edizioni. Un suo racconto è pubblicato all'interno del libro Milanesi per sempre, Edizioni della Sera. Dirige la rivista L'Ottavo

La donna della domenica. E il teatro dell’ipocrisia borghese

Di Geraldine Meyer

Perché inserire il libro La donna della domenica  di Fruttero e Lucentini nella rubrica Alla riscoperta dei classici? Pur non ritenendo necessaria giustificazione alcuna, ci facciamo aiutare da alcune definizioni di classico date da Italo Calvino. Secondo il quale, tra le altre cose, “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire” e ancora “E’ un classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno”

Ed è forse questa seconda definizione quella che, per molti motivi, sembra poter fare da bussola nel definire classico La donna della domenica. Sì perché leggendolo non si può fare a meno di notare come elementi di quella che poteva considerarsi attualità nel momento in cui fu scritto, costituiscano un rumore di fondo pur non prevaricando, apparentemente, la trama. Eppure andando a costruirne ritmo, testo e sottotesto.

Pubblicato nel 1972 e considerato il capostipite di quello che viene chiamato “giallo italiano” La donna della domenica, narrativamente, racconta l’indagine del commissario Santamaria attorno all’omicidio dell’architetto Garrone, personaggio ambiguo la cui uccisione sarà il pretesto per entrare dietro la maschera della Torino ingessata, esteriormente immacolata, borghese e ipocrita. L’architetto viene trovato ucciso in quello che lui avrebbe voluto fosse il suo studio ma che in realtà ha le sembianze di una triste stazione di sosta del suo non far nulla. L’ironia e l’attualità, di cui abbiamo subito sentore proprio nell’arma del delitto, entrano in campo con l’oggetto utilizzato per uccidere l’uomo: una riproduzione di un fallo di pietra.

Attorno a ciò, si sviluppa la storia che fa entrare in gioco diversi personaggi, tra cui Anna Carla e Massimo Campi, la prima, moglie un po’ annoiata e rassegnata di un ricco industriale e, il secondo, rampollo di una famiglia della buona e classica borghesia cittadina che naviga stancamente nelle acque di una relazione omosessuale con un giovane impiegato comunale, Lello Riviera dalle tenere e patetiche ambizioni intellettuali soffocate da un lavoro sicuro, tranquillo ma grigio. Anna Carla e Massimo Campi saranno, all’inizio i principali sospettati, a causa di una lettera che, due domestici inaciditi consegneranno alla polizia. Il loro coinvolgimento indurrà Lello a intraprendere una sua personale indagine per tentare di scagionare Massimo, la relazione con il quale sta ormai arrivando al capolinea ma a cui continua ad essere legato da vero affetto.

Attorno a questi che, a buon diritto sono i personaggi principali, giostrano altre figure (come le buffe e fastidiose sorelle Tabusso, un americanista frustrato come Bonetto, il gallerista Vollero, geometri, impiegati. Ciascuno di loro si porta addosso i tic, le idiosincrasie, l’ipocrisia, il perbenismo e la profonda crudeltà del teatrino messo in scena dalla borghesia torinese di quegli anni. E in mezzo a tutto ciò, il commissario Santamaria, non a caso, meridionale trasferito al nord e portatore, anche per questo, di una mentalità che, per contrasto e per apertura, lo investono di quella che viene chiamata “conoscenza dell’ambiente.

Ciò che appare subito evidente nella lettura de La donna della domenica, è come l’elemento giallo sia un pretesto, un collante, per parlarci in realtà, dei caratteri e delle psicologie dei personaggi. Come se la trama fosse solo il necessario scheletro per contenere gli organi vitali, vero interesse di Fruttero e Lucentini. Che tra questi organi vitali mettono, soprattutto, la stessa città di Torino. Nei confronti della quale non mancano certo strali, sociologici, politici e anche urbanistici.

Un libro che, tecnicamente, risulta perfetto, nella struttura, nel ritmo, in quel gioco di accenni, di presentazioni che vengono interrotte per riprendere successivamente. Senza che mai, l’attenzione del lettore e la tensione dell’insieme, vengano meno. Anzi. Ne escono quasi esaltate proprio per una struttura quasi a scene separate l’una dall’altra. Che trovano continuità proprio nel sottofondo di cui parlavamo all’inizio. Fruttero e Lucentini hanno sì costruito un giallo. Ma hanno a esso dato una struttura e una dinamica centripeta rispetto alla storia. Perché lo sguardo viene sempre spostato altrove. In una analisi lucida, spietata eppure ironica e elegante del vero sottobosco quasi malefico di una città che mostra un’esteriorità ben diversa.

In fondo si potrebbe quasi dire che La donna della domenica, sia per certi aspetti, un saggio in forma di romanzo. Un libro sociologico che trova la sua massima espressione nel ritmo quasi sincopato (eppure lineare) del giallo. Solo che l’indagine sul delitto appare, quasi impercettibilmente, volgere non sull’uccisione di un uomo, ma sul delitto vero: quello dell’ipocrisia.