Graziella Enna, nata nel 1969 a Oristano, laureata in lettere classiche presso l’Universita degli studi di Cagliari, insegnante di lettere.

La passione politica e il ruolo dell’intellettuale nella società in Foscolo: l’esempio di Parini

Di Graziella Enna

Foscolo
Parini
A SE STESSO
Che stai? già il secol l’orma ultima lascia
Dove del tempo son le leggi rotte
Precipita, portando entro la notte
Quattro tuoi lustri, e obblio freddo li fascia.

Che se vita è l’orror, l’ira, e l’ambascia,
Troppo hai del viver tuo l’ore prodotte;
Or meglio vivi, e con fatiche dotte
A chi diratti antico esempi lascia.

Figlio infelice, e disperato amante,
E senza patria, a tutti aspro e a te stesso,
Giovine d’anni e rugoso in sembiante,

Che stai? breve è la vita, e lunga è l’arte;
A chi altamente oprar non è concesso
Fama tentino almen libere carte.
 

E’ questo un sonetto in cui il poeta traccia un bilancio negativo della sua vita: Foscolo ha solo vent’anni e descrive se stesso in questi termini, nonostante la giovane età si sente, in senso metaforico, “rugoso in sembiante” perché avverte la negatività del reo tempo in cui vive, lo sradicamento culturale dato dalla mancanza di una patria, di un tessuto sociale in cui identificarsi, l’impossibilità di compiere azioni eroiche e persino la percezione  di possedere un carattere aspro e scontroso. Perciò con una lapidaria domanda “che stai?”, vuole rompere l’indugio e far emergere il suo spirito guerriero (una sorta di “vindica te tibi” di senecana memoria), in un altro modo: conquistare una fama imperitura tramite la letteratura con cui possa esprimere la sua animosità, le tumultuose passioni, l’ aspirazione alla libertà che politicamente non si può realizzare in quel frangente. Citando il celebre aforisma di Ippocrate (utilizzato poi da Seneca nel “De brevitate vitae”), cioè “breve e’ la vita e lunga e’ l’arte”, esalta appunto il ruolo dell’arte, la sola che può dare una svolta alla sua vita di esule e patriota deluso. Ma in altri passi esprime quest’alta concezione della letteratura come libera espressione della libertà e della dignità umana, cito in proposito alcuni versi dei “Sepolcri” (141/145) in cui deplora la mancanza di ardore di gesta eroiche delle classi dirigenti, dominate solo dalla brama di potere e di ricchezze, uomini sepolti, pur essendo ancora vivi, nei loro palazzi dove si piegano ad adulare i dominatori stranieri che hanno come unico motivo di vanto il possesso di blasonati, quanto inutili, titoli nobiliari.

Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo,
Decoro e mente al bello Italo regno,
Nelle adulate reggie ha sepoltura
Già vivo, e i stemmi unica laude. 

 Foscolo contrappone a questa società corrotta e moralmente decaduta, eroicamente e forse in modo titanico, se stesso, desideroso di lasciare in eredità non ricchezze ma sentimenti puri ed appassionati ed un esempio di poesia liberale non certo di “lettere prostituite”. Vv.145-150

“A noi morte apparecchi riposato albergo,
Ove una volta la fortuna cessi
dalle vendette, e l’amistà raccolga 
Non di tesori eredità , ma caldi
Sensi e di liberal carme l’esempio”.

In un altro passo della medesima opera esprime ancora il suo orgoglio poetico, sentendosi quasi un novello Omero, chiamato dalle Muse a celebrare gli eroi antichi: paga un alto prezzo, certo, cioè l’esilio, però attraverso la potenza eternatrice della poesia, altro motivo topico foscoliano, ancora una volta rifiuta l’abiezione e la vilta’ presenti nella sua epoca.

“E me che i tempi ed il desio d’onore
Fan per diversa gente ir fuggitivo,
Me ad evocar gli eroi chiamin le Muse
Del mortale pensier animatrici.
Siedon custodi dei sepolcri e quando
Il tempo con le sue fredde ale vi spazza 
Fin le rovine, le Pimplee fan lieti
Di lor canto i deserti, e l’armonia
Vince di mille secoli il silenzio.”

Colpisce in questi versi l’immagine poetica del tempo che con fredde ali distrugge ed avvolge ogni cosa nell’oblio cancellando persino le tracce delle civiltà, persino le tombe, che hanno nello spirito del carme un’alta funzione civilizzatrice. Ma forze più potenti riescono a superare il desertico silenzio e le rovine: l’armonia della poesia e la memoria del passato, che secondo Foscolo, possono risvegliare le coscienze, stimolare lo spirito identitario e spingere gli Italiani a riscattarsi. A questo proposito si può citare un celebre episodio tratto dalle “Ultime lettere di Jacopo Ortis” che riguarda l’incontro tra Jacopo e il vecchio Parini. Foscolo nella sua vita reale conobbe davvero Parini ed ammiro’ in lui la sua posizione di intellettuale libero, morigerato e non asservito al potere, tanto che pure  nel carme “Dei sepolcri” gli dedica edificanti versi oltre alle pagine vibranti di ammirazione nell”Ortis”. 
Nella lettera del 4 dicembre, Jacopo, nel suo peregrinare ramingo, giunge a Milano, fa visita al “vecchio venerando” e con lui passeggia sotto un boschetto di tigli. Parini viene descritto come un personaggio dignitoso, eloquente, reso saggio dall’età e dalle sofferenze, che apre una riflessione sulla città di Milano, dominata da Spagnoli ed Austriaci nei secoli precedenti ed ora dai Francesi, che fondano il loro dominio su arbitri stravolgendo il senso della parola repubblica ma, il quadro viene reso più cupo più dalla degenerazione dei costumi, dalla corruzione imperante, dalle lettere che  sono definite “prostituite”, (i letterati preferiscono asservirsi agli interessi del potere esaltando il nuovo regime), dalla mancanza di valori basilari come solidarietà, l’ospitalità e l’amor filiale, infine passa in rassegna gli omiciattoli perversi che si macchiano di delitti neppure paragonabili ad uomini malvagi del passato che in confronto erano grandi. Queste parole infiammano Jacopo, ma subito viene ridimensionato da Parini che lo invita ad indirizzare i suoi ardori patriottici verso altre passioni. Così Jacopo gli narra le sue vicissitudini, la delusione politica, il disperato amore per Teresa, la morte come unica via di salvezza da cui però lo salva ancora la speranza di tentare la libertà della patria con un’eroica azione rivoluzionaria. Ma Parini di nuovo smorza i suoi ardori e le sue velleità rivoluzionarie contro la dittatura napoleonica, nei passi sotto riportati in cui sostiene che la libertà va conquistata con le nostre azioni e non attesa dall’esterno, chiara allusione a Napoleone in cui tanti avevano confidato. Purtroppo però la fortuna gioca un ruolo essenziale nel successo delle imprese degli uomini che scaturisce dalla loro audacia, dal destino e dai delitti, perché e’ inevitabile, comunque, prescindere dall’uso delle armi, cosa che allontana l’uomo dalla virtù e dalla rettitudine: in sostanza Jacopo dovrebbe fondare una repubblica spargendo sangue, iniziando una guerra civile, sopprimendo la libertà di opinione, ingannando il popolo, seminando il terrore. Ma tutte queste nefandezze non si addicono ad un filosofo che sarebbe destinato a divenire un tiranno e riprodurrebbe gli stessi orrori della Rivoluzione francese. A questo punto termina il passo: Jacopo esclama che l’unica soluzione per sottrarsi alla contaminazione sia la morte, Parini conclude dicendo che forse per lui che e’ materialista ed ateo potrebbe essere una soluzione percorribile, ma non per lui che e’ prete. 

Perciò sulla base di queste considerazioni Ortis/Foscolo assegna un’alta missione agli intellettuali, ovvero conseguire la gloria attraverso scritture civili senza aspettarsi aiuti da popoli stranieri.

 “Forse questo tuo furore di gloria potrebbe trarti a difficili imprese; ma credimi; la fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia; due quarti alla sorte; e l’altro quarto a’ loro delitti. Pur se ti reputi bastevolmente fortunato e crudele per aspirare a questa gloria, pensi tu che i tempi te ne porgano i mezzi? I gemiti di tutte le età, e questo giogo della nostra patria non ti hanno per anco insegnato che non si dee aspettare libertà dallo straniero? Chiunque s’intrica nelle faccende di un paese conquistato non ritrae che il pubblico danno, e la propria infamia. Quando e doveri e diritti stanno su la punta della spada, il forte scrive le leggi col sangue e pretende il sacrificio della virtù.

Ma poniamo che tu superando e la prepotenza degli stranieri e la malignità de’ tuoi concittadini e la corruzione de’ tempi, potessi aspirare al tuo intento; di’, spargerai tutto il sangue col quale conviene nutrire una nascente repubblica? arderai le tue case con le faci della guerra civile? unirai col terrore i partiti? spegnerai con la morte le opinioni? adeguerai con le stragi le fortune? ma se tu cadi tra via, vediti esecrato dagli uni come demagogo, dagli altri come tiranno.

Potrai tu allora inorgoglito dalla sterminata fortuna reprimere in te la libidine del supremo potere che ti sarà fomentata e dal sentimento della tua superiorità, e della conoscenza del comune avvilimento? I mortali sono naturalmente schiavi, naturalmente tiranni, naturalmente ciechi. Intento tu allora a puntellare il tuo trono, di filosofo saresti fatto tiranno; “

Anche i versi 51-90 dei “Sepolcri”, sono incentrati sulla figura di Parini nell’ambito di un discorso in cui Foscolo deplora gli esempi negativi di chi non attribuisce il giusto valore al sepolcro soprattutto nei confronti di persone che si sono distinte per alte qualità civili e morali. Infatti, secondo alcuni provvedimenti di stampo illuministico, le sepolture dovevano trovarsi lontane dai centri abitati e prive di lapidi distintive.

E senza tomba giace il tuo
Sacerdote, o Talia, che a te cantando
Nel suo povero tetto educò un lauro55
Con lungo amore, e t’appendea corone;
E tu gli ornavi del tuo riso i canti
Che il lombardo pungean Sardanapalo,
Cui solo è dolce il muggito de’ buoi
Che dagli antri abduani e dal Ticino60
Lo fan d’ozi beato e di vivande.

Parini viene definito “sacerdote di Talia” la musa della poesia satirica, che componeva versi in suo onore coltivando nella sua modesta dimora l’arte della poesia (“educo’ un lauro”), con tenace passione. In cambio la musa adornava i suoi componimenti con l’ironia che sferzava i vizi del giovane lombardo (Sardanapalo, come il dissoluto re assiro), per il quale e’ piacevole solo udire i muggiti del bestiame che dalle stalle presso l’Adda e il Ticino gli permettono ozio e vivande.

O bella Musa, ove sei tu? Non sento
Spirar l’ambrosia, indizio del tuo nume,
Fra queste piante ov’io siedo e sospiro
Il mio tetto materno. E tu venivi65
E sorridevi a lui sotto quel tiglio
Ch’or con dimesse frondi va fremendo
Perchè non copre, o Dea, l’urna del vecchio

Cui già di calma era cortese e d’ombre.

Foscolo si chiede dove sia ora la musa, non sente più il profumo d’ambrosia, indizio della sua Divina presenza mentre sta seduto sotto i tigli dove pensa alla sua casa natia lontana. Prima invece la musa visitava il poeta sorridendogli sotto quel tiglio che ora con le fronde spoglie e tristi rimpiange di non poter ricoprire la tomba di Parini al quale offriva prima serenità ed ombra.

Forse tu fra plebei tumuli guardi70
Vagolando, ove dorma il sacro capo
Del tuo Parini? A lui non ombre pose
Tra le sue mura la città, lasciva
D’evirati cantori allettatrice,
Non pietra, non parola; e forse l’ossa75
Col mozzo capo gl’insanguina il ladro
Che lasciò sul patibolo i delitti.

Forse ora la dea vaga tra tombe plebee alla ricerca del suo sacro capo. La città di Milano, moralmente corrotta, accoglie cantori evirati (Parini in una famosa ode denuncia la pratica di evirare i giovani cantori), ma non ha predisposto, per il poeta, ne’ una lapide, ne’ una dignitosa tomba e forse le sue ossa vengono insanguinate da un ladro che ha lasciato sul patibolo i suoi misfatti. La musa sente la cagna randagia che vaga sulle tombe in rovina e i cespugli spinosi e ulula affamata , sente L’upupa uscire dal teschio dove si era rifugiata per sfuggire alla luce della luna, svolazza sulle croci sparse nella campagna piena di fosse e sembra rimproverare col suo verso luttuoso i raggi pietosi che le stelle donano alle sepolture dimenticate da tutti. Invano la musa prega che cadano gocce di rugiada sul suo poeta dalla notte desolata. Non possono crescere fiori sulle tombe quando l’estinto non è onorato dalle lodi degli uomini e dal pianto affettuoso dei vivi.

E uscir del teschio, ove fuggìa la Luna,
L’ùpupa, e svolazzar su per le croci
Sparse per la funerea campagna,
E l’immonda accusar col luttuoso
Singulto i rai di che son pie le stelle85
Alle obblîate sepolture. Indarno
Sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade
Dalla squallida notte. Ahi! sugli estinti
Non sorge fiore ove non sia d’umane
Lodi onorato e d’amoroso pianto:

In questi versi, dunque, Foscolo ribadisce il valore della sepoltura che deve preservare la memoria di chi ha lasciato tracce affettive, azioni virtuose, opere importanti e valori morali tra gli uomini per suscitare spirito di emulazione nei posteri. Perciò Milano e’ stata ingrata ed incivile nel non aver dedicato una degna sepoltura al suo Parini, maestro di ideali ed esempio di alto spessore umano, morale ed intellettuale.