Nato a Como, di origine salentina, Alessandro Vergari vive da diversi anni a Bari dopo essersi laureato in Filosofia all'Università Statale di Milano, con una tesi sul rapporto tra guerra e giustizia. Una geografia complicata? Forse. Alessandro scrive recensioni e articoli su diversi blog. Cinema, letteratura, musica e cucina (in qualità di consumatore finale) le sue principali passioni. Ama il sole e il mare. Sulla politica attualmente non si pronuncia. "Ho dato abbastanza", queste le sue dichiarazioni in materia.

 Fuga di morte, elegia di una rivoluzione mancata.

Di Alessandro Vergari

“Coloro che hanno vissuto eventi tumultuosi e traumatici finiscono spesso per ritirarsi nel silenzio. Il loro sangue patriottico si riduce ad acqua stagnante, la loro fede vaga come un cane randagio. Lasciano che il cuore diventi arido, che la mente sia invasa da erbacce, trascorrono i giorni nelle paludi sommersi da fiori selvatici. Soffrono di una specie di artrite spirituale, un dolore ancora più sordo nei giorni di cielo coperto. Non ci sono rimedi. Soffrono. Sopportano. Cercano di distrarsi in qualunque modo, facendo soldi, emigrando o correndo dietro alle donne.”

Un giorno, sulla piazza principale di Beiping, immaginaria capitale dell’immaginario Stato di Dayang, compare dal nulla un enorme escremento a forma di pagoda. Qualcuno pensa all’arrivo degli extraterrestri, altri suggeriscono che l’incidente sia stato causato da mostri biochimici. La razionalità comune è scossa. Il governo rimuove con celerità quello strano monolite a nove piani e fornisce la sua versione ufficiale, un’assurdità elevata al quadrato: trattasi di feci di orango. Il comunicato governativo, l’ennesima cortina di fumo agitata davanti alla realtà per mascherarla, innesca reazioni contrapposte. I conformisti devoti accettano il Verbo di Stato, altri non riescono più a tollerare il velo di ipocrisia e segretezza calato su ogni aspetto della quotidianità. Il desiderio di cambiamento gonfia l’onda di piazza. In particolare, sono i giovani intellettuali di Dayang ad organizzarsi e a sfidare la macchina della propaganda. Per loro è arrivato il momento di instaurare un ordine ispirato a principi di verità e giustizia, un sistema politico basato sulla correttezza delle informazioni e su una comunicazione trasparente.

Fuga di morte  è unromanzo scritto da Sheng Keyi, pubblicato da Fazi Editore con la traduzione di Eugenia Tizzano. La scrittrice inventa un luogo simbolico, baricentro di inquietudini. Il testo insegue gli eventi successivi al crollo delle illusioni, quando le braci della rivolta sono spente e le vicende quasi dimenticate. Fuga di morte, benché non lo riveli apertamente, tratta dell’amarezza e del disincanto di un’intera generazione di cinesi dopo i celebri fatti di piazza Tienanmen. All’epoca l’autrice aveva sedici anni e risiedeva nella provincia dello Hunan, pertanto non assistette alla repressione in prima persona. Fuga di morte, rifiutato in madrepatria, è comparso inizialmente solo in lingua inglese. È un romanzo complesso, disarmonico e duro. Non è semplice, oggi, imbattersi in testi cinesi che ragionino criticamente sulla Cina, senza scadere in semplificazioni e in grado di spalancare una finestra di riflessione sulle tendenze politiche globali, dal crescente irrigidimento dei sistemi democratici alla normalizzazione tecnocratica, dall’uso apparentemente neutro dei big data al rinnovato protagonismo delle masse giovanili.

Sheng Keyi (Foto presa da thebejinger.com)

Fuga di Morte è innanzitutto un’elegia innalzata alla poesia, potenza demolitrice di anguste gabbie mentali, creazione demoniaca del nuovo, folle sposalizio tra pensiero e azione. Nel romanzo, chi partecipa al banchetto della poesia è estasiato, inebriato, vitale, disposto al sacrificio. Custodire questo tesoro, si evince dal finale, può costare caro. La poesia, in Fuga di Morte, è una scommessa assoluta, un rifiuto categorico del compromesso, un dettato radicale. Scrivere, vivere, agire sono rami che si diramano da un unico tronco, sulla cui corteccia è incisa una parola impronunciabile: libertà. I protagonisti incarnano un fare poetico che coincide con la ricerca di un linguaggio politico scevro da mistificazioni: poesia come disciplina esistenziale ed elemento perturbante, poesia come interrogazione del potere e sfida all’ortodossia.

Yuan Mengliu, Bai Qiu e Hei Chun, giovani poeti appunto, formano il club dei Tre Moschettieri. Yuan Mengliu, il protagonista del romanzo, non è attratto dall’impegno diretto e alle manifestazioni preferisce i versi, le avventure galanti, l’amore e il suono dello xun, il suo adorato strumento a fiato “che portava con sé sin da bambino, aveva imparato da solo e sapeva eseguire diversi brani”. La fidanzata, bellissima come tutte le donne che compaiono nel romanzo, dopo un’iniziale reticenza, si arruola tra le fila dei ribelli e affina la coscienza rivoluzionaria sulle barricate. Assurta a leader femminile della rivolta, Qi Zi si abbandona totalmente alla sua missione. Yuan Mengliu, dopo un alterco, si separa da lei. Esilio, dispersione e morte: la sconfitta travolge tutti, a prescindere dal grado di coinvolgimento nella lotta.

L’autrice non racconta esclusivamente il 1989 cinese. Il romanzo, nel suo essere parabola, allude all’usuale traiettoria delle sollevazioni popolari contemporanee, vicine e lontane, dalla baldanzosa speranza alla cruda delusione. La stesura del romanzo risale a una decina di anni fa e i fatti narrati mostrano una certa somiglianza con le coeve, tormentate primavere arabe. Inevitabile inoltre, per il lettore, collegare il testo agli eventi di Hong Kong degli ultimi mesi. La Cina è qui trasfigurata in un campo di tensioni. Due polarità opposte stritolano Yuan Mengliu: se il passato è un lamento soffocato, l’avvenire è una pace allucinata. Le strade vorticose di Beiping svaporano nell’aria, i giorni di effimera gloria si frantumano in ricordi dolorosi, mentre la slavina delle ambizioni tradite preme alle spalle il protagonista, spingendolo oltre la possibilità del ritorno.

La Valle dei Cigni è l’approdo involontario di Yuan Mengliu a un ventennio di distanza dai sanguinosi moti di piazza, un luogo incantato/stregato. Com’è arrivato fin là il protagonista, da quali vie di accesso? Oltre la soglia, lo attende un mondo rovesciato, dove la violenza politica è abolita e l’armonia algoritmica regna sovrana. Nella Valle si parla un inglese imbastardito da una molteplicità di dialetti. Le persone sembrano provenire dai quattro angoli del pianeta e, particolare perturbante, non hanno memoria di chi fossero prima. Sheng Keyi ci accompagna sul sentiero distopico di un prossimo futuro, ovvero di un vicino presente. Comprendiamo che laggiù si sta realizzando un esperimento estremo, una comunità cosmopolitica sradicata dalla Storia. La Valle dei Cigni è un incubatore di felicità supervisionato da macchine invisibili, un’isola di utopia al riparo da qualsivoglia asperità dialettica, una bolla artificiale protetta dalla cibernetica. La luce del progresso, però, è accompagnata da una nera impronta d’orrore. Gli spazi recintati, preclusi, celano segreti indicibili. Nessuno sa niente di ciò che c’è, realmente, oltre le mura di una casa di riposo. Nessuno osa poggiare lo sguardo sul ventre osceno di una discarica scavata nel bosco. A nessuno degli abitanti importa mettere in discussione imperativi che negano la tangibile incontrovertibilità del dato empirico. Non è forse, questa, la pura, tagliente forza dell’ideologia?

Sheng Keyi evita facili scorciatoie. Yuan Mengliu è un uomo che non suscita simpatia immediata né induce istintivamente alla repulsione. In lui albergano sentimenti scomodi, fedeltà nostalgica agli antichi ideali, moderato pragmatismo e spirito di adattamento. Nella sua storia personale pesa l’abbandono delle ambizioni letterarie a favore della concreta attività di medico chirurgo. Il poeta talentuoso, dopo gli arresti di Piazza Rotonda, non scrive più. Il suo animo, agitato di continuo da un desiderio di bellezza, trova appagamento esclusivo nella pulsione erotica verso l’altro sesso. Le donne sono per lui una droga, una tentazione permanente, un irresistibile canto delle sirene. Una sgradita sorpresa però lo attende. Nella Valle dei Cigni i rapporti carnali sono proibiti, pena atroci punizioni. L’autrice porta al parossismo il sensuale avvicinamento tra l’ex poeta e l’ammaliante Juhi, salvo troncare l’eccitazione di netto.

Una severa, spietata legge eugenetica determina la discendenza. I figli delle coppie del posto non sono il frutto dell’amore e della libera passione bensì il risultato di un processo selettivo. “La Valle dei Cigni sostiene la scienza… ogni corpo ha il suo periodo ideale per il concepimento, prima di ogni inseminazione, la fisiologia di entrambe le parti deve essere sottoposta a calcoli accurati…” Affrancati dalla dittatura dell’attrazione fisica e dalla zavorra dei sentimenti, uomini e donne possono dedicarsi al miglioramento della sfera spirituale. I bambini recano con sé testimonianza dell’evoluzione della specie. Uno in particolare, Sean, all’altezza di un filosofo in termini di ragionamento e di pensiero, guida Mengliu tra i meandri del mondo inedito che gli si para di fronte.

Yuan Mengliu nella Valle dei Cigni è indotto a subire una metamorfosi, sotto il dettato di una forza persuasiva. La trama distopica di Fuga di Morte è tessuta con i fili della mentalità cinese: la centralità dell’insegnamento, il valore morale dell’esempio dato dal leader, il connubio indissolubile tra teoria e prassi, l’esigenza di condividere i propri successi a vantaggio della collettività, la sfiducia verso la mente logica, la marginalità della discussione nella sfera pubblica, la conquista del cuore preferita alla verbosità delle opinioni contrapposte. Yuan ottiene la cittadinanza senza averla richiesta. “Un buon governante riesce a non far percepire la sua presenza… Un buon capo spirituale deve soltanto alimentare le inclinazioni spirituali benigne, senza preoccuparsi di altro…” Gli abitanti della Valle si aspettano che Yuan provi gratitudine verso il governo e non comprendono come lui possa ancora serbare nel cuore il ricordo di Beiping.

Yuan, integrato, si presta a ricoprire ruoli e a ricevere incarichi prestigiosi. É felice? No, eppure le alternative sono sbarrate. Quanto sono remoti, pungoli della memoria, i giorni gloriosi della rivoluzione mancata… La Dayang di allora, riempita di furore giovanile, i dibattiti, le agitazioni, le lotte, il sangue: fantasmi di futuri non accaduti. Dove sono le amanti, dove gli amici? Una barriera impenetrabile circonda la Valle. È l’oblio. Nell’eterna quiete tecnologica la vita è uguale alla morte. La nuova patria lo adotta e gli riconosce onorificenze. Niente però è gratuito. In Cina ogni questione è vista nel suo risvolto applicativo, così, nella romanzata distopia di Fuga di morte che della Cina attuale restituisce un riflesso sinistro, il medico-chirurgo non può permettersi di disperdere la sua potenza creativa, il suo tesoro di abilità e di talenti inciso nel DNA. Yuan deve dare obbligatoriamente un erede alla Valle. Il suo matrimonio, come tutto il resto, è comandato da un’Intelligenza superiore, rappresentata dall’enigmatica e schiva figura dell’Aliena. Sotto alcuni aspetti, Fuga di morte ricorda la fantascienza filosofica, densa di presagi sulla nostra deriva postumana, dell’ultimo, grandioso, Philip K. Dick, quello della Trilogia di Valis. Yuan si sposa con una giovanissima e florida donna, Fiorina. La coppia darà alla luce un figlio eccezionale come promettono i rispettivi corredi genetici?

«La felicità è nei nostri cuori, non serve andare a rincorrerla. Il fatto che ti piaccia una persona diversa da quella che sposi non è affatto un problema. Voi abitanti di Dayang siete abituati ad appropriarvi delle cose belle, a trasformare la bellezza in qualcosa di brutto e a distruggere le cose buone, il risultato è che mandate tutto in rovina e poi, fingendo di aver compreso appieno la vita terrena, dite di volervi fare monaci. In realtà, volete solo fuggire».

È possibile cogliere, pagina dopo pagina, riflessi della Cina attuale. In primis, la questione del permesso di residenza, che comporta l’acquisizione di diritti altrimenti negati, un permesso spesso rifiutato alle masse rurali confluite nel perimetro degli immensi spazi urbani alla ricerca di lavoro. Poi, la politica del figlio unico, il tasso di natalità sotto lo zero riscontrato in molte zone del Paese e, come conseguenza, il timore dell’imminente calo demografico, una perdita stimata di mezzo miliardo di persone (!) nell’arco di soli trent’anni. Quindi, l’avanzamento tecnologico. Il colosso asiatico, povero di materie prime, sta investendo massicciamente nell’intelligenza artificiale, anche per puntellare i bisogni di una popolazione in rapido invecchiamento. Da ultime, le raffinate politiche di sicurezza, il dio nascosto dietro le microcamere utilizzate per il riconoscimento facciale.

Nel lettore potrebbe destare stupore l’insistenza di Sheng Keyi, quasi pedantesca, nei confronti dell’argomento “poesia”. Nessuna meraviglia. In Cina l’educazione umanistica, non meno di quella di stampo scientifico-tecnologico, è un pilastro della vita civile. Nella recente riforma dei cicli scolastici è previsto un incremento delle ore di letteratura classica. È un rafforzamento delle radici, una scelta atta a rinsaldare, nei giovani cinesi, la consapevolezza della propria ricchissima eredità culturale. Yuan Mengliu è un ammiratore di Milosz, di Neruda, di Tagore. Il titolo del romanzo, d’altronde, corrisponde a uno dei componimenti più celebri di Paul Celan, un grido levato contro l’orrore dello sterminio. “Nero latte dell’alba ti beviamo la notte”… Anche la favola di Fuga di morte canta il candore negato. A Yuan è richiesto di comporre un inno celebrativo. Il suo diniego è perentorio. La vera poesia rifiuta le casacche, la libertà non conosce la dolcezza del riposo.

Fuga di morte Book Cover Fuga di morte
Sheng Keyi. Trad. di Eugenio Tizzano
Narrativa
Fazi Editore
2019
429 p., brossura