Vivo a Catania, sono pediatra. Ho scritto molti racconti pubblicati in antologie. Uno in particolare, Il violinista, è in fase di stampa Così come una raccolta di miei racconti(19) è in fase di imminente pubblicazione. Sono arrivato finalista al concorso internazionale di poesia il Federiciano, con la poesia La spiaggetta.

                                             ADA

Di Flavio Prestifilippo

La bambina  andava di fretta, con lo zainetto verde che le penzolava sulle spalle.  Poi si girò ancora  un attimo per  salutare la madre, che dopo averla vista entrare, si volse verso la strada dove  aveva lasciato la sua auto, una vecchia Ford. La scuola  in cui  la donna  insegnava, il liceo scientifico, era in pieno centro storico e doveva affrettarsi dovendo anche  trovare parcheggio. Era il mese di ottobre e il caldo umido si alternava pericolosamente a folate di vento sempre più freddo.  Quella mattina, un martedì, Ada aveva cinque ore di lezione. Soprattutto lei temeva una terza, la più scalmanata e irrispettosa. Ma  era  felice di essere finalmente  approdata a quel liceo così importante, dopo tanto girovagare, sperare e alzarsi prestissimo per recarsi  a  insegnare fuori città. Prima di entrare in classe  andò un attimo in bagno. Uscendo si guardò alla specchio. Vide i suoi capelli, lisci come chiodi, che  cadevano disordinati. Di sfuggita osservò il  viso incavato, gli occhi sempre più piccoli, e alcune piccole rughe, appena affacciatesi.  La bidella, un donnone grasso che camminava ballonzolando, le porse il bicchierino di plastica col caffè.  Il suo saluto era sempre incoraggiante : “Professoressa, anche oggi siamo a digiuno, vero?”.  Poi,  il suono della campanella ebbe il potere come sempre di  allontanare ogni altro pensiero.  Il primo argomento di scienze che avrebbe dovuto trattare  era il nucleo delle cellule eucariote, col loro  DNA. Era un argomento appassionante, e sperava di trasmettere agli  allievi la sua stessa energia interiore. A metà  lezione una circolare l’avvertì che il preside, alla fine della mattinata, avrebbe parlato brevemente a lei e a pochi altri professori.  Ada si chiese cosa ci fosse  di così urgente. Dopo la scuola, aveva tante piccole cose da sbrigare, tra cui  prendere Cinzia, sua figlia. Pazienza si disse, anche oggi mi dovrà aspettare, sperando in cuor suo che non le accadesse  nulla. Molto più tardi usci dall’edificio  trafelata e piena di  interrogativi, ma non aveva potuto dire di no al  superiore.  “Lei è la nostra insegnante di scienze più giovane, quindi tocca a lei. Inoltre non sarà sola, glielo abbiamo spiegato”.  Ada  sentiva ancora addosso gli occhi dei colleghi presenti.  Sguardi per nulla incoraggianti, ma pronti ad accompagnarsi a velate minacce e possibili ritorsioni.  Trovò Cinzia accanto ad una  bidella. Quest’ultima per niente comprensiva le sottolineò che anche lei aveva famiglia, puntualizzando che la prossima volta se ne sarebbe andata. Ada stava per esplodere, ma si trattenne in tempo, e facendo  molta fatica.  la ringraziò ipocritamente  con un sorriso.  Per fortuna il panificio sotto casa era ancora aperto. Fungeva anche da minimarket, e comprò difatti  oltre al pane, gnocchi, il  pesto e  uova, per imbastire un pranzo rapido.  Erano passate le tre del pomeriggio, quando  si concesse un pò di riposo sul divano davanti al televisore spento. Si appisolò per qualche minuto, ma la sua mente non poteva non rimuginare sull’incarico che le era stato assegnato. Una conferenza. Per lei era la prima volta, quindi la sua ansia  cresceva  man  mano che ci rifletteva su.  In compenso l’argomento era interessante  e utile. Tra l’altro aveva scritto la  tesi all’università su questo tema.  Riaprì a  fatica gli occhi, e il suo sguardo   si posò su alcune cose di suo  marito, come  il   berretto e altri  piccoli oggetti, che lei  avrebbe  dovuto rimuovere da tempo. Rinchiuse gli occhi. Si erano arrossati.  Parlerà con me pure  una dottoressa del Policlinico mi è stato detto.   Bene, mi sarà certamente di valido aiuto, e forse chissà faremo amicizia. Così si ripeteva Ada,  sforzandosi di essere positiva. Le prime ore del pomeriggio trascorsero veloci, impegnate  nell’aiutare Cinzia  nei compiti. Erano  le cinque passate, quando Ada si alzò come punta da uno spillo.    “Devo correre all’assicurazione ” disse rivolgendosi alla bambina. “Se non vuoi venire, va bene, purchè tu non apra e risponda a nessuno. Io ho le chiavi, lo sai. Anzi chiuditi dentro. Farò prima che posso. Ti scrivo”.                                                                                                                   Doveva  effettuare  la denuncia  per un lieve  incidente avvenuto una settimana fa e da lei stessa provocato. La controparte già l’aveva sollecitata tre volte, seppur garbatamente.  Salendo in auto, rivide tutto il frontale rientrato e ammaccato: chissà quando potrò farlo ripartire. La  saletta  dell’ufficio era stranamente piena di gente. Rassegnata, Ada si apprestò ad una lunga attesa. Ne approfittò per leggere tutta  una serie di riviste e   rilassarsi. Ogni tanto inviava un sms alla figlia cui aveva lasciato un vecchio cellulare.  Gli argomenti che involontariamente udiva là dentro vertevano ovviamente su incidenti, contestazioni, avvocati e purtroppo anche feriti gravi, soprattutto giovani col motorino. Nell’udire quelle tragedie rabbrividiva, si alzava nervosamente, e per non sentire più nulla si affacciava al  piccolo balconcino guardando inutilmente  fuori. Poi  reinviava ancora una volta un messaggio a Cinzia, che un  poco spazientita cominciò a risponderle con sberleffi e scherzi vari.  Era quasi il tramonto, quando finalmente venne il suo turno.  Espletata la pratica, non senza errori e amnesie varie, Ada  finalmente uscì.  Una lieve brezza marina trasportò fino a lei l’odore del mare  distante solo qualche centinaia di metri.  Si fermò immobile per godersi quell’attimo, poi si avviò verso casa.  Trovò la bambina  davanti alla  televisione: “Mamma, ho finito i compiti. Perché ci hai messo tanto tempo? Ho fame!” “Ora preparo cara”.                                                                                                                                   Dopo cena, quando sua figlia era già pronta per andare  a letto, Ada  si avviò verso il suo studiolo  cominciando  a scartabellare libri e a  studiare  su internet. Voglio fare anche una mia statistica, si diceva. Inoltre la data della conferenza non è poi così lontana. La mattina seguente, mentre era ancora a letto, le venne un’idea: perché non parlare degli effetti nefasti della droga anche  ai suoi studenti, ben prima della  relazione? Più tardi,  con una tazza di caffè in mano  si convinse che era senz’altro una buona idea.  Lo farò lunedì mattina, si ripetè ormai decisa. Intanto domenica saremo dai miei  genitori: devo comunicarlo a Cinzia. Le  piacerà l’idea di andare dai nonni. Con questi pensieri e ferma nei suoi propositi, si avviò a trascorrere il suo giorno libero, il sabato, a casa, con svariate incombenze da portare a compimento. Nel pomeriggio poi sarebbero andate a fare la spesa, una necessità che era diventata per entrambe un rito divertente.  Il giorno dopo, di buon mattino, uscirono, mentre il sole intiepidiva già l’aria, ignaro  che si era ormai in autunno inoltrato.  L’umidità,  anch’essa  in agguato,  dava il suo valido contributo all’afa. Ada aveva dovuto fare molta fatica per svegliare la figlia, ma quando furono vicino all’auto, la piccola esclamò: “ Mamma, chi ti ha ammaccato l’auto?”.  “ Io stessa, ma non te n’eri mai accorta?”  Si fermarono in  un bar per la colazione. Poi ripartirono.  Ada era silenziosa mentre percorreva i quaranta km necessari a buona andatura. Si prefigurava già i soliti discorsi che sua madre  avrebbe ripetuto per l’ennesima volta.  Il padre invece preferiva occuparsi prevalentemente della nipote, portandola in giro per le vie del paese con le sue stradine che si arrampicavano sulla collina. Il vecchio le parlava di tante cose essendo stato  insegnante di lettere e un buon affabulatore. La piccola ascoltava interrompendolo spesso per porgergli mille domande e dire pure la sua.  Il pranzo si concluse come vuole la  tradizione siciliana, con  i cannoli alla ricotta finali. Poi madre e figlia si appartarono in cucina per rigovernare.  “Ada” esordì la vecchia, “hai ripensato a ciò che ti ho detto l’ultima volta? Sei ancora giovane, hai una figlia che ha bisogno di una figura paterna, non puoi vivere all’ombra di un ricordo di una persona che non è più con te!”   “Si,  giovane”, rispose Ada “ ho già superato la quarantina. Però piano piano mi sto aprendo a nuove possibilità. Sette anni di solitudine sono pesanti, hai ragione mamma”. Si abbracciarono.  “Ne sono felice cara” riprese la madre, “ nel pomeriggio verrai  con me per una visita di condoglianze, così ti distrai.”  A quelle  parole, Ada la scrutò,  riconoscendone la vena ironica. Poi insieme risero di cuore, tanto che dovettero sedersi.  Più tardi,  con l’animo più sereno, le due uscirono. La vecchia  le  faceva da guida,  malgrado Ada  conoscesse  benissimo  le vie del suo paese natale.  I negozi  cambiavano periodicamente: ora si trasformavano, oppure mutavano completamente tipologia.  Spesso  si fermavano a guardare le vetrine  per un inevitabile commento.  La loro attenzione fu attirata da una gioielleria che sembrava chiusa per sempre: “La zia Concettina  è troppo anziana e si è ritirata”. Fu la spiegazione che Ada ricevette.  Ricordava quando ancora piccola, si recava  con sua madre  a trovare quella loro lontana  gradevolissima  parente. La bimba di allora ascoltava le loro conversazioni , gustandosi soprattutto il tono pacato e l’affettuosità trasparente.  Ora era tutto chiuso.  Ora non c’era più nulla. La visita di condoglianze andò come doveva andare, non senza  scambi di sguardi maliziosi e divertiti tra Ada e la madre.  Il viaggio di ritornò  verso sera  fu rapido e veloce, ma frenato bruscamente dal solito intasamento sulla tangenziale.  “Hai fatto i compiti?”, fu l’unica frase pronunciata durante tutto il percorso. Il lunedì mattina giunse puntuale come sempre. Recandosi a scuola,  Ada volle concentrarsi sulle cose che aveva deciso di accennare ai suoi studenti. Riguardavano  la droga. Soprattutto avrebbe cercato di prevenire un loro primo contatto con questa piaga.  La personalità e la maturità degli adolescenti non era in grado di arginare da sola questo problema. L’arroganza e l’intemperanza di alcune sue classi non era altro che una manifestazione esteriore di autoprotezione,  che celava in realtà  debolezza e  confusione sul  loro mondo interiore e sulla realtà circostante. Ada sperava di essere in grado di trovare le parole giuste.  Alla fine,  mentre  tornava  incolonnata nel solito traffico delle ore di punta, si riteneva  soddisfatta del suo operato, pur non essendo mancate discussioni varie.   Nel pomeriggio completo la mia relazione, si disse, mancano solo tre giorni alla conferenza. Con questi pensieri positivi trascorse le ore successive  nel solito tran  tran.  L’indomani,  uscendo  come sempre  di corsa dal liceo,  una sgradita sorpresa l’aspettava.  La sua auto era senza i vetri anteriori, ridotti  in frantumi e riversati in buona parte dentro l’abitacolo.  Ada urlò subito andando in escandescenze. Stava per tornare sui suoi passi per riferire al preside l’accaduto, quando si accorse che ripiegato per bene c’era sul sedile un foglietto di carta. Lo raccolse a mani tremanti.  Poi lesse: Prof, fatti i cazzi tuoi. La prossima volta che parli di droga, stai attenta a quello che ti esce dalla bocca.  Ricordati che hai una figlia.  La vuoi trovare  in salute,vero ??!   Furente come non lo era da tempo, e per nulla intimorita,  si diresse in presidenza.  Il dirigente allargò le braccia, dandole qualche consiglio inutile. Poi  fece una fotocopia del biglietto. Per ultimo le consigliò: “ Vada dai carabinieri professoressa”.  “Grazie preside, questo si che è un consiglio prezioso” .  Ridendo Ada si congedò dal funzionario che la guardava stralunato.  Per  prima cosa  fu necessario  fotografare doviziosamente i vetri staccandoli  dall’abitacolo.   Una volta  alla scuola della figlia,   le spiegò tutto con  calma.  La bambina ne fu  stupita. “ Dai carabinieri voglio venire  pure io. Non  lasciarmi a casa”.   Ada, posteggiò nei pressi della caserma. Scese a passo rapido e poi annunciò  al piantone: “ Cerco il tenente Mancuso, sono un’amica.” Incuriosito da tanta foga, quello le rispose: “ Non abbiamo nessun tenente Mancuso. Semmai il capitano Mancuso. Cerca lui?”. Ada restò in silenzio qualche istante, sorpresa.  Infine disse all’uomo: “Certo, sono Ada Rizzo, ecco il mio documento”.  Dopo un paio di telefonate e qualche minuto di attesa, l’uomo  la fece entrare, indicandole il piano e l’ufficio.  La bambina  le trotterellava appresso.  Insieme si ritrovarono  davanti ad una porta.  Non appena la vide il capitano si alzò   esclamando: “Ada carissima, è una gioia vederti, anche se temo che tu abbia dei problemi per essere qui. Come vedi occupo indegnamente il posto di tuo marito.”   L’uomo abbassò gli occhi, poi  continuò: “Non potrò mai accettare che sia stato ucciso barbaramente.” E fece un lungo respiro, prima di guardare la  foto del defunto  posta sul muro di fronte. “Paolo”, esordì lei stringendo la mano  all’amico, “è un piacere e un conforto per me  vederti, anche  in queste circostanze. Ti spiego tutto”.   Alla fine, Mancuso, compilò la denuncia, raccolse i suoi documenti, compreso il foglietto ritrovato in auto, che guardò a lungo.  “E’ in stampatello” spiegò,” vedremo pure se ci sono impronte. Stai tranquilla,  a te lo posso dire mia cara, stavamo già preparando una retata. Ascolta in questi giorni  i notiziari locali, ma acqua in bocca.“   Aveva parlato rivolgendosi anche alla bambina che ascoltava attenta. Poi strizzò l’occhio ad entrambe,  quindi  si salutarono affettuosamente. La sera precedente la conferenza,  Ada ricevette una telefonata dal vicepreside.  “Professoressa, c’è una novità. La dottoressa che doveva parlare con lei è indisposta, quindi non potrà venire”.   “Come faccio io adesso? Dovrò sobbarcarmi tutto! Inoltre ci eravamo sentite e avevamo messo a punto ogni cosa!” protestò subito Ada.   “Si calmi per favore e mi faccia finire” riprese l’altro, ”verrà al suo posto un dottore, uno  molto preparato mi dicono”. Ada  restò di sasso per qualche minuto, poi scrollò le spalle. Andrà come deve andare, si consolò.  L’indomani, un quarto d’ora prime di iniziare,  ebbe modo di conoscere il ricercatore  del policlinico. Parlottarono un poco, e l’impressione che  ne ricavò fu molto positiva.  Alla fine dopo le inevitabili domande ed applausi finali, i due si guardarono soddisfatti.  “Professoressa” le disse lui,  “sono molto soddisfatto, spero anche lei. Ci sarebbe la possibilità di replicare le nostre relazioni  per un  altro uditorio. Se è d’accordo, mi dia il suo numero e ci sentiremo presto”.   Ada lo guardò a lungo prima di rispondere.  “Eccole il mio numero “ rispose, scrivendolo in un bigliettino.  Un sorriso spontaneo comparve in entrambi.

L’immagine di copertina è Ragazza alla finestra, di Salvador Dalì presa didatticarte.it