Pietro Romano (Palermo, 1994) è laureato in Lettere. È autore di due raccolte di poesia, dal titolo Il sentimento dell’esserci (Rupe Mutevole, 2015) e Fra mani rifiutate (I Quaderni del Bardo, 2018). I suoi versi sono apparsi in riviste nazionali e internazionali e tradotti in greco e spagnolo. Attualmente, frequenta il corso di Laurea Magistrale in Italianistica presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna.

Che cos’è il male?  È il quesito posto al centro di Luce nera (Marco Saya, 2015), opera che non casualmente si apre con il rimando a quattro figure fondamentali nella formazione letteraria di Nicola Vacca.

Il poeta sceglie di riferirsi a Camus per sottolineare da subito il ruolo a cui gli scrittori di ogni tempo dovrebbero adempiere impegnandosi nella lotta contro ogni forma di schiavitù:

Il compito degli scrittori è di dare l’allarme e lottare contro ogni forma di schiavitù. Questo è il nostro ruolo (A. Camus)

Da qui, l’attualità di un testo come Luce nera, il cui scopo è la poesia come faro proiettato su un presente alla deriva.

Nel contempo, Vacca, con Cioran, si propone anche un intento demistificatorio, disvelando il duplice volto del male:

Il male, al contrario del bene, ha il duplice privilegio di essere affascinante e contagioso (E. Cioran)

Il male affascina poiché disinibisce la volontà di godimento e le compulsioni nichiliste del soggetto; contagia poiché l’essere umano è in insanabile contraddizione con la forma.

Poi, affidandosi a Nietzsche, l’autore esorta a una ulteriore riflessione sulla storia e i suoi movimenti:

I momenti di tregua non sono che una preparazione allo sfacelo (F. Nietzsche)

Si perviene alla rovina attraversando i momenti di tregua: l’illusione è alimentata quando l’apparenza assume il volto del bene e si plasma in base ai desideri del soggetto.

Per queste ragioni, il dolore risulta inestirpabile dall’esistenza:

Dolore in terra, avrai tu sempre dimora certa (M. Santarossa)

E tuttavia, lo scrittore deve porsi l’obiettivo saldo della verità contro tutto ciò che inaridisce e confonde:

La minaccia mortale che incombe sulla nostra condizione isterilisce tutto. Il grido solo fa vivere; l’esaltazione tiene luogo di verità. A questo grado, l’apocalissi diviene un valore nel quale tutto si confonde, amore e morte, coscienza e colpevolezza. (A. Camus)

A questo punto, tracciate le coordinate ideologiche entro le quali l’opera si svolge, Vacca ci introduce alla prima sezione, Dal profondo del maiale, la quale è così intitolata a partire da uno dei testi in essa racchiusi:

Sopra e sotto le macerie/nella gabbia della nostra animale essenza/prigionieri di una putrefazione/che scontiamo vivendo./Eppure ogni cosa è crollata/ sotto i nostri occhi/ma volentieri porgiamo le guance/al male che ha costruito il suo impero/ nei nostri cuori di maiali.

Caratteristica pregnante di quest’opera poetica è l’estrema lucidità con cui conduce il lettore all’interno della propria disamina: l’uomo obbedisce al male perché anzitutto votato al soddisfacimento dei propri istinti. Ciò lo sacrifica a se stesso, condannandolo a una putrefazione che espia vivendo. In tal senso, l’immagine del maiale assurge a metafora dell’uomo che, avvoltolandosi nei propri istinti, si rende vittima sacrificale di se stesso. Egli, malgrado abbia occhi per vedere la rovina di cui si è reso artefice, volentieri si è reso permeabile al male, aderendo alle strategie di una carneficina di massa:

Hanno disinnescato gli allarmi/adesso il pericolo non sarà più avvertito/e tutti penseranno di vivere/il paradiso in terra./ Rendersi conto secondo per secondo/delle nascite e delle  morti/che avvengono nel mondo/non sarà più una priorità./Qualcuno molto in alto/ha avuto la brillante idea/di mascherare la carneficina/di nascondere gli stermini/che avvengono in tempo reale/per offrire l’eutanasia di un macello sublime.

L’appiattimento culturale che ha investito gli assetti societari rendendoli votati alla mera ricerca del piacere consumistico, ha disinnescato le coscienze e oscurato le voci che si ergevano a sentinelle sul presente. Le operazioni di macello hanno sistematicamente avuto inizio, poiché il potere si è abilmente dissimulato vanificando ogni reazione di contrasto. In un contesto dove predomina la degradazione delle coscienze, solo la parola può riaccendere il pensiero e così avviare una rivoluzione:

Spaccare le vetrine/dove la crudeltà mostra la sua carne/non accettare il pane sporco/che untori del male in terra/danno in pasto alla fame di anime morte./Ogni giorno la ferocia/è pura macelleria di agonie./Servono parole per sciogliere/questi grumi di insensatezza,/per dare l’allarme/ in questa città di dormienti/prima che il sonno diventi/il peggiore degli incubi.

Il torpore è il segno nel quale la modernità si inscrive. L’incomunicabilità prodottasi in seno alle strategie di controllo delle masse è tale da inibire anche l’amore e isterilire i cuori:

Fioriture di desiderio/per cercare una via di scampo/invece nessuno coglie più rose d’amore./In questa grande abbuffata di male/hanno anche reciso le sue radici/affinché del cuore nulla più cresca/e a tutti sia donata soltanto/la possibilità di crollare/in compagnia di amori senza domani.

Solamente il desiderio della parola può permettere a mente e cuore di ridestarsi dal sonno in cui sono precipitati, in quanto la parola è anzitutto desiderio dell’altro. Il crollo corrisponde a una condizione di spaesamento interiore. L’uomo contemporaneo è preda di dubbi e di paure matematicamente predisposti per annichilirlo:

E adesso siamo sotto l’anticielo/ la luce nera che sparge la sua cenere./Il caos vuole il dubbio/ma poi semina disordine/nelle anime violate/dalla colpa, dal torto e dallo sbaglio./Il crollo è nella mente e nel cuore/e le parole di un’apocalisse quotidiana/schiacciano la carne in un terrore/che matematicamente dirige/le operazioni di demolizione

Da questo componimento deriva il titolo della raccolta. L’autore capta i sintomi di una contemporaneità malata in quanto schiava di un potere che si insinua nelle coscienze per demolirle. La «luce nera» altro non è che il fulgore letale di un dio bramoso di distruzione, quello creato in antitesi al dio religioso, in nome delle leggi del mercato e del profitto. È una luce che profondamente disprezza ogni idea di futuro perché foriera di morte:

Nella zona oscura che annulla il confine/ tra la ragione e la follia/ormai è stata oltrepassata/qualsiasi linea d’ombra./Si sono persi per sempre/ i pensieri che cercano il futuro:/ non esiste più acqua che disseta/questi solchi d’arsura.

L’individuo è smarrito e incapace di distinguere la ragione dalla follia. Nulla più è veramente rivolto al domani poiché non esiste più nulla in grado di rimediare a un desiderio senza argine, senza freno.

La seconda sezione, Oggi fa paura il gelo, descrive le condizioni cliniche di un uomo incapace di comunicarsi:

Siamo vuoti in una sala d’aspetto/gli abbracci sono muti/abbiamo dentro un freddo che sgomenta./ Non sappiamo chi o cosa guardare/se partiremo o se siamo in attesa/ di un ospite sconosciuto./In questa stagione arida/il cervello è come paralizzato/Siamo viaggiatori strani/ che non sanno pensare una meta./Sulla nostra attesa calano le ombre.

Il presente è come un malato in attesa di cure. E tuttavia, quest’attesa raggela, poiché mancano coordinate entro le quali individuare dei valori sicuri, delle risposte certe. Così, ancora una volta, l’appello del poeta affinché si ritrovi l’esatto valore delle parole prima che vengano del tutto svuotate di ogni significato:

Siamo tutti sulla stessa strada/aspettiamo chissà che cosa/seduti su questa terra morta./Arriverà presto il giorno/in cui le parole non diranno niente./Senza di loro annegheremo/nella debolezza del vuoto./ Non è troppo tardi per salvarsi/ma siamo troppo occupati dal nulla/per capire l’importanza di quello che sprechiamo.

Il nulla che attanaglia le coscienze le induce a uccidere ciò che al contrario le vivifica:

Ci siamo convertiti all’omicidio/da quando abbiamo permesso al caos/di mettere disordine tra le carte della nostra vita./Pugnaliamo spesso quello che dovrebbe vivere/lasciamo in vita le cose che dovremmo distruggere./La nostra specie è stanca/perché rincorre le tenebre./Siamo in guerra alleati/dell’abisso che ci inghiotte./Abbiamo già perso/perché non sappiamo resistere/alla bellezza sinistra del terrore.

Il terrore è fascinoso poiché mette l’uomo al cospetto del limite. Ciononostante, lo induce a rincorrere ombre e a darsi ad abissi ben lontani da una bellezza salvifica. Il rischio è quello di destinare la storia alle ragioni del male:

Prima o poi uno di noi scriverà la parola fine./Nessuno si accorgerà del nostro passaggio./Questa è la sorte degli uomini/che hanno venduto la storia/alle ragioni del male.

L’assenza di un punto di svolta è il motivo della profonda solitudine del poeta, come registrato dalla terza sezione, Nessun rumore significativo. Il deserto e l’inferno si sono fusi in un’unica dimensione dove non si è capaci di altro se non di autodistruzione:

C’è modo e modo di farsi del male/ e noi scegliamo sempre/quello più doloroso./Come se in questo concerto di inferni/non fossimo capaci/di prendere tutto il respiro della vita/che finisce per diventare cenere/mentre le ferite diventano abissi.

E tuttavia, proprio la drammatica coscienza dell’oscurità che ci avvolge pone a Vacca la necessità di amarne i «chiari dilemmi», poiché solamente attraversandoli è possibile sprigionare tutta quanta la «potenza della luce»:

La lingua dei barbari/balbetta terremoti di crudeltà./È proprio perché siamo finiti/nel nero di un bagliore/che si devono amare/ i chiari dilemmi dell’oscurità./Nel diario dell’apocalisse/la parola è sveglia/anche se abitiamo il sonno./È nel nero che esplode la volontà di potenza della luce.

Il poeta è ben conscio del fatto che alla radice di questo imbarbarimento si celano dei dilemmi universali dove la parola rimane ancora ardente. Il buio è così condizione essenziale per esprimere tutta l’urgenza di stagliarsi su altri possibili scenari futuri e schiudere giorni luminosi per tutta l’umanità.

E infatti, l’ultima sezione, Una rosa nel caos, simboleggia la fiducia in un avvenire che, seppur lontano, può iniziare anzitutto rivalorizzando il ruolo della poesia:

Osare parole nette/per riempire il vuoto di questa prigione/di corpi, di cuori e di anime./Azzardare un verso che esploda/e dare al pensiero la miccia della dinamite./Questo è il tempo di alzare la testa./Per il cambiamento la poesia arrivi ovunque/ e nessuno si tiri indietro/anche se nel sottosuolo e in superficie/sono in molti che vivono per strisciare.

La salvezza è possibile solo a patto che nessuno si tiri indietro. La vita erompe nella misura in cui si affronta a viso aperto tutto ciò che è foriero di morte:

Eppure ci deve essere uno spiraglio/in questa luce nera che illumina il mondo./Non possiamo credere all’infinito/al vangelo del nulla/e a predicatori di un verbo senza anima./Anche nel deserto ci vuole coraggio/per coltivare la bellezza di una rosa. / Per ogni petalo che nasce/il caos è soltanto un avversario/da affrontare a viso aperto.

Occorre scegliere la libertà autenticamente, facendo attenzione a non aderire a verità consolatorie:

Anche i blasfemi sanno pregare/nelle ore sbagliate/chi naviga senza rotta/ha un mondo nel cuore./Inverni cedono il passo a altri inverni/ma la luce dei pensieri/non ammaina mai la sua bandiera/perché la libertà è sempre il modo migliore/per non cadere nelle mani/dei presunti spacciatori di verità.

Ma essere poeti condanna alla lucidità. Questo Vacca lo sa bene, poiché precipitato in un mondo nel quale fatica a trovare collocazione a causa della propria corruttibilità. In tal senso, anche la poesia, al pari del male, rivela un duplice volto: se, da un lato, essa è rifugio di senso, dall’altro, tuttavia, condanna a una solitudine che ammalia e che a un tempo è prodotta dalla scelta di non aderire a una realtà degradata, persa nel terrore:

Le poesie che scrivo/ non mi salveranno./È quella negazione/l’inchiostro che versa il sangue delle parole/sulle ferite aperte della pagina./Tra tutte le negazioni/quella che preferisco è la poesia./La poesia che non salva/e che mi fa amare il terrore di essere poeta.

Luce nera Book Cover Luce nera
Nicola Vacca
Poesia
Marco Saya Editore
2015
78 p, brossura