Laureato in Storia Contemporanea con 110 e Lode all’Università di Pisa (1994), dottore di Ricerca e insegnante di Storia Contemporanea presso l’Universidad Autónoma de Madrid (1999-2010) e Visiting Teacher presso la New York University (2003). Autore di vari saggi storici sulla storia economica del franchismo e della transizione democratica, tutti pubblicati in Spagna. In campo letterario, l’autore tiene, dal 2013, un diario che è risultato finalista, nel 2016, del premio Saverio Tutino, indetto dall’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano. Ha pubblicato nel 2018, per i tipi di Catartica Edizioni, il romanzo Il corso dei destini incrociati; una prima versione del manoscritto è stata finalista, nel 2017, del premio Guido Morselli, organizzato con il patrocinio e la collaborazione del Comune di Varese e del Comune di Gavirate. Il suo ultimo libro è Un male urbano, Felici Editori

RISOLVO PROBLEMI

Di Marcello Caprarella

“…La sera chiudo, la mattina apro… e se no come entrano?…”

E. de Filippo, Natale in casa Cupiello, Secondo Atto

Ieri mattina ho esagerato. Non era nemmeno mattina, a dire il vero. È che non mi rendo conto, ho degli orari sfasati. Alle sei e mezza ero già in strada. Credevo di poter trovare l’edicola già aperta, come tutti i giorni, ma era sabato, ieri, e il sabato e la domenica finanche il giornalaio scende più tardi di me, sapendo che la gente si alza con comodo. È stato come sorprendere la notte cruda, uno scenario ancora da attrezzare. Sulla scala della stazione della metropolitana di Cuatro Caminos (quella sì che apre alle sei, sempre) c’erano due ragazzi. Uno era seduto sugli scalini. Vomitava. L’altro gli teneva la testa e gli estorceva una banconota, e poi sghignazzava all’indirizzo del resto della comitiva, che sostava davanti alla porta del Mc Donald. Mi hanno chiesto dove si prendesse il 37, l’autobus che va verso il sud, verso Vallecas. Gli ho indicato la fermata. Non mi hanno nemmeno detto grazie. Ho fatto qualche metro a piedi, sulla calle Bravo Murillo, andando verso il Mercado Maravillas. C’erano i domenicani, con le catene d’oro, in tuta. Non ho paura, ma sono tornato indietro perché era chiusa anche l’edicola di fronte al mercato. Mi ha spaventato un grido. Veniva da un cartone steso sotto il piccolo porticato dove c’è la succursale di Bankia. Un barbone. Li conosco tutti, ma questo non lo avevo mai visto. Uno nuovo, non schedato. “¡Pobre diablo! ¡Diablo pobre!”, urlava. Cazzo, un chiasmo…, ho pensato, in modo un po’ frivolo. Gli ho dato i due euro che avevo in tasca per El País, che usciva con il supplemento, e sono risalito ad attendere che si cuocesse il pane del giorno.

Quando sono ridisceso in strada per andare in piscina, alle nove, era già sparito tutto. Tutto era stato ricomposto, ma si notava che era un equilibrio fragile. Come quando ordino a mio figlio Daniele di farsi la stanza.

In piscina si stava da dio. Neanche un anziano. Io frequento il Triángulo de oro, un centro sportivo pubblico, del Comune di Madrid. Piscina, spa, palestra, campi da tennis… Non manca proprio niente. Il problema sono gli anziani. Sono troppi, incattiviti, vigoressici, rissosi.  Non si fanno la doccia prima di entrare in acqua. Occupano tutte le corsie in cui è suddivisa la piscina, compresa quella del nuoto veloce, che è quella che piace a me. Intralciano, sputano, pisciano, insultano. Le donne sono le peggiori. Sono ormai sicuro che tutti ‘sti vecchi appartengono a un’associazione e che si muovono all’unisono, rispettando un quadrante orario. Altrimenti non si spiega che un giorno ci siano tutti e un altro, come ieri, non se ne veda neanche uno.

Dopo, già in casa, una sorpresa. Saranno state le undici e mezza. Suona il campanello. Era l’amministratore condominiale. È nuovo. Si è presentato. Si chiama Simón Toledano Mercado. Nome e cognomi da ebreo. E poi somiglia a Woody Allen. La faccia, il fisico, gli occhiali, l’abbigliamento consistente in pantaloni di velluto beige, camicia a quadretti e giacca di tweed… Tutto faceva pensare a Woody Allen. Stavo per chiedergli permesso per scattargli una foto con lo smartphone e mandarla al mio amico Felipe, che ha il pallino dei sosia, e scrivergli: “Guarda, un altro Doppelgänger!”. Felipe sa il tedesco bene ed è un pedantone.  Se vede un sosia di qualcuno ed è con me, lui dice immancabilmente: “Guarda! Il Doppelgänger di…”. Ma torniamo all’amministratore del condominio. Anche il suo senso dell’humor e l’attivismo mi sono sembrati ebraici. Si vede che ci tiene a far notare che il suo mandato verrà contraddistinto da un’aria nuova. Forse temendo che qualcuno, in casa mia o tra i vicini di pianerottolo, stesse ancora dormendo, sussurrava: “Non voglio disturbare. Sto passando casa per casa a chiedere se la gente sia contenta e quali siano i problemi da risolvere”, ha detto. A me ha ricordato gli zii e i padri degli sposi, quando ai matrimoni del Meridione passano tra i tavoli, si chinano furtivi sugli invitati paonazzi, ingozzati di cibo e intossicati dai limoncelli finali, e biascicano: “Tuttapposto?”. Non gli ho risposto, mi veniva da ridere, e ho chiamato Patricia, mia moglie, che stava sbaraccando l’albero di Natale e un presepe minimalista e diffuso per tutta la casa, con delle figurine rachitiche sparse qua e là. Si sono presentati anche Daniele e Giancarlo, i nostri figli. Tutti e quattro sulla porta, e l’amministratore sull’uscio, come uno zampognaro molisano nei Natali di Foggia, quelli di una volta. L’amministratore, educatissimo, ha detto: “Che bei ragazzi! Buongiorno a tutti! Come sta signora?”. Ho sentito il peso della responsabilità del pater familias e gli ho spiegato il problema della rumorosità del riscaldamento, usando l’immagine, a me cara, del ruscelletto. All’amministratore è piaciuta molto. Lo dico sul serio, non fingeva. Io gli dicevo, senza acredine: “Alla fine, mi creda, è anche una cosa piacevole. Io immagino di essere in un rifugio di montagna e che fuori ci sia un torrente che scorre, bello limpido, e così mi addormento. Mia moglie, invece, è meno bucolica…”. A quel punto, vista la piega della conversazione, mia moglie se ne è andata, con l’aria di una che pensa “Questa non è una cosa seria”. Giancarlo, il piccolo, l’ha seguita. Daniele è rimasto con me, ha fiutato la poesia. All’età di Daniele, quindici anni, il nervo poetico è più all’erta. O è semplice curiosità.

L’amministratore sembrava compiaciuto. “Quello che Lei mi sta raccontando non è nuovo. Me l’hanno detto anche quelli del quarto. Ma non come me l’ha detto Lei. Ora ho capito davvero”, e mi ha sorriso, spiazzandomi un po’.

“Bene! Sono contento di aver trovato l’immagine giusta, ma ora che si fa, eh?”, gli ho sparato, pensando che mia moglie, se non se ne fosse andata, sarebbe stata orgogliosa dell’uomo concreto che vive in me.

“Non deve più preoccuparsi di questa cosa. Andiamo alla radice del problema. La sera, alle 22, il riscaldamento si spegnerà, cascasse il mondo. Me ne occuperò io, di persona. Abito in calle Comandante Zorita, a due passi. No, no! Non è un disturbo, mi creda. Non dica niente! Mi sono già fatto dare tutte le chiavi, comprese quelle della caldaia. Vedrete: vi coccolerò!”, e si è messo la mano in tasca, ha estratto un mazzo di chiavi e me le ha fatte tintinnare davanti agli occhi, come si fa quando si vuole calmare un bambino che sta sul seggiolone e che pesta nella pastina col cucchiaio. Mio zio Germano, l’usuraio, lo faceva sempre, questo giochino delle chiavi. È una dei fotogrammi fissi che ho della mia infanzia e di quella di altri cugini.

Io non avevo niente da dire, ero strabiliato. E anche mio figlio Daniele lo era.

“E poi è uno spreco inutile tenere acceso il riscaldamento tutta la notte, no?”, ha aggiunto l’amministratore, rimettendosi nella tasca della giacca il mazzo di chiavi.

Gli ho dato ragione, ormai sicuro di trovarmi davanti a un ebreo. La sicurezza assoluta è arrivata subito dopo, al saluto finale. Woody Allen si è bloccato, come uno che si fosse dimenticato di aggiungere un ultimo dettaglio insignificante, e ha detto: “Solo non vorrei che, una volta eliminato il ruscelletto di montagna, Lei non riuscisse più a conciliare il sonno, in questo silenzio da altopiano che saranno le Sue notti…”. Gli ho stretto la mano come si fa tra anime gemelle. Poi ho pensato che era impossibile che fosse ebreo, visto che ieri era sabato e tutta quell’attività, di sabato, un ebreo non l’avrebbe mai dispiegata. Un ebreo praticante come il mio amico Isaac, almeno, no. La prossima volta glielo chiedo. Comunque, è stato bello.

Alle 18 siamo andati con Raffaele e Carla, sua moglie, a vedere Natale in casa Cupiello, riadattato in spagnolo. Salvo qualche forzatura come l’inserimento di un’attrice cinese a fare la parte di Ninuccia o la caratterizzazione da squatters punk di Vittorio Elia e di Tommasino, lo spettacolo ci è piaciuto. All’uscita era già notte fonda, e siamo andati a cena in un bel ristorante di cucina cantabrica. Sto preparando un matching umano interessante, tra Raffaele e Thomas, il mio amico tedesco, che è architetto. Si sono già conosciuti a casa mia, in occasione di qualche disgraziata finale persa dall’Atlético de Madrid, ma stavolta voglio fare le cose a modino, come l’amministratore ebreo. Raffaele sua moglie stanno per acquistare una casa nuova, una villetta unifamiliare, nel quartiere di Alameda de Osuna, zona chic. È un passo grosso, una svolta, un cambiamento di vita, di abitudini, di scuola per i figli. Vorrebbero il parere di un esperto di materiali e di edificazioni urbane prima di concludere l’affare, e io ho pensato: chi meglio di Thomas per un consiglio di questo tipo? Quando ho acquistato casa qui a Madrid, cioè due volte, l’ho sempre fatto dopo aver ricevuto il placet di Thomas. E quando non ho acquistato casa, cioè più di due volte, è sempre stato perché Thomas non era convinto. Gli sono sempre bastati cinque minuti e un cacciavite. Col cacciavite scopriva tutte le magagne del controsoffitto, scoperchiandolo e facendo emergere le macchie di umidità, i ruscelletti, i materiali scadenti e marci ecc…

A me queste combinazioni piacciono. Mi piace che gli amici si affidino a me per cose delle quali io non so niente, ma per le quali conosco chi sa come farle, quelle cose. Mia moglie dice che sono un manipolatore, ma io mi sento come Lucarie’ della commedia di de Filippo, un uomo di fiducia. Quasi un amministratore ebreo, se non fosse che non ci guadagno niente.