Studia pianoforte, clarinetto, composizione sperimentale e ingegneria elettronica senza terminare mai nulla. Mal sopporta gli aggettivi indefiniti e la sensazione armonica di dominante. Privo di capacità di networking, possiede al momento un numero di arti nella media. Ex grasso, ossessionato da alimentazione e forma fisica, suona cartoni animati per anni in giro per l'Italia e insegna fisica a via Panisperna (voglio dire). Consegue la Scomunica nel 2008. Gli amici più intimi lo chiamano Vilipendio.

Se non gradite il linguaggio un po’ colorito, non leggete questo racconto (NdR)

Un racconto di merda

Di Vincenzo Lombardozzi

Nel frattempo, anche nei muri delle case più lussuose scorreva la merda.

So quello che dico: faccio un lavoro di merda. Andò così. Fatte le scuole superiori, svernavo in una facoltà scelta a caso. In 5 minuti, BANG! Fuoricorso. Al che, il fratello di una con cui uscivo mi fa:

“So che cerchi lavoro.”

“Non è vero, non ne cerco.”

“Io ho da proporti un lavoro di merda.”

“Sentiamo.”

“Uno che conosco ha una ditta, cercano gente. Si tratta di incanalare la merda in tubi dentro case di gente che paga bene.”

Perché no. Paga bene. Contenti loro, di averci nei muri la merda.

Eccomi quindi alle prese col mio lavoro di merda da anni. Non farmi fare conti. Soprattutto non sogghignare. So che la merda fa ridere grandi e piccini, ma anche il lavoro che fai tu sarà una merda. Anche se meno letteralmente, la sua puzza la fa.

La mattina arrivo presto. Un ragazzetto slavo fa le tracce, incide le mura col bisturi. Un tempo il ragazzetto slavo ero io, poi sono stato promosso a Signore Italiano. Vesto moda edilizia, pantaloni pieni di tasche con macchie di vernice e non merda. Alle 10.30 traggo da un incarto pizza colla mortadella, una Peroni da 66 cl e il Corriere dello sport. Fino alle 11.00 non do retta a nessuno.

Così, il ragazzetto slavo lascia le sue tracce. Quando lo fa sogghigna, mi ricordo il perché. Nello scassare i muri della gente perbene c’è qualcosa di straordinario. La signora ti guarda col cuore strizzato, lei che quando vede sul pavimento un granello di polvere lo raccoglie col polpastrello dell’indice destro. Vorrebbe indignarsi, ma sa bene che è ridicolo. “Signora, è la sua merda, non la mia: io sono uno educato.” Al che, seguo le tracce del ragazzetto slavo, stendendo la rete di vasi sanguigni nei quali correrà la merda. Un attimo dopo il ragazzetto slavo cicatrizzerà i muri con lo stucco. Lo stesso stucco di cui rimarrebbero gli ospiti della gentile signora, se solo immaginassero la trama di merda che li avvolge.

Una volta bisognava far passare merda di prete nei muri di una chiesa. Quel giorno il ragazzetto slavo ha avuto il suo giornaliero senza battere un colpo. “Questi sono muri portanti. Ci penso io”. Quale soddisfazione nell’accanirmi contro le mura benedette. In quel percorso di merda ho ideato piccole deviazioni, ora passava dietro la schiena del Crocifisso. “Non si può fare diversamente. Vede? Solo qui, dietro a Ns. signore, c’è un’intercapedine che si può sfondare. Ai lati abbiamo due muri ladroni in pietra, molto difficili da redimere”. Nel frattempo traevo dalla borsa dei ferri il mio schiodatore di crocifissi nuovo di zecca. Mi prendevano in giro quando l’ho preso, ma sapevo che non buttavo i miei soldi. Il prete, conscio della mole di merda che produceva, gemeva in silenzio. Stavo per aggiungere “così il suo crocifisso avrà la schiena calda, visto che è a torso nudo anche d’inverno” ma ho lasciato perdere. Non scherzo mai. Non rido mai. Perdi la voglia di scherzare, quando il lavoro che fai è di merda.

Tu mi disprezzi. Sento le tue pupille gustative nausearsi sulle mie riflessioni di merda, biasimando ogni volta che scrivo di merda. Merda, merda, merda!

Non è colpa mia. Hai fatto una scelta: detesti costipazioni e occlusioni, ma abbisogni di conduttori di merda. La tua, non la mia.

Quindi, la merda scorre. Inarrestabile. Scalda le terga delle icone sacre, e i ritratti degli antenati. S’infila dietro la dispensa, incurante delle prelibatezze che contiene. Passa per la camera da letto, testimone di sonni pieni incubi. Parte da vasi di piccolo calibro e affluisce in grossi tubi arancioni di PVC. Da sistema linfatico diviene apparato circolatorio. Ogni casa ha le sue arterie, in cui scorre acqua pura. E le sue vene, incrostate di merda. Io tratto la merda.

Un tempo si usavano tubi metallici, smaltati all’interno. Termoisolati. Il costo era alto; si poteva abbattere. Le plastiche diventarono più sottili e porose, trattenendo nei propri alveoli particole di merda che da liquida solidificava. Questa patina ne aumentò la rugosità, da cui gli attriti. Oggi abbiamo merda meno fluente.

Gli sbalzi termici non aiutano. Le case di fabbricazione recente hanno coibentazioni ridicole, caldo d’estate, freddo d’inverno, pieghe, bolle, crepe nelle condutture. Colesterolo né buono né cattivo; semplicemente inevitabile. Hai mai visto dei muri permearsi di merda? Sembra umidità, poi gli odori ti mettono il dubbio. Sarà merda?

All’inizio tenti spiegazioni. “È l’umidità. L’odore di chiuso svanirà aprendo mezza giornata le finestre”. La merda è in effetti diluita, l’acqua la aiuta a scorrere nei tubi. Panta rei, dici tu; ma non è vero. I liquidi scorrono, i solidi no. Essi amano intrattenersi presso i loro ostacoli. Quindi ti stazionano dietro le suppellettili, incuranti della tua repulsione bigotta. “Senti qui, cara: sarà merda?” “Oh, Ignazio, non so dirti. Certo, sembra merda. Ma come può essere? Abbiamo rifatto l’impianto neanche ventimila anni fa! Non può essersi già rotto”. Non può, soprattutto per la gravità delle conseguenze. Quella è casa tua. Il tuo porto franco, il rifugio dal lavoro di merda metaforica che fai, stolto che credi di essermi migliore. Vederlo impregnato di merda reale non è, semplicemente, un’ipotesi accettabile. Pure è così.

La qualità si abbassa dappertutto, dicono sia un processo irreversibile. Un tempo si produceva con amore. Prima la funzionalità, poi l’abbattimento del costo, l’estetica e la smaltibilità. Non di rado il design aveva indotti educativi.

A un certo punto, ecco bussare alla porta delle economie capitalistiche il Terzomondo. Che nel frattempo ha studiato, almeno un po’. Le nuove economie, cinesi e indiane, legano te, lavoratore occidentale, al palo della tortura. Chiedono meno: certe volte si accontentano di un terzo.

“Perché no?” ridono gioviali i Cavalieri del Lavoro. Quindi licenziano, subappaltano, delocalizzano. I guasti non sono più riparabili. Bisogna rifare tutto da capo. Fino a disperarti della violenza dei colpi dati dai ragazzetti slavi sui muri delle loro case intrise di merda.

Io stesso, ligio alle tendenze del mercato, ho inciso un disco che intrattiene il cliente bisognoso di concludere il suo tipico affare di merda. Passo le ore più liete ascoltandolo.

“Buongiorno. Lei ha chiesto un preventivo per un merdodotto di tipo domestico. Se la casa è in costruzione, e l’impianto è da mettere in opera ex-novo, prema 1. Se l’impianto è preesistente e va ammodernato, prema 2. Lei ha premuto il tasto 2. Se la cubatura della merda prodotta mensilmente non è superiore a 0,02 metri cubi, prema 1. Se la cubatura non è superiore a 0,06 metri cubi, prema 2. Se la cubatura non oltrepassa i 0,10 metri cubi mensili, prema 3. Per quantità superiori prema 4. Per riascoltare questo messaggio, prema 9. Per tornare al menù precedente, prema 0.”

Fantastico, fantastico. Quando al primo bivio premi 2, grande è l’urgenza. Tu non sai quantificarti la merda. Tenti di indovinare le dimensioni lineari di un campione mattutino e di calcolarne il volume elevandolo al cubo, moltiplicando il risultato per i 30 mattini di una mensilità media; ma intanto quel campioncino ostinato non sente ragioni e vuole uscire. Quindi nelle pause del mio disco favorito pronunci i peggiori improperi, augurandomi le morti più crudeli. Tu, col tuo animo candido, che poco fa inorridivi per le volte che ho scritto ‘merda’; la tua indignazione è ingenua e tenerissima. Credi di avere del problema un quadro completo. Non sai che, a lavori conclusi, dal punto A di origine la tua merda verrà indirizzata in un punto B.

Non ti chiedi mai, di quel punto B. Esso vegeta paziente in qualche cantuccio dello spazio-tempo. Attende di germinarti le verdure, o il foraggio che foraggerà le tue bistecche. Ti aspetta nei mari delle vacanze estive, coverà le uova dei pesci prelibati di cui ti ciberai nei ristoranti più costosi.

Ognuno ha la sua merda, il suo lavoro di merda, la sua vita di merda. Tu non mi faciliti le cose. Le tue esigenze sono per l’appunto solo tue. Spesso divergenti dalle mie.

Tu mi chiedi documenti, mi frapponi burocrazie, mi metti voti bassi agli esami, mi levi punti alla patente. Mi curi le malattie di mala voglia, difendi i miei diritti male e per parcelle salatissime, commetti errori giudiziari. Non mi rappresenti nelle democrazie rappresentative, storni i fondi, ascolti musica caraibica altissima. Stendi asfalti che saltano per aria alle prime piogge, mi sbagli le previsioni meteorologiche, perdi le prenotazioni delle mie vacanze. Mi blocchi la carta di credito, aumenti i prezzi, vendi biglietti sfortunati, non inventi mai sigarette innocue o cure contro la calvizie.

Ma adesso ti frego io. Sto per brevettare un sistema di fognature wireless.

L’immagine di copertina è presa da Wikipedia