Nata a Milano nel 1966, dopo studi di filologia classica all'Università degli Studi di Pavia comincia a lavorare in libreria. Fa la libraia per 26 anni. Ha collaborato con case editrici quali Astoria, come lettrice dall'inglese e dal francese e per Giunti per cui ha scritto una guida on line sulle città europee. Ha collaborato con articoli e recensioni al blog SulRomanzo e al blog di approfondimento culturale Zona di Disagio. Suoi articoli sono apparsi sul sito della società di formazione Palestra della Scrittura. Ha curato blog di carattere economico e, per anni, ha lavorato come web content writer. E' autrice di due libri: Guida sentimentale alla Tuscia viterbese, una serie di brevi reportage di narrazione dei territori e Mors tua vita mea, un libro di racconti pubblicato da I Quaderni del Bardo Edizioni. Un suo racconto è pubblicato all'interno del libro Milanesi per sempre, Edizioni della Sera. Dirige la rivista L'Ottavo

La scienza e i suoi abissi

Di Geraldine Meyer

“E a chi dobbiamo questo meraviglioso inferno, se non a voi? Mi dica quando ha avuto inizio tutta questa follia, professore. Quand’è che abbiamo smesso di capire il mondo?” Con queste parole un inquietante sconosciuto interroga Heinsenberg in un losco bar di Copenaghen. E con queste parole è affascinante lasciarci interrogare da questo libro, Quando abbiamo smesso di capire il mondo, di Benjamin Labatut, da poco mandato in libreria da Adelphi.

Un libro che è un ordito di ritratti di scienziati ma anche il disegno di un secolo in cui la scienza si è mossa tra vette sublimi e cupi baratri. Quasi facce della stessa medaglia di una ricerca che si è spinta fino all’insondabile, ai confini di una vertigine conoscitiva. Quando abbiamo smesso di capire il mondo è una sorta di elegia, tragica ed esaltante al contempo, in cui la metrica ci appare scandita dall’analogia tra la poesia e la fisica, la matematica e la meccanica quantistica. Sponde solo in apparenza separate da un fiume invalicabile eppure, tutte quante, in grado di attraversarlo non con la luce ma con l’oscurità.

“La meccanica delle matrici di Heisenberg” e “l’elegante lingua delle onde di Schrodinger” sono quelle sentinelle che, infondo, ci ricordano che – come dice – lo stesso Labatut –  “La scienza non offre verità ma un metodo, pieno di incertezze: una domanda scottante mai del tutto risolta. La vera scienza sospetta sempre che dietro ogni sua scoperta giaccia qualcosa di più profondo, oscuro, strano. La sua più grande virtù è l’infatuazione per il mistero, un desiderio di sapere perseguito con lo stesso fervore con cui i santi desideravano il contatto con il Verbo”.

E infatti gli scienziati di cui Labatut ci racconta ci vengono in contro quasi come dei monaci, assorbiti, ebbri e folli delle loro scoperte, totalmente immersi e annullati dalle loro spirali di pensiero. Spesso senza neanche capire le conseguenze delle loro stesse scoperte. O forse temendone lo sconfinamento in altri ambiti. Ecco allora la domanda, drammatica e visionaria, di Schwarzschild, scopritore dei buchi neri e altro scienziato di cui Labatut ci narra che si interroga con queste parole: “Se la materia poteva assumere questo stato mostruoso esisteva un corrispettivo nella mente umana? Una concentrazione sufficientemente alta di volontà, milioni di esseri umani asserviti allo stesso fine, le loro menti comprese nello stesso spazio psichico avrebbero innestato qualcosa di simile”?

Dalla la scoperta del blu di Prussia a quella del cianuro, dalla guerra chimica alla bomba atomica, questo libro è la storia, tra romanzo e saggio, del lato oscuro della scienza che come la poesia guarda l’abisso ma, a differenza della poesia pensa di poterlo illuminare. Per questo l’autore ci ricorda “Frankenstein, o il moderno Prometeo, in cui [l’autrice] mise in guardia contro il progresso cieco della scienza, la più pericolosa di tutte le arti.”

Vita e morte, eros e thanatos, cadaveri e erezioni. Un caleidoscopio di immagini che costruiscono un testo in cui le figure degli scienziati vengono immersi nella stessa materia di cui sono fatti i loro studi che, in fondo, è la vita stessa, in cui qualcuno impazzisce e qualcuno, come Schwarzschild si pone interrogativi ontologici perché: “solo una visione di insieme, come quella di un santo, di un pazzo o di un mistico, ci permetterà di decifrare la forma in cui è organizzato l’universo.” Ma ciò che colpisce, e forte, in questo libro è l’aspetto etico. Perché molti di questi scienziati, in forme diverse, tra paura e diniego, furono travolti da una forma di terrore dalle loro stesse scoperte.

Quando abbiamo smesso di capire il mondo Book Cover Quando abbiamo smesso di capire il mondo
Benjamin Labatut. Trad. di Lisa Topi
Saggistica
Adelphi
2021
180 p., brossura