Laura Vargiu è nata a Iglesias, nel sud della Sardegna. Laureata in Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Cagliari con una tesi in Storia e istituzioni del mondo musulmano, è presente con poesie e racconti in diverse raccolte antologiche nazionali. Vincitrice del Premio Letterario “La Mole” di Torino nel 2013 e autrice di alcune pubblicazioni di poesia e prosa, tra cui “Il cane Comunista e altri racconti” (L'ArgoLibro Editore), fa parte della redazione della rivista di poesia e critica letteraria “Nuova Euterpe” e della giuria di alcuni concorsi letterari.

Etty Hillesum: una piccola, grandissima voce

Di Laura Vargiu

È per davvero una piccola voce quella che si leva dal campo di concentramento e transito di Westerbork, nel nord-est dei Paesi Bassi, e della quale, in queste pagine cariche di struggente consapevolezza della propria sorte, sembra ancora di sentire l’eco. Una voce piccola, ma allo stesso tempo grande, che ha potuto e voluto gridare con forza in mezzo a migliaia d’altre ridotte al silenzio, svelando l’abominio del proprio tempo tragico.

“Vi ho detto spesso che le parole e le immagini non sono sufficienti per descrivere notti come questa. Ma devo provare a scrivere qualcosa per voi, perché siamo occhi e orecchie di un pezzetto di storia ebraica, e qualche volta sentiamo il bisogno di essere anche una piccola voce.”

Non aveva ancora trent’anni Etty Hillesum quando, ormai internata definitivamente, scriveva queste parole. Era quasi la fine dell’agosto del 1943. Due settimane più tardi, anche lei e i suoi familiari sarebbero partiti per un viaggio senza ritorno, verso una meta il cui nome già evocava l’ineluttabilità di un destino a dir poco drammatico: Auschwitz.Chiusa a Westerbork sin dal giugno precedente, la scrittrice olandese aveva assistito alla partenza di un gran numero di ebrei, ammassati sui vagoni merci di un treno che, puntuale, assicurava un trasporto a pieno carico ogni martedì.

Ed è proprio questo l’agghiacciante spettacolo davanti al quale piomba all’improvviso il lettore man mano che si addentra nel dolore di questa lunga, minuziosa, lucidissima lettera che nel 2014 le Edizioni Via del Vento hanno proposto in una nuova traduzione dalla lingua olandese a cura di Francesca Degani e Ilona Merx, inserendola tra i preziosi volumetti della ricca e interessantissima collana “Ocra gialla” dedicata ai testi inediti e rari del secolo scorso. Una cronaca drammatica, quella di Etty, che rivive nell’ultimo suo testo uscito dal campo e pubblicato clandestinamente, al pari di una lettera precedente, durante l’autunno dello stesso anno; i destinatari erano gli ebrei olandesi affinché venissero informati di ciò che stava accadendo e che, a passo sempre più svelto, conduceva verso quanto di più ributtante avesse potuto pianificare la crudeltà di questo essere pensante che si chiama uomo.

               Etty Hillesum (fonte: Via del Vento Edizioni)

“Se penso ai volti dei militari del plotone armato di accompagnamento in uniforme verde, mio Dio, quei volti! Li ho osservati uno ad uno, nascosta dietro una finestra. Niente mi ha mai spaventato come questi volti.”

Sembra quasi di vederla, questa ragazza che sfida il divieto di non uscire dalla propria baracca per andare a nascondersi in un’altra, prossima al binario, da cui avrebbe usufruito di una “magnifica visuale” del treno che, già alle sei del mattino, era pronto ad accogliere il suo carico forzato di disperati. Seppur a distanza di oltre settant’anni, i suoi diventano i nostri occhi, anche se le immagini, come lei scrisse, “[…] non sono sufficienti per descrivere notti come questa”. Allo stesso modo, non bastano le parole, dietro le quali si coglie il peso di un senso d’impotenza e sgomento, se non di orrore.

Donne e uomini, vecchi e giovani, addirittura lattanti in braccio alle rispettive madri che forse presagivano già di non poterli salvare, vengono colti dallo sguardo attento e partecipe della nostra osservatrice nella loro rassegnata fragilità, nella quale, malgrado tutto, riesce ancora a fiorire qualche sparuto sorriso.

“Ma più tardi ho pensato che qualcuno è partito sorridendo, anche se non sono stati molti. E in Polonia, forse, qualche volta qualcuno sorride ancora, anche se in questo trasporto non sono in molti a sorridere.”

Quel giorno partivano poco più di mille ebrei destinati al macello: una “manciata” di vittime tra quelle contate infine a milioni di cui non dobbiamo perdere mai memoria. Dall’altro lato, immancabili, gli aguzzini chiusi nelle loro divise distintive verdi e nere; la sproporzione tra le due categorie appare “ridicola”, sottolineando da parte della prima ciò che l’editore Fabrizio Zollo, nella sua sentita e coinvolgente postfazione, definisce “[…] l’ordinata assuefazione al disegno tracciato dai carnefici”. Emergono a poco a poco, oltre al comandante Gemmeker (padre della vita artistica del campo, come lo definì Etty non senza una punta di amara ironia), il suo segretario ebreo Todtmann e il capo dei servizi del campo Schlesinger, anch’egli ebreo. Nella triste carrellata di personaggi per così dire noti, sui quali è possibile leggere qualche nota in chiusura del volumetto, si rintracciano i nomi di musicisti, compositori e attori di cabaret che venivano temporaneamente risparmiati dal comandante in virtù dei propri meriti artistici e, pertanto, si affaccendavano fuori dal treno trasportando sulle carriole i bagagli di chi invece era costretto a partire. Così, lungo questo surreale “Viale della Deportazione”, va in scena anzitutto un dramma ordinato, senza apparenti scossoni, dove il lugubre gioco delle parti tra prigionieri e carnefici dà solo il via a ciò che accadrà poco più tardi in terra polacca.

È anche grazie alle testimonianze come quella di Etty, cui sarebbe toccata ben presto la medesima sorte della gente allora in partenza, che possiamo ricostruire, tassello dopo tassello, penetrando nel profondo tra le emozioni e i pensieri che la pagina scritta ci restituisce, l’immane tragedia della Shoah, apice maledetto di un antisemitismo che purtroppo, ancora oggi, in Europa risulta tutt’altro che scomparso. Parole preziose, dunque, giunteci direttamente dal cuore di tenebra di Westerbork, da dove, tra gli oltre centomila ebrei internati e diretti ai campi di sterminio, nel ’44 transitò persino Anne Frank.

Un meritatissimo plauso alla casa editrice di Pistoia per aver ridato voce a questa piccola voce, spentasi ad Auschwitz entro la fine del 1943 ma portatrice di un grande messaggio di pace da estendere al nostro tempo ancora così gravido, ahinoi!, di ingiustizie, prevaricazioni, drammi spesso volutamente ignorati. Ha ragione l’editore Zollo quando, tra le sue considerazioni conclusive, ci ricorda come la Storia insegni che chi è stato vittima può talvolta diventare carnefice. Se solo potesse vederlo, come Etty Hillesum considererebbe lo scempio che si sta compiendo in Palestina ininterrottamente dal 1948 a oggi? In quanto ebrea che ha patito ciò che ha patito, potrebbe giudicare diversamente  “[…] il pilota israeliano che schiaccia dall’alto del cielo il bottone nel suo sofisticato aereo, scagliando il raggio di morte che cancellerà inevitabilmente centinaia di bambini dal ghetto di Gaza in cui sono stati relegati […]” rispetto al “[…] nazista che guarda con indifferenza le sue vittime mentre preme la leva del gas […]”?  Molto probabile che possa sfuggirle un accorato e sofferto «Signore onnipotente, che cosa succede qui, qual è il tuo piano?», come davanti alle scene a cui assistette impotente nell’inferno anestetizzato di Westerbork. Perché nuovi ebrei e nuovi ghetti, seppur stavolta non marchiati con la stella di Davide, si rincorrono in Terra Santa e in diversi altri angoli del mondo ed è dovere di tutti non voltarsi dall’altra parte. Lo dobbiamo alle piccole voci volate via dalle ciminiere di Auschwitz e a tutte quelle disperse, inascoltate, tra le pieghe di ogni più ignobile banalità del male.      

Una piccola voce Book Cover Una piccola voce
Etty Hillesum
Epistolare
Via del Vento Edizioni
2014
36 p., brossura