Nata a Milano nel 1966, dopo studi di filologia classica all'Università degli Studi di Pavia comincia a lavorare in libreria. Fa la libraia per 26 anni. Ha collaborato con case editrici quali Astoria, come lettrice dall'inglese e dal francese e per Giunti per cui ha scritto una guida on line sulle città europee. Ha collaborato con articoli e recensioni al blog SulRomanzo e al blog di approfondimento culturale Zona di Disagio. Suoi articoli sono apparsi sul sito della società di formazione Palestra della Scrittura. Ha curato blog di carattere economico e, per anni, ha lavorato come web content writer. E' autrice di due libri: Guida sentimentale alla Tuscia viterbese, una serie di brevi reportage di narrazione dei territori e Mors tua vita mea, un libro di racconti pubblicato da I Quaderni del Bardo Edizioni. Un suo racconto è pubblicato all'interno del libro Milanesi per sempre, Edizioni della Sera. Dirige la rivista L'Ottavo

Sette opere di misericordia. Nessuno si salva da solo

Di Geraldine Meyer

Quale legame c’è tra un dipinto di Caravaggio, Sette opere di misericordia appunto, la tragedia di Vermicino Napoli e la storia dei personaggi di questo libro? Se la scelta di introdurre nella struttura e nella sostanza del libro la vicenda di Alfredino Rampi ce la spiega l’autrice alla fine del libro, noi come lettori siamo “costretti” a valutarne la portata mentre entriamo tra le pagine di questo testo.

Sette opere di misericordia, il libro, bellissimo, di Piera Ventre, pubblicato da Neri Pozza, è un lavoro che riporta le parole alla loro forza, alla loro dignità. E possiamo parlare di letteratura, non “semplicemente” di narrativa. Perché non intrattiene, non consola. Ma interroga, in modo scomodo, su cosa voglia dire vivere comprendendo che ciascuno si porta dentro ferite, dolori, segreti, debolezze, contraddizioni.

Sette opere di misericordia è un libro carnale, nel senso che ci porta per mano, passo passo, a chiederci se, per caso, l’inferno sia l’attraversamento della vita stessa e non qualcosa che dalla vita si stacca. Un libro, dipinto, è il caso di dirlo, proprio come una sequenza di quadri, che sono, intrecciate e alternate, le storie e i frammenti di storia della vita di ciascun protagonista. Un romanzo corale fatto dalle singole “voci” di ognuno di loro.

Cristoforo vive con la sua famiglia in una casa attaccata al cimitero di cui è custode. L’orizzonte, lo spazio è impregnato dal silenzio e dalla presenza di tombe e lapidi. Con lui Luisa, la moglie, i figli Rita e Nicola e Rosaria, compagna di scuola di Rita, cacciata da casa perché incinta. Questi gli elementi, esteriori, di una storia di rimpianti, di occasioni perse, di malinconie, di malintesi. Soprattutto di malintesi. Che inquinano le esistenze degli esseri umani quando ci si ferma, per stanchezza o per paura, ai gesti di oggi. Senza provare a risalire indietro nel tempo della vita di ciascuno. Perché è proprio in quel tempo lì che si trova tutto, ma proprio tutto ciò che serve per capire. Per capire che male e bene sono contagiosi ma, spesso, trovano strade inedite, per ciascuno, e per ciascuno con esiti diversi.

Carezze mancate, “tradimenti” manipolazioni si possono giudicare moralisticamente oppure, come fa Piera Ventre, leggere come un monito, un invito, appunto, alla misericordia, come “compassione attiva per l’infelicità altrui”. Con tutto ciò che questo comporta. Perché la misericordia è anche compassione attiva per la propria infelicità. Tutto si tiene e tutto si lega.

Piera Ventre (immagine da raicultura.it)

E noi lo “scopriamo” leggendo queste pagine, ogni pagina un po’ di più, seguendo la storia di Cristoforo, con un occhio di vetro conseguenza dell’esplosione di una bomba, di Luisa una volta bella e ora appesantita dalla vita e dalle cose non dette, di Rita giovane ragazza dall’intelligenza acutissima, di Nicola, bambino “nato con la camicia”, troppo sensibile eppure, proprio per questo, quasi coscienza critica di ciascuno, specchio e cartina di tornasole del dolore del mondo, con il suo amore per la luna e la cagnetta Laika, morta nello spazio ma, per lui, grazie ai racconti di suo padre, libera di correre tra le stelle. Ma anche la storia di Rosaria, quasi “donna fatale”, pretesto prima e capro espiatorio poi, in realtà ferita e offesa dalla vita. Come tutti.

C’è tanto corpo in questo libro, cibo, ingurgitato e rifiutato, ci sono gli odori, ma c’è anche, e forse soprattutto, tanta Napoli, con le sue luci e le sue ombre, i vicoli che odorano di cibo e di umanità, buona e cattiva, proprio come il cibo. E, attorno e in mezzo a tutto questo, una umanità che si difende con il rancore o con la bontà, con le bugie e le omissioni. Con taciti compromessi. Perché, in fondo, ci si può accettare, comprendere e perdonare, anche senza dirselo.

E, a fare da collante, nelle pagine finali, sempre più concitate, la tragedia di Vermicino, la prima tragedia con copertura tv continua, martellante. Una tragedia che, avendo un viso ben preciso, quello di un bambino sorridente in una foto in bianco e nero, diventa quasi uno spartiacque, un catalizzatore di pensieri e sentimenti. Un cambiamento? Chissà. Sicuramente un passo in più, un modo per fermarsi andando comunque avanti. Con occhi e testa attaccati a quel corpicino che scivola sempre più giù.

Ogni personaggio di questo libro, nessuno escluso, compie un piccolo gesto di misericordia. E lo comprende davvero, come lo comprendiamo noi lettori, attraverso quella tragedia divenuta un evento televisivo.

Il libro è prenotabile in cartaceo e disponibile in ebook