Giacomo Colomba Web writer, scrittore, viaggiatore e poeta, Giacomo Colomba è uomo di vasta cultura e ancor più vasta curiosità. Ricercatore indipendente, atipico e poco convenzionale, decide di lasciare gli studi a 15 anni per mettersi in viaggio tra Europa, Africa e Asia, soprattutto in India, dove da anni vive e lavora e della quale ha una profonda conoscenza. È articolista per la De Agostini, le sue poesie in italiano ed in inglese sono state pubblicate in varie antologie, ed è ghostwriter e scrittore di viaggio su commissione. Ha autopubblicato Le Sette Tetradi dello Yoga Integrale, in procinto di uscire in Italia,

Elionautica

Di Giacomo Colomba

Tutto e’ rabbuito ed eroso.

Da tempo hai desertato i sogni

e le stelle dai quali aizzavi

il fondale del mio cuore.

Ma l’assenza non prosciuga

il rivo del mio fuoco,

divampa una gioia viva.

Non riesco piu’ a vederti

sotto la cute dei miei compagni

ne’ dietro l’abito dei miei nemici,

la stoffa e’ solo stoffa,

un punto croce di noia.

Eppure il gaudio e’ impeturbato,

eretto, a prova di dissolvenza.

Tornai alla cascata

dove lasciavi che rimirassi

la tua crine aprire i prodigi

per poi farli cadere, ma non ho

visto niente per settimane,

solo i calabroni si divoravano

l’un l’altro in una giostra

di cardi, e nulla piu’.

Neanche questo ha spezzato

il riso pulsante di un dio sazio

che non riesco ad espellere dal mondo.

La luce che squilla nelle gemme

non ti riflette piu’ e non

c’e’ traccia di te tra le pagine

dove una volta ci incontravamo.

Ti ho cercato tra l’inchiostro ma

ho finito col riempirmi lo sterno

di cantilene e ragnatele.

L’oro battriano e’ cialtroneria

eppure sento il canto di una pienezza

alata e insopprimibile, che neache

nel vuoto cesserebbe di ridere.

Il vento non mi parla piu’ di te,

la pioggia non ha piu’ il tuo odore,

Esfahan e Singapore sono

un incubo di fumo vuoto,

due torbiere di miele morto

senza il tocco dei tuoi passi.

Eppure non una lacrima,

un diniego o una resa

rannuvola il sole leonino

di un’estasi all’opera.

Nelle carezze di polvere

delle amanti non ti sento

piu’, ti ho perso da tanto,

nessun nome ti contempla,

non ti capto da decenni

nei palpiti e la tua voce

e’ sparita anche dai ricordi.

Ho dissepolto ogni tempesta

ma non c’e’ niente dei tuoi fulmini

che possa abbracciare tra i combusti.

Tutto e’ dipartito e i giorni

sono morte amnesie,

arazzi immobili, smossi

a malapena da un’aria viziata,

da una vetusta penombra.

Anche le preghiere e la sete

sono ridotte male, al lumicino,

come corpi presi dalla peste

e lasciati deperire su un

banco di legno, con le ossa

del bacino a sporgere, in un

gelo di poche speranze.

Eppure non riesco a piangere.

Ho perso il Greenwich e l’equatore

ma tutto freme di una delizia unica,

un fervore che penetra la brezza,

un vigore che sale nelle linfe,

che mantiene salde le rocce.

La beatitudine invitta

mette radici all’inferno.

Ho tenuto tra le mani teschi rotti e

polsi aperti come fogne spergiurate,

corpi ridotti a un flebile spirare,

e non ho tremato ne’ sono sciapito

nella compassione delle suore.

Solo la gloria di una primavera

mai vista, quella dei poeti

ultravioletti, tale radianza,

e’ qui per sempre, anche se ti avessi

perso definitivamente, anche

se per le strade vagassero

ossa e carcasse come per oggi,

e i giorni un mercimonio di lacrime;

anche se regredissi alla bestia

tornando tra i rovi a cibarmi

di sangue rappreso, la radianza e’ mia,

questa neve, questa compiutezza,

anche se la guerra e’ persa

e io ne fossi l’ultima lacrima,

ed in virtu’ di un tale inferno

il mio balzo nel buio non trovasse mai

fondo, neppure nel fondale degli eoni,

neanche allora riuscirei a piangere.

In questo smacco prodigioso,

sulla sella di questo serpente

di polvere cosmica, io fremo

di una Gloria senza nome e

prendo nota dell’Eternita’.

L’immagine di copertina è Il sole rosso, di Joan Mirò