Vivo a Catania, sono pediatra. Ho scritto molti racconti pubblicati in antologie. Uno in particolare, Il violinista, è in fase di stampa Così come una raccolta di miei racconti(19) è in fase di imminente pubblicazione. Sono arrivato finalista al concorso internazionale di poesia il Federiciano, con la poesia La spiaggetta.

Il barbiere

Di Flavio Prestifilippo

Alfio lavorava nella sua bottega di barbiere da più di trent’anni. Era magro, segaligno, ma i suoi modi erano pacati, qualunque cosa facesse. Se eseguiva una barba chiacchierava piano col cliente, ma solo se lo conosceva. Quasi mai parlava di politica, solo a volte dei problemi del Comune dove risiedeva e lavorava. I suoi ragionamenti era un poco strampalati, ma aveva il dono di farsi ascoltare. Un’altra caratteristica era il prezzo fisso: cinque euro qualunque lavoro svolgesse, salvo quando eseguiva uno shampoo. A volte si richiudeva in lunghi silenzi, con le mandibole contratte mentre guardava fuori come a scrutare qualcosa, che covava dentro di sé. Alla fine di queste lunghe meditazioni scuoteva la testa, quasi volesse scacciare un pensiero, e dopo un lungo sospiro riprendeva senza fretta il suo lavoro. Qualcuno più smaliziato gli chiedeva: – Alfio, hai problemi, tutto a posto? Lui si concedeva una lunga pausa prima di rispondere:

– Questi tempi non mi piacciono. Troppo caos, delinquenza, disoccupazione ma anche gente che non vuole lavorare. Non esiste più rispetto. Chissà forse all’estero si sta meglio, per esempio negli Stati Uniti, ma forse mi sbaglio.

Dopo questa blanda spiegazione, un silenzio stagnante tornava a regnare nella piccola bottega. Quando non c’era nessuno invece si metteva fuori a guardare con le mani in tasca. Ogni tanto passava la moglie per dirgli qualcosa. Lui allora perdeva la sua flemma, e le discussioni si facevano accese. Alfio roteava gli occhi verdi come quelli di un felino rimasto troppo a lungo senza preda.

– Basta Anna, ne abbiamo già discusso. Io sono così, è il mio carattere. Porto i soldi a casa? Abbiamo da mangiare? Ti porto a fare la passeggiata dopo la messa la domenica? Di più non posso. Sono stato sempre così, puoi chiedere a tutti. Sono nato qui, questo è il mio paese e mi piace. Non me ne vado, se non per recarmi in America magari.

Concludeva queste incomprensibili filippiche sempre in tale maniera. Poi si chiudeva in un mutismo assoluto. La povera donna qualche volta cercava di controbattere e di capire soprattutto, ma senza alcun risultato. Raramente gli capitava qualche turista, la sua infatti era una bottega popolare. Se qualcuno di questi per caso era stato negli USA, allora Alfio si trasformava. Diveniva loquace e subissava di domande il malcapitato, che inevitabilmente finiva col fuggire. Un giorno di luglio vide entrare dalla porta a vetri un omone alto, sulla cinquantina, capelli lunghi, occhi grigi, freddi, inespressivi. Un altro tedesco, pensò subito Alfio. Non li poteva soffrire, li considerava tutti ex nazisti, pertanto lo accolse con modi bruschi. Poi si misero a parlare a monosillabi, mentre il barbiere lavorava velocemente: non vedeva l’ora di liberarsi di quell’energumeno. Uno squillo echeggiò come uno sparo nell’angusto esercizio. Il nuovo cliente afferrò il cellulare, facendo cenno al barbiere di fermarsi. Alfio restò con le forbici a mezz’aria. L’altro invece continuava a parlare con la sua voce tonante:

-I don’t understand you. It’s impossible for me. Fuck you.

Mentre lo ascoltava però il viso di Alfio si andava rischiarando come quando il sole sorge sul mare, e i suoi raggi scintillano sull’acqua come una promessa di nuova vita, anche se breve.

–Are you an american?

– Yes, I’m from New York city!

Cominciò uno strano dialogo nelle due lingue. L’americano infatti mostrava di parlottare l’italiano. Alfio ne avrebbe capito solo più tardi il motivo. Rimasero seduti vicini, come due vecchi amici che non si vedono da tempo. – John – chiese poi ansioso il barbiere, -ti voglio rivedere, quando parti? Una bellissima donna di mezz’età si stava dirigendo nel frattempo verso il salone. Avanzava a passo lento. Sembrava una pantera. Alta, occhiali scuri, capelli color mogano. Indossava una camicetta bianca e pantaloni attillati neri. John si alzò di scatto. – My wife Alfio – esclamò con entusiasmo. Lei si tolse gli occhiali e con un sorriso porse la mano al barbiere. Nel cuore di Alfio sfumò tutto: il sole, il luccichio del mare, mentre un forte vento si alzava repentino. Le gambe gli erano diventate rigide, mentre gli occhi erano fissi su di lei. La mano destra cominciò a tremare. Un tremolio appena accennato che solo lui poteva avvertire. Si strinsero le mani, entrambe fredde. Lei non sorrideva più. Poi la coppia si allontanò. Era calata la sera. Alfio rimase seduto da solo con la testa tra le mani, mentre il cuore gli tambureggiava impazzito nel petto. Ma ben altra era la sua sofferenza. Veniva da lontano, e aveva il viso di un bimbo mai conosciuto, di un sorriso mai visto, di tenere manine che non aveva potuto stringere, di pianti notturni che non aveva potuto consolare. Tutto gli appariva davanti come un carosello, in cui dondolavano come in un’altalena fantasie di un padre mancato e fatti veri, antichi. Lui allora era giovane, e le sue dita forti e ferme si intrecciavano con quelle di lei. Poi le accarezzava i capelli scuri, appena ombrati da venature di rosso. Quando finì l’estate, quelle dita disperate strinsero solo la lettera di lei:

Vado in America, parto, addio, con mio figlio in grembo. La mia famiglia mi aspetta. Qui non c’è futuro. Non ho nulla da farmi perdonare. Una vita misera purtroppo non fa per me.

Alfio ricordava ogni parola. Ora invece si passava la mano tremante tra i pochi capelli grigi, come a trarne conforto. Per lunghi giorni non poté lavorare. Restava seduto da solo nel salone, e rifiutava ogni cliente. Sua moglie per il momento era all’oscuro di tutto. Il tremito alle mani lo tormentava. Ma era soprattutto lui a non avere più voglia di nulla. Un mattino un’auto si fermò sull’uscio della bottega. I vetri erano oscurati e si vedeva solo il guidatore. Era una donna. Lo sportello si aprì, e scese un giovane alto, bruno, sui vent’anni. Si diresse subito verso l’esercizio. Alfio cercò di fermarlo con una mano alzata, scuotendo la testa in segno di diniego. Poi, sollevato lo sguardo verso il giovane, qualcosa sembrò trattenerlo. Alcune rughe intanto svanivano. Il ragazzo, messosi a sedere sulla poltrona chiese qualcosa. Alfio intanto gli si era avvicinato, sempre più perplesso. – Hai dei bei capelli – disse accarezzandoli con le dita. Poi, con un sorriso prese in mano le forbici e riprese sicuro il suo lavoro.

L’immagine in copertina è Il barbiere, di Nazareno Cipriani