Professore associato di lingua inglese e collabora per l'urdu con l'Orientale di Napoli avendo anche una laurea in Arabo e Urdu. Pedagogista Clinica e una Antropologa trasformazionale della Scuola dello psichiatra Sergio Piro. Prima di passare nel ruolo di professore associato alla Università Parthenope è ricercatore all'università Orientale di Napoli.

Introduzione alla Fiaba: Le dee Sirene: Atargatis e Parthenope

Di Maria Rosaria D’Acierno

Due mondi che si incontrano, quello semitico di Atargatis e quello indo-europeo di Parthenope Questa fiaba vuole mettere in evidenza, attraverso l’incontro tra due mondi, che solo apparentemente sembrano lontani, quanto, fin dai tempi più remoti, gli scambi culturali tra il mondo orientale e quello occidentale siano stati fervidi e proficui. Due popolazioni, come quella semitica (dalla Siria) e quella indoeuropea (da Napoli), che pur con tratti culturali differenti per una quotidianità che riflette l’adattamento a territori con caratteristiche fisiche diverse, ponevano alla base della loro esistenza riti simili verso ‘esseri celesti,’ i quali, anche se identificati con nomi appartenenti alle proprie lingue, erano pur sempre della stessa identità.

Infatti, in questa fiaba abbiamo due sirene, due dee, ognuna di loro protettrice del proprio territorio, ma ambedue animate dagli stessi sentimenti; sentimenti che sono alla base di qualunque popolazione; vale a dire, l’amore materno, la trasformazione, l’accoglienza e, infine, la protezione delle rispettive città. Dopo aver attraversato il Mar Mediterraneo, Atargatis abbraccia Parthenope. Quindi, prendendo spunto da questi due miti, la nostra fiaba focalizza l’attenzione sulle fasi della trasformazione sia fisica che psicologica; una trasformazione che inevitabilmente dobbiamo affrontare durante il percorso della nostra vita; una trasformazione necessaria per farci adattare anche ai cambiamenti climatici e culturali che si avvicendano sia sul nostro pianeta che nel nostro animo. Una trasformazione importante, specialmente per i bambini, i quali devono abituarsi ad accettare non solo le trasformazioni fisiologiche del corpo durante le fasi dell’infanzia, della pubertà, della giovinezza, della maturità fino alla vecchiaia, ma anche quelle del divenire del mondo; trasformazioni che ci abituano a plasmare il nostro comportamento per adattarlo all’ambiente esterno nel quale si avvicendano oltre alla famiglia, anche amici, conoscenti e tutti coloro che si alternano nel nostro territorio. Una trasformazione, avviata tanto “dalla pressione sociale e psicologica,” tanto da quella culturale, “soprattutto se, anche nel campo antropico continuo, vengono esercitate contropressioni, reazioni, azioni antitetiche. … Ed è ancora evidente come i sotto-insiemi umani in cui la singolarità vive (la famiglia, il gruppo, la fabbrica … ),” contribuiscano a trasformare la “singolarità umana” in una “molteplicità pluripersonale”; una trasformazione tanto necessaria quanto indispensabile per permettere alle nostre maschere di alternarsi per affrontare i cambiamenti della vita. 1 L’uomo vive nella radiazione continua di eventi minutissimi che gli provengono dal mondo (dalla natura e dagli uomini) e che interamente lo attraversano. La ricchezza e la complessità di ciò che è conosciuto dal singolo coincide con la ricchezza e complessità di ciò che è conosciuto dall’umanità. 2 Al messaggio della trasformazione, quindi, si affianca quello dell’accoglienza. Non possiamo albergare sempre nella stessa persona, bisogna imparare a convivere con tutti coloro che incontriamo durante il nostro percorso, accettando i lutti e i nuovi volti, sempre trasformando il nostro cammino intimo, sapendo, all’occorrenza, anche cambiare retta. La nostra città – Napoli, ci insegna proprio questo, accogliere tutti coloro che, pur arrivando da luoghi sconosciuti e remoti, sono stati accettati apertamente senza mai farli sentirsi estranei o abbandonati. Napoli si è sempre resa disponibile a non rifiutare nessuno e, quindi, a far tesoro di nuove esperienze, inglobando idee, costumi, culture e lingue straniere, facendo si che anche il suo dialetto si sia arricchito e trasformato per l’apporto di elementi linguistici provenienti da diverse lingue, mutando i calchi a tal punto da farli diventare espressioni tipicamente napoletane.

A parte il latino, lingua dei nostri avi, (cerase – cerasum; petrusino – petrose linon; pastinache – pastus), abbiamo molte parole derivanti dall’arabo, visto che alla corte di Federico II (1198-1250) si parlava questa lingua (acciacco – malanno, infermità / al saqqa – lamento, malattia; – babbalucco – sciocco, balordo / al mamluk; – carcioffola – carciofo/ al Harsuf – caruofalo – garofano / al qaranful; – lammicco – lambicco, alambicco / al anbiq (tazza); – serchia – screpolatura, ragade / al srq; – tamàrro – persona rozza, zoticone / al tammar; – tauto – bara / al tabut; dal greco (o mesale, tovaglia, misalion; dallo spagnolo, che è stato anche un intermediario di parole arabe: muglier”, che deriva da “mujer; buffettone”, da “bofeton”; assettarsi”, da “sentarse”. Napoli, la città dai confini illimitati, la città posta sul Mediterraneo, senza muri, senza frontiere, guarda, attraverso il mare, attraverso i suoi flutti, attraverso l’acqua che sempre cambia di colore, di forma, e che con il suo ondeggiare facilmente oltrepassa i confini, non poteva avere un simbolo migliore della sirena Parthenope. Questa figura mitologica, che non ha una forma definita, che non è cristallizzata, che è donna ma è anche pesce, che è ricoperta di squame che si rinnovano, che non ha dimora fissa, ma che nuota nel mare infinito, è il simbolo della trasformazione e del divenire, e del saper affrontare i pericoli con animo aperto alla speranza, perché il mare con le sue acque sa anche essere minaccioso e, quindi, potrebbe facilmente tradire i propri abitanti, incutendo loro paura, per via dei fondali bui e misteriosi, e per quelle sue onde gigantesche che a volte divorano e distruggono tutto ciò che incontrano. Ma da dove arriva questa nostra sirena? Dalla lontana Siria, e si chiamava Atargatis. Era la dea della luna, del potere femminile, dell’acqua, della fertilità, dell’amore materno, ed era considerata la signora (Baalat بعلة ,(la protettrice della sua città. I suoi templi si trovano ad Ascalon, Hierapolis, Bambyce, e Edessa. E’ la prima sirena della mitologia. I romani la chiamavano Deasura (dalla Siria in arabo Suriya سوریة ,( e i greci Derketo (Δερκετὼ). Per questa sua natura dinamica, altruista e piena di speranza, i suoi seguaci venivano aiutati ad affrontare tutti i tipi di paure superando i meandri più oscuri del loro intimo. La sua è una storia triste, perché, innamoratasi di un comune mortale, un pastore che si chiamava Hadad (حداد ,(ebbe da lui una figlia di nome Semiramis. Ma sfortunatamente, per un incidente causato da sua madre, questa fanciulla morì. Atargatis, non riuscendo a sopportare il peso di questa sua colpa, si gettò in un lago vicino ad Ascalon. La sua bellezza non riuscì ad essere nascosta dalle acque, così fu trasformata in una sirena. Quindi, la nostra Parthenope viene da lontano, da un mondo fatto di miti, di dee e dei, tutti protettori dell’umanità, quando questa si sente in pericolo ed insicura e si rivolge a coloro che dall’alto dei cieli guardano, proteggono ed esaudiscono le richieste dei loro devoti. Questi dei, ognuno appartenente ad una tribù diversa, ognuno mitologicamente associato ad un elemento naturale, erano raffigurati nei modi più fantastici e particolari, ed erano invocati a seconda della loro rappresentazione naturale nel momento del bisogno.

Atargatis (Foto da wikipedia)

Attraverso riti particolari, quando la fede era ancora un sentimento sconosciuto, venivano chiamati a soccorrere gli uomini sia riguardo ad esigenze personali che per quelle riferite a tutta la comunità (un buon raccolto, una temperatura mite, una vittoria di guerra, ecc.). Abbiamo, quindi, il dio del raccolto (Dagon), degli insetti (Baal بعل Zebub), del cielo (Baal Sameme), della pioggia (Adad), il dio del sole (Har Heres), della luna (Baal Harran), della comunità dei Canaaiti (Baal Berith), della città di Tyre (Melkart), ecc. ecc. In verità, non erano nemmeno considerati dei, ma solo esseri supremi che abitavano nell’immensità del cielo. Il cielo, con il suo splendore, i suoi colori, ma anche con le sue tenebre aveva suscitato nell’animo di questi popoli pagani un tale sentimento di inafferrabilità, di immensità, di splendore, di angoscia, di meraviglia, che era diventato il luogo di residenza di esseri che, anche se non molto differenti dagli uomini, comunque possedevano attributi superiori a quelli dell’umanità.3 Atargatis e la nostra Parthenope ci insegnano ad essere sempre aperti ad affrontare con animo sereno non solo tutte le avversità della vita, ma soprattutto ad accogliere il cambiamento, al fine di arricchire la nostra esistenza di principi nobili e di solidarietà.

In questa fiaba, la donna che diventa pesce è una metafora per mettere in risalto che ognuno di noi pur rimanendo fisicamente simile nel tempo, muta il proprio atteggiamento, mescolandosi a generi e stati diversi, accettandosi per come è, nella speranza che il cambiamento porti bene. Atargatis è anche il simbolo dell’amore materno, quell’amore tanto forte che fa accettare anche l’allontanamento dei figli, pur di vederli felici nel rincorrere i propri sogni. L’attaccamento morboso non è amore, ma un senso di egoismo perché priva i figli della loro esperienza e speranza di vita.

عتاركتیس Atargatis

Una volta una bambina un po’ dispettosa, mentre giocava con la sabbia in riva al mare, sul golfo di Napoli, precisamente a Mergellina, ed era intenta a costruire castelli, evadendo lo sguardo della mamma, si tuffò in mare, perché aveva visto sul fondo marino una conchiglia argentata, di un argento cangiante poiché rifletteva tutti i colori del sole, della luna appena nascente, del mare azzurro e dei suoi fondali variopinti. Appena sott’acqua si trasformò in una sirena, e con la sua coda muoveva velocemente le onde del mare. Stella, così si chiama la bambina, si meravigliò di nuotare tanto velocemente, perché, invece, a mala pena sapeva mantenersi a galla.

Parthenope (Foto da wikipedia)

La conchiglia, che l’aveva attirata, si muoveva agilmente trasportata da piccole onde leggere. Senza più preoccuparsi di niente, Stella cominciò a seguire la conchiglia sperando di riuscire a prenderla. Ma più nuotava più la conchiglia si allontanava e, anch’essa aveva preso le sembianze di una sirena; era una conchiglia con una lunga coda da pesce. Ad un certo punto, Stella vide che la conchiglia si apriva e si chiudeva, e sembrava quasi che parlasse. Infatti, proprio in quella direzione sentì una vocina che diceva: Io vengo da molto lontano, dall’altra sponda del Mediterraneo, e ho smarrito mia figlia. Aiutami a cercare mia figlia! ( ساعدي ابنتي لایجاد (La mia conchiglietta! (القغیرة الصدفة .(Stella rimase sorpresa, ma subito le rispose chiedendole come si chiamavano sia lei che la figlioletta. Questa disse: mi chiamo Sadafa (صدفة اسمي (e la mia figlioletta si chiama Qalila (قلیلة وبنتي ,(noi veniamo dalla Siria (سوریا من نجيء .( Poi cominciò a singhiozzare, temendo di averla perduta per sempre nei fondali marini. Stella non si perse d’animo, e, anche se non comprendeva bene la lingua della conchiglia, cercò di aiutarla e di consolarla in tutti i modi. Le disse di aspettarla per pochi minuti, e così uscì dall’acqua e chiese alla mamma: Cosa posso fare per aiutare Sadafa a ritrovare la sua figlioletta Qalila? La mamma le diede una palettina e le disse: Scava nel fondo marino dove forse si è impigliata la piccola Qalila. Stella corse subito di nuovo in mare, con la sua coda da sirena raggiunse Sadafa, e le disse: Non devi disperarti, ti aiuterò a ritrovare tua figlia. Si immerse sotto acqua e vide un mondo meraviglioso.

C’erano alghe di tutti i colori, azzurre, verdi, rosate, gialline, poi c’erano pesciolini di tutti i tipi, e una gran quantità di conchiglie, ma di Qalila nessuna traccia. Sadafa, la mamma, seguiva Stella per aiutarla a riconoscere sua figlia, ma di Qalila ancora niente. Allora chiesero alle altre conchiglie: Avete per caso visto Qalila? (بطریق قلیلة رایتم (Ma queste non risposero. Dopo un po’, videro arrivare una lunga fila di conchiglie argentee e, tutte avevano la coda da sirena che muovendosi rendeva il mare ancora più luminoso, per via delle squame che riflettevano la luce del sole sott’acqua. Quindi, chiesero anche a loro: Avete visto Qalila? Queste si guardarono l’un l’altra e cominciarono a ridere e a sghignazzare. Poi una conchiglia piccola piccola si avvicinò a Sadafa, la toccò con la sua coda e le disse sottovoce: Qalila ha incontrato un principe di nome Amir (أمیر ,(e si è rifugiata nel suo castello. Quindi, le indicò la strada dove poterla trovare. Stella e Sadafa cominciarono a nuotare velocissime e le loro code quasi si urtavano. Durante il percorso, incontrarono tanti ostacoli: onde grosse, pesci voraci, scogli, ma, mai, mai si fermarono pur di raggiungere la loro conchiglietta. Stella, poi, era anche lei piccola, ma aveva il grande desiderio di aiutare la sua nuova amica. Così, pur non conoscendo bene il mare, e pur rendendosi conto dei suoi pericoli nascosti, non si perse di animo. Sadafa era incoraggiata dalla forza della sua piccola, nuova amica, e non le venne mai meno la speranza di ritrovare sua figlia. Nuota e nuota, ad un certo punto videro da lontano un castello, e le loro code si strinsero, riscaldandosi di speranza. Improvvisamente, apparve Qalila che, stretta tra le braccia del suo principe, le salutò e corse loro incontro. Quasi piangeva dalla gioia per aver potuto riabbracciare sua madre. Poi, rivolgendosi con un grande sorriso alla mamma le disse: Ora sono cresciuta, non sono più la tua piccolina. Sono felice di aver trovato il mio principe, il quale così parlò: Voglio molto bene alla mia Qalila (قلیلةي احب ,(la rispetto soprattutto, la proteggerò sempre ed esaudirò il suo desiderio di incontrare la sua mamma tutte le volte che lo vorrà. Amir e Qalila si resero conto che c’era anche Stella, una nuova, piccola amica. Stella, si affrettò a dire che voleva far loro conoscere la sua mamma, la quale era rimasta sulla spiaggia ad aspettarla. Quindi, insieme cominciarono a nuotare in fretta per raggiungere la riva, e dietro di loro si vedeva uno sciame di pesciolini e di sirene-conchiglie che seguivano la sirena madre e la piccola sirena Stella. Era uno spettacolo meraviglioso, di gioia, di amicizia e di solidarietà. I loro colori erano fantastici, e sembravano emanare sulle onde riflessi dorati con le sfumature dell’arcobaleno. Erano tutti ansiosi di raggiungere una nuova spiaggia, e di cominciare una nuova vita, sicuri di essere bene accolti ed amati, anche in una terra che per loro era straniera: la baia di Napoli dalla lontana Siria. Appena arrivati, ognuno con i propri gesti e le poche parole che riuscivano a dire nella nuova lingua, cercarono di farsi capire, e di farsi amare, così come pure fece la mamma di Stella, rasserenandosi appena vide sua figlia. Le due mamme si abbracciarono a loro modo, cercarono di capirsi e di capire che la vita cammina, che i tempi si susseguono in fretta, e che in fretta bisogna adeguarsi alle nuove esigenze. Atargatis e Parthenope, le due sirene che avevano assistito e benedetto l’avventura di Qalila, Amir, Sadaqa e Stella, e di tutte le piccole sirene al loro seguito, si erano anch’esse ritrovate proteggendo ognuna la propria comunità e le proprie genti.

1 Piro Sergio, Introduzione alle Antropologie Trasformazionali, La Città del Sole, Napoli, 1997: 353.

2 Piro S. Negli Stessi Fiumi … , C.S.R. Edizioni, 1992: 31.

3 Smith William R., Lectures on the Religion of the Semites, Elibron Classics, 2005; Müller Max, Introduction to the Science of Religion, Longmans, Greenand Co., 1899.