Vladimir D’Amora è nato a Napoli nel 1974. In poesia ha pubblicato Pornogrammia , Edizioni Galleria Mazzoli, 2015 (finalista Premio Fiumicino 2015), Neapolitana Membra , Arcipelago Itaca, 2016 (Premio Itaca 2016) Anima giocattolo (finalista Premio Trivio 2016)

Dürer Patiens

Di Vladimir D’Amora

Il paziente è una questione. Una scolastica impuntatura. Egli è facilmente irritabile: è  depresso: egli si sente in colpa per la sua malattia e per il suo fantasma: di se stesso. Gli altri non gli danno kred*, radice di fede non gli sono, egli non gli è. Se ne infastidiscono. Visto che non è una patologia letale. La prognosi è infausta ché è dolore cronico e qualità della vita molto scadente. Il paziente, egli, di solito perde il lavoro o riduce di molto ogni suo impegno sociale e mondano e professionale: il mondo ed egli come prossimi a 0. Il paziente e la sua questione: sono depressi: deprimenti: egli si isola: egli si maledice quasi. La questione fibromialgica è una passione di Fides. Frequenti i casi di suicidio.  O di abbrutimento. Se, poi, si associano altre patologie che intaccano funzioni vitali, come il diabete, le quali rendono impraticabili certe soluzioni terapeutiche, allora il paziente di fibromialgia vive il male. E nel rimbrotto altrui. Nella miscomprensione altrui. Anche medici e preti e i mondi dovrebbero essere preparati appositamente a tali pazienti: dovrebbero accordare scienza e arte: empatia simpatia capacità di ascolto e di persuasione e competenza medico-scientifica…

Il paziente fibromialgico, così dice un medico dall’approccio anche filosofesco, cioè: interdisciplinare solo!, rappresenta un caso-soglia del sapere medico, della scienza clinica, della epistemologia in questione, nei suoi attuali standard pragmatici e teorici… Essendo che la malattia è solo clinicamente accertabile, cioè rilevabile dai sintomi narrati dal paziente stesso, dal monitoraggio delle sue abitudini di vita, dalle rinunzie cui deve starsi – è una malattia non gestibile coi farmaci solo, ma anche: con la psicoterapia solo, ma anche: con l’attività motoria solo, ma anche: con terapie cliniche solo, ma anche… Ma anche il paziente, col timore delle crisi acute scatenate da sforzi e conati ed esigenze mere e sia la norma di una attività psico-motoria, rinunzia spesso a muoversi. A vivere. 

E il timore, il senso di frustrazione peggiorano lo stato suo. Un caso-soglia, un caso nella soglia, un caso della soglia stessa: una sogliola, la vita: questa. Epistemologicamente anche: perché pone la medicina come scienza di fronte all’occasione o, meglio, al dovere di regredire alla sua umanità ormai smarrita nel corso della sua evoluzione che l’ha portato, e la porta, sempre gradualmente, a irregimentarsi come scienza positiva, certa, dura: dai protocolli scientificamente verificabili e falsificabili.
Gli altri.

Il vivere.

Cagliar versi.

Lo schermo.

Baciare.

Petto sfunnato.

Lavorare.

Una specie di gabbia e paradiso: se il paradiso è in una gabbia, allora… Il paradiso è… Species: forma: fantasma: flautus vocis: vuoi verso? Canto? Danaro? 
Per lui detto come paziente… Stanno appurando, negli anni estremi, nell’eschaton historiae, che, se egli detto paziente rischia di isolarsi di più e di materiare la inevitabile sua acclarata tendenza a rinunziare a un vivere nella e tramite la detta virtualità speciosa pagata connessa spettrale, nei lager disseminati dentro e fuori: l’ima la stanza la città la poesia: egli, poi, trova ascolto e ricetto e riparo e sollievo proprio nella life assecondata: messa a nudità: a forma di vita: a forma liscia a vita sacra: egli è una sacertas bloccata: una economia sostanziale: una gestione di esigenze incurabili: inusabili. 
Predicibili soltanto.

@Vladimir D’Amora. Vietata la riproduzione senza il consenso dell’autore

L’immagine di copertina è Malincholia I di Dürer presa da stilearte.it