Graziella Enna, nata nel 1969 a Oristano, laureata in lettere classiche presso l’Universita degli studi di Cagliari, insegnante di lettere.

Di Graziella Enna

In questo romanzo breve ma intenso, ultima opera dello scrittore nuorese Marcello Fois, i capitoli si dipanano seguendo una numerazione contraria, quasi un conto alla rovescia teso a voler acuire la trepidazione, che nasce immediatamente nel lettore, di conoscere quale sarà l’esito dell’abboccamento che sta per aver luogo tra Pietro Carta e Paolo Mannoni, legati sin dall’infanzia da un indissolubile rapporto di amicizia. Tra quell’incipit ricco di sospensione, in cui al lettore sembra quasi di poter misurare la distanza che  separa il villaggio di Lollove  dalla casa padronale nuorese di Paolo e l’incontro nel capitolo zero, si sovrappongono e si intrecciano diversi piani temporali, intramezzati dall’incedere di Pietro in un crescendo di emozioni. Sono ripercorsi gli episodi dell’infanzia e dell’adolescenza, alternati a quelli di un tempo più recente che stravolge la loro giovani esistenza di ragazzi nati nel 1899: la chiamata alle armi dopo la disfatta di Caporetto.

Marcello Fois (Foto da sardegnatoday)

 Crescono insieme, Pietro e Paolo, prima nell’ incoscienza  e spontaneità dell’infanzia, elementi che, ai loro occhi, annullano convenzioni sociali e ruoli soprattutto nel rapporto attinente alla sfera degli spensierati giochi di bimbi. Sono gli adulti a frapporre le distanze: il signorino Paolo può frequentare la scuola, protetto, preservato e venerato da tutti, Pietro, visto come un animale da compagnia, può condividere alcuni aspetti della vita quotidiana nella ricca dimora in cui viene ammesso frequentemente: nutrito col cibo dei signori, lavato nella stessa acqua del padroncino, vestito con i suoi vecchi abiti. Pietro non ha mai scordato una lezione spicciola di grammatica, fattagli da Paolo, che racchiude la cifra di questo libro e il cui svolgimento ne è condizionato:  

“I verbi ausiliari, dunque. E servili. Si trattava del fatto che anche nella grammatica, come nella vita, c’è chi comanda e chi obbedisce. Sarebbe a dire che esistono verbi servitori che permettono ad altri verbi padroni di spostarsi”.

 Pietro capisce e prende coscienza di questa distanza incolmabile tra loro, di cui diviene appunto metafora la differenza tra verbi ausiliari e servili, ma è  comunque un bambino libero, forte, conosce tutte le specie della fauna selvatica, la tana del mariane (volpe, in nuorese), i segreti di una natura aspra, selvaggia, descritta con toni lirici e elegiaci nella sua potenza dominatrice, che appare a tratti quasi antropomorfizzata, o viceversa, gli esseri umani ne divengono, in un processo panico, un tutt’uno. Paolo trasmette all’amico le nozioni che impara a scuola, Pietro, a sua volta, gli  insegna a interpretare i segni della natura, a scoprire quel mondo con cui si sente perfettamente fuso e a suo agio, il paesaggio montano nei rigori invernali con gelo che brucia la pelle o assolato nell’opprimente canicola estiva che lo fa traballare.

E’ una promessa a stravolgere l’equilibrio di un’amicizia  viscerale e intima, ma è estorta con un ricatto morale a cui Pietro non può sottrarsi, pagando il fio della riconoscenza dovuta ai Mannoni, che gli viene costantemente ricordata da don Pasqualino, che ha sottratto Pietro e la sua famiglia da un destino di miseria e stenti. Deve  perciò arruolarsi e proteggere il fragile Paolo, vissuto negli agi e nelle mollezze, mentre lui è una giovane forte come una quercia dalla fibra tenace o come un cucciolo di muflone. Pietro così promette di proteggere il suo amico-fratello e in cambio ottiene garanzie di natura economica per la sua famiglia e un futuro per sé. In un continuo alternarsi di analessi che riportano diversi episodi, emergono sprazzi della vita tragica e disumanizzante del periodo bellico, che Fois tratta anche in altre sue opere, memore indubbiamente del tributo versato dalle migliaia di  fanti sardi nella Grande Guerra e della lezione dell’illustre conterraneo Emilio Lussu. Poco più che adolescenti, i giovani sardi, di cui Pietro e Paolo sono un paradigma, si trovavano catapultati in una realtà che superava ogni immaginazione,  uniformati dal verde delle divise, molti non conoscevano neppure l’italiano né si erano mai allontanati dall’isola. Talvolta questa  innocenza e totale inconsapevolezza, era sfruttata ignobilmente da chi faceva di  loro carne da macello per compiere presunti atti di eroismo. Ecco le riflessioni di Pietro in trincea:

Del resto si viveva sepolti pur essendo vivi, e una volta morti si rischiava di imputridire all’aria aperta, senza una tomba, incastrati nei fili spinati. Se non si credeva a questo, che pure era sotto gli occhi di tutti- se si poteva cioè fingere di non sentire il puzzo delle carcasse, di uomini e anche di bestie, che si disfacevano seminate nella terra di nessuno-, allora si poteva credere a tutto, fingere tutto, avere fede in qualunque cosa.”

Proprio in questo periodo tragico, costellato di drammatici avvenimenti,  Pietro è costretto a prendere una decisione che agli occhi di Paolo appare come un tradimento: ordini superiori lo vogliono a tutti i costi separare da lui, ma Pietro non può disattendere ciò che ha promesso a don Pasqualino Mannoni. Diviene agli occhi di tutti un fuorilegge, un traditore, perché questa è la versione di Paolo, ma nessuno conosce la verità. Tornano entrambi dalla Guerra, come si evince dal sopraccitato incipit del romanzo, in momenti e modalità differenti, uno eroe e l’altro fuorilegge, ma c’è una resa dei conti finale tra i due, in quello che sarà l’ultimo incontro.

Aveva accettato l’incontro con Paolo pur capendo ogni cosa fin dall’inizio. Capendo cioè che ci sarebbe stato più di uno ad aspettarlo, e che Paolo non aveva potuto fare altro che prestarsi come esca alla cattura

 Nessuno sa  quali eventi casuali abbia affrontato Pietro che hanno cambiato e stravolto completamente la sua vita e quella della sua famiglia, ma egli conserva la sua dignità, consapevole lui e solo lui, di non meritare gli epiteti che gli vengono attribuiti.

“Aveva dovuto rassegnarsi al fatto, che per quanto si sforzasse di mantenere la fede nel mondo, nell’amicizia, in Dio, e per quanto tentasse di ricorrervi per frenare la rabbia cieca che lo impregnava, aveva fallito. E non aveva più fede nel mondo, nell’amicizia, in Dio”.

 Sono fattori propulsori delle sue vicende personali post belliche l’improvvisa necessità di uscire da una condizione precaria,  la sete di rivalsa, la volontà di riscatto, (anche con mezzi illeciti), da una vita grama, oppressa dalla staticità della struttura sociale fortemente gerarchizzata  in cui predominano famiglie di ricchi possidenti che detengono una sorta di ius vitae necisque su quelli che considerano i propri servi. Pietro compie il suo rapido  percorso di formazione per affrancarsi dalla vita precedente e riesce a rompere gli schemi, in un modo inaspettato che potrebbe anche suscitare biasimo, ma il lettore, a mio avviso, è indotto a comprendere le dinamiche del caso e riesce ad astenersi da ogni forma di giudizio morale. La vicenda, infatti, narrata con un linguaggio accurato, ricercato e incisivo, suscita empatica partecipazione e  immerge il lettore nel mondo di una Sardegna tradizionale, selvaggia e genuina, di cui quasi percepisce i profumi, le asprezze del clima montano, riesce a comprenderne  le dinamiche sociali e il loro immobilismo accettato passivamente da molti dei protagonisti. Anche un altro elemento percorre come un filo rosso la narrazione, ovvero un voto che entrambi i protagonisti, non a caso dai nomi apostolici,  esprimono segretamente  in chiesa dinnanzi alla statua di Santa Lucia, (proprio quella santa che porta il nome della ragazza che aveva suscitato in loro i primi ardori giovanili),  che sarà svelato in modo sorprendente solo nel finale.

Pietro e Paolo Book Cover Pietro e Paolo
Marcello Fois
Narrativa italiana
Einaudi
2019
160 p,