Luisa Bolleri è nata a Fiesole (Firenze) nel 1960 e vive a Empoli. Scrive romanzi, racconti e poesie, collaborando con alcune riviste letterarie online, tra cui Zona di Disagio e L’Ottavo. È membro di giuria del Premio Ponte Vecchio di Firenze. Ha pubblicato sei romanzi. Nel 2011 Quella notte, Ibiskos Ed.Risolo; nel 2012 Il tunnel, Ibiskos Ed.Risolo (Vincitore al Concorso IbiskosNoir); nel 2013 L’incubo, Leonida Ed., (Vincitore al Premio Il Convivio); nel 2013 Pioggia, Leonida Ed. (Premio Speciale al Premio San Domenichino); nel 2015 Il presagio, Leonida Ed. (2° posto al Premio L’Iride e 3° posto al Premio Cingari); nel 2016 Il vento e il silenzio, Ibiskos Ed.Risolo (Premio Speciale Donna al Premio Micheloni); nel 2019 una raccolta dei suoi migliori racconti intitolata Precipitare, Leonida Ed., vincitore del Premio I fiori sull’acqua contro la violenza sulle donne. Le sue narrazioni affrontano temi di grande impatto emotivo, quali la violenza sulle donne, il disagio mentale, lo stalking, l’abbandono di un figlio, la pedofilia, l’incesto, il rapporto tra vivi e morti. Ha scritto anche poesie e racconti che ricalcano i temi del disagio e che hanno ricevuto premi e riconoscimenti della critica. Entro il 2019 uscirà la sua prima raccolta di poesia, poesia civile scaturita dalle riflessioni e dalle lacrime amare che il nostro tempo le ispira. È presente su facebook.

Dov’è il cielo

Di Luisa Bolleri

Sogghignano i ragazzi alla fermata del bus. Si tirano l’un l’altro gli zaini e intanto ridono sguaiatamente, urlandosi addosso come scimmie. Un uomo guarda fisso davanti a sé. Il mondo è immerso in una nebbia mista a smog che scolora tutto. La città è sveglia da ore e ha già inglobato l’essenza vitale dei suoi abitanti. Osservo la strada, le costruzioni e quei ragazzi così diversi da me. Mi sento estranea a questo mondo. Mi sento sola. Sono sola.

Cerco un varco con lo sguardo per catturare uno squarcio di cielo, in tanto grigiume. So che c’è un pullulare di stelle vive oltre questa coltre di tristezza che imprigiona le nostre menti. C’è una natura benigna che abbiamo relegato lontano dai nostri sensi. Ci manca il suo conforto, il suo esempio. Ci manca l’equilibrio di cui è capace, con la sua forza rigeneratrice. In sua vece ci hanno consegnato un vuoto immenso che si espande e diventa sempre di più mancanza, dolore fisico.

Abbiamo costruito cattedrali di cemento e fumo, dimenticando di dare un senso alle nostre vite. Perché i soldi o il lavoro non possono darlo, quel senso. Procediamo per inerzia, comportandoci in modo discordante dal nostro sentire.

Altri guidano le nostre vite, non siamo capaci di comprendere il nostro respiro. I mostri hanno vinto sul nostro essere umani.

E ora siamo per sempre monadi disperse, ognuna chiusa nel proprio isolamento, non riusciamo neanche più a comunicare. Non comprendiamo i nostri bisogni. Non riusciamo neanche più a parlarci. Nel cervello ci hanno impiantata, quasi fosse un orrido microchip, l’urgenza impellente e crescente di soldi. E noi non ci siamo opposti. Abbiamo considerato quei falsi traguardi come vette meravigliose che ci avrebbero resi fieri di noi. E invece.

Guardiamoci ora: siamo involucri svuotati, gusci friabili dentro i quali non siamo più niente. Le nostre mani stringono aria. Non c’è amore, non c’è comprensione, non c’è senso comunitario. Solo dolore. Dolore infinito, che ci mangia il cuore.

Ma quale motivo può esserci per continuare a vivere, senza quel senso?

(liberamente ispirato al video dei Pink Floyd – Comfortably numb – 1980)

L’immagine di copertina è un De Chirico, foto presa da Artslife