Piero Dal Bon è poeta, saggista, critico letterario. Tra le sue pubblicazioni, volumi anche collettanei su Volponi, Pirandello, Papini, Pavese, Ungaretti, Primo Levi e testi di Moresco di cui ha fatto traduzioni e scritto prefazioni e postfazioni

Giullarata autoirridente, ovvero Narciso cristico si sfregia e computa e dissolve, facendo (si) le boccacce 

Di Piero Dal Bon

Grandi storie non le ho da raccontare, questo no (ma oddio), anche quelle volendo, ma se vi accontentate di poco (modesti modesti…), come di una
blanda (bianca? di sarabanda e lavanda? di olio e feconda?) svagata,
squadrata, spiazzante storiella da tè con i pasticcini (amorfa e
imborghesi ta)…Bene, d’accordo, quatti quatti, allora fermatevi davanti
alla croce rettangolare su cui mi riposo, sorrido e vi straparlo, ilare ed
espanso e vi racconterò come ci sono finito, per davvero, con i chiodi i
fori sanguinanti e tutto il resto. Bende comprese. Stracci al sole. Miste e
meste. Sotto il cielo d’agosto pingue d’abbandoni d’estensioni nell’illimite. Di tuorli turaccioli fischi micce e minacce. Ce se ne infischia, di questi
addendi.

Debbo scusarmi (con un resto d’insinceritá e d’inchiostro) innanzitutto, di queste sgradite e rivoltanti s-confessioni, di un obbrobrio ributtante e
suddiviso, che aggredisce chi guarda. Ma se si ascolta la voce carezzevole che esce dal mio pollice o alluce- non lo so più, non l’ho mai saputo- si
accetterà a che io venga riammesso dentro la folta comunità che ascolta. Folta fitta e verminosa. Funghevole. Che funghisce. O stormisce
irretimenti e vischi. Faccio schifo pure, lo concedo, non ho vestiti né
principi, difficile e irto non ammetterlo, foschi si diemette, però sono
squadernato magnifico bleso disfatto e gentilomesco (nel gesso dello
sparato dell controdecoro dell’eccesso) e qui sulla croce, che oramai è un altare, garantisco il fisco e la cittadinanza da sorprendenti, trascurabili,
novità noncalenti. Mi inchiodo (esoso e pornografico) in una trafila
tradita che ha molto del rassicurante. Agh! Che io sia maledetto per
questa linguaccia sconcia, violacea, che penzola liquami acetlineci. 

Ma si guardi per un momento l’indaco del mare, i picchi aguzzi dei monti, laggiù. La buona creanza del creato mi assolverà dalle taglienti crudezze rituali del gran Rifiuto della prostrazione prosternata. Sempre
postergante. Da terga a catecumeno.

Sarei stato una grande, scaltro, adulante, Buffone ad averlo potuto, ad
averlo saputo, rinsecolato di trasecolamenti ebbri… i miei schernevoli
oltraggi graditi ad un Re magnanimo e crudele. All’occasione avrei fatto
cerimonie salamelecchi e sberleffi, sciorinato facezie, leccato fiche
principesche, e lussuose. Discretamente sontuose,, d’altro bordo. O borgo eccelso. Suite velluti e tracimance.

E invece no. Imbarazzato a cornucopia ho danzato il mio pedalato tip tap (e pure il charleston, aperdifiato )su pozze di lune mozze dentro cavità
profonde tra un girotondo di prigionieri illesi. Senza corte e mirati spettatori e smiracolanti ebrezze.

Chi si ricorderà di quel ossesso e squassato- squinternato- monologo
furibondo- davanti allo specchio, delle mobili smorfie, delle simulazioni
violente, delle oneste (o astute?) dissimulazioni dei calci delle vertigini
degli sberleffi dei cachinni i ghigni le capriole le giravolte le chiesate le
approssimazioni scomposte (sghembe, bauche)…

Ma vado in crescendo… troppo troppo. C’è un po’ di scempiata (sempia?)
sguaiataggine, o guasta, in quello che dico grido o dico e ridico
(deridendo irridendo, fatuando lo sfiato dell’inchiostro): un che di troppo esibito e sofferto. Che strazio! ‘Sto incesto, è proprio vasto….

In fondo non sono che una marionetta disossata e sciolgo la briglia alla
lingua che mulina fanfaronate.

Non c’è più nessuno. Se ne sono andati via tutti prima che io iniziassi. 

Che perfetta allegoria! 

Sbircio al mio fianco uno dei due ladroni che ronfa. Cola la sera tra gli uliveti. In fondo l’ho fatta franca anche ‘sta volta. Com’è venuta è venuta.
Strizziamo l’occhio guercio e disorbitato alla luna che sanguina mestruo, rigerminante. Che rifocilla la spremuta pupilla ventrale. (rifacimento)

L’immagine di copertina è La nave dei folli, di H. Bosh