Racconti di sabbia – Dove non arrivano le cartoline

Rilancio settimanale dei cugini de L’Arenone. Oggi i racconti di Angelo Deiana

La rubrica di racconti brevi di Angelo Deiana per L’Arenone. Pillole da mandar giù in pochi minuti, una tantum, per spezzare il tran tran della quotidianità.

Racconti di Sabbia #14: Dove non arrivano le cartoline – [tempo di lettura: 5 minuti]

Mi prese alle spalle.
“Pino, ma allora sei tu…”.
Non aveva la voce arrabbiata, piuttosto sembrava dispiaciuta, addolorata, delusa.
Non mi voltai subito, l’avevo riconosciuta. Non poteva che essere lei.
Per un attimo ho pensato di scappare dalla porta di servizio, montare in sella alla primi bicicletta e non farmi trovare più.
È durato un attimo, solo il tempo di capire che in realtà quel momento lo stavo aspettando da sempre. Come quei latitanti che vivono per vent’anni nascosti come topi e sperano con tutto il cuore, a un certo punto, che arrivi qualcuno a catturarli. Così mi sentii io quel giorno, mentre dal borsone della posta in arrivo trafugavo le cartoline da nasconderle nella mia valigetta. Era un gesto semplice, abituale ormai. Erano tanti anni che lo ripetevo… Quel giorno, poi, al signor Corrente (quello che abita nel vicolo dietro la chiesa) arrivò una cartolina dall’India. Io avevo sempre sognato l’India. Ed è per colpa di quella maledetta veduta del Taj Mahal che Giovanna mi ha beccato. Sì, perché invece di ficcarla nella valigetta e guardarmela con calma a casa, come facevo sempre, non ho resistito e mi sono soffermato su quell’immagine per cinque maledetti minuti che mi sono costati lo smascheramento. Eppure ero stato bravo a non farmi mai scoprire in tutti quegli anni di onorato servizio… Certo, ogni tanto veniva qualcuno all’ufficio postale a lamentarsi per il mancato recapito di qualche cartolina, ma nulla di più. Gli si diceva sempre: “Eh… Lo sa signora come funziona. Purtroppo non dipende da noi, ma da chi le spedisce. Qui non è mai arrivata, altrimenti l’avremmo vista”. E così agli abitanti di Bussolecchio non arrivò mai una sola cartolina…

Da piccolo sognavo sempre di viaggiare. A scuola non andavo bene, ma la geografia mi piaceva da morire. E così, su quelle cartine vecchie appese alle pareti gialle delle aule, immaginavo viaggi infiniti, itinerari impossibili, navi, aerei, canoe, montagne, selve, deserti persino… Alla fine della terza media, però, un camion (non avevo mai sognato di viaggiare in un camion) invase la corsia e si schiantò contro la macchina dei miei genitori che ritornavano a casa. Quel giorno io non ero con loro. Oh, ma avrei dovuto esserci… Mi salvò la febbre. Infatti ricordo che qualcuno, benignamente, mi disse: “Pino, ti è pure andata bene…”. Non potevo dargli torto, ma in quel momento avrei voluto davvero dirgli che avrei preferito morire anche io piuttosto che perdere mio padre e mia madre.
Lasciai la scuola. Ero solo a Bussolecchio, e così iniziai a lavorare. Prima da mastro Nello, il quale mi prese nella sua falegnameria per qualche spicciolo; poi qualche mese dopo migrai da Frusto, il capomastro del paese. Con lui imparai a fare il manovale: è anche merito mio, infatti, se oggi la chiesa è ancora in piedi. Aiutai io Frusto nei lavori di ristrutturazione. Cadeva a pezzi. Don Federico, infatti, d’estate aveva preso a fare le messe in piazza, all’aperto, li si sentiva cantare per tutte le valli intorno. Diceva: “Per quanto io mi fidi del nostro buon Dio, là dentro è meglio che non c’entriamo finché non rimetteranno a posto il tetto”.
Poi venne il giorno che anche a Bussolecchio aprirono l’ufficio postale. Sì, perché prima dovevamo sempre andare nel paese vicino, perché noi venivamo considerati “frazione”. Anche se con quelli di là, quelli di Golletta, noi non volevamo avere niente a che fare. Certe legnate ci davamo da ragazzini…
Conoscendo tutti la mia situazione, si trovò il modo di farmi assumere all’ufficio postale. Diventai postino. Sapevo a memoria le case di tutti, e consegnavo lettere, pacchi e bollette in men che non si dica. Mi bastava leggere il nome. Scoprii in quei giorni lì le cartoline. A me nessuno ne aveva mai mandata una e tantomeno io mi ero mai preoccupato di spedirne a qualcuno. Da dove poi? Io che sognavo sempre di viaggiare ma che non mi ero mai mosso da casa mia. E anzi che ancora ce l’avevo un tetto in testa! Insomma, molte persone a Bussolecchio avevano parenti emigrati in tutto il mondo in cerca di fortuna, e quando vennero a sapere del nuovo ufficio postale, iniziarono a inviare cartoline. Scoprii il Brasile grazie al fratello maggiore di Tina, New York – l’immaginifica New York – su una cartolina inviata da Tonio ai cugini Fabretti. E poi la California, l’Argentina, la lontana Cina, le grandi capitali europee – dio, che bella la Tour Eiffel! -, le piramidi d’Egitto, e poi su, fino all’Islanda… Ma mai, mai, era arrivata una cartolina della mia amata India. Fino a quel giorno…

“Sì, mi dispiace…”.
“Negli ultimi mesi in molti si sono accorti che questo fatto delle cartoline aveva qualcosa di strano. È stato Guido il primo a fare il tuo nome… Dice che una volta, passando sotto casa tua, ha visto dalla finestra centinaia di cartoline attaccate al muro. Ma perché? Perché, Pino? Tu sei buono… Non pensi al dolore di queste persone che hanno aspettato magari per quarant’anni un saluto?”.
Mi voltai. Avevo ancora in mano il Taj Mahal. Bello come il suo volto severo.
“Qui tutti stanno bene, tutti hanno una famiglia. Io sono solo… Da sempre. Nessuno mi ha mai mandato una cartolina! E poi volevo viaggiare, andare per il mondo… E non ho mai potuto farlo. Allora quando per la prima volta – ormai tanti anni fa – ho dovuto consegnare una cartolina, ho deciso di tenerla per me. Pensavo che non se ne sarebbe accorto nessuno e che non era un gran danno… La prima la attaccai nella mia camera. C’era solo il letto allora. Quell’immagine del Brasile mi sembrava colorasse i muri, spalancasse le finestre… Poi non mi sono più fermato”.
“Ma ci sono tanti modi, Pino! Ci sono i libri, le fotografie, le stampe, i film! Dio, Pino: hanno anche aperto il cinema a Golletta l’anno scorso, dopo tutti i casini di questo benedetto Sessantotto!”.
“Ma… Mi piacevano quelle scritte, quei saluti, quel senso di amicizia, di famiglia. Mi sono affezionato a tutti i parenti emigrati di Bussolecchio: mi hanno tenuto compagnia per tutti questi anni. Al contrario di te”.
Glielo dissi così. Senza nemmeno accorgermene. Mi tradì il momento, mi tradirono le emozioni. Che c’entrava lei? Io che avevo sempre nascosto bene ogni cosa. I miei sentimenti come le cartoline. Ora ero là. Giovanna capì subito. Si avvicinò. Pensai solo che non volevo farle tenerezza. Mi prese dalle mani la cartolina dell’India. Mi diede una carezza. Poi la girò: era destinata al signor Corrente.
“Mi porti a far vedere le altre?”.
Strabuzzai gli occhi. Mi resi conto in quel momento che era la cosa che avevo desiderato per tutta la vita…

In pochi minuti le aprii la porta di casa. Accesi le luci. Giovanna era al centro dell’universo.
“Ma hai coperto tutte le pareti! Pino è incredibile… Avrai anche fatto una cosa illegale, ma è bellissimo!”.
“Dove vuoi andare?”, le chiesi.
“A Vienna! Non son mai stata a Vienana”.
Le presi la mano, e facendo finta di correre la portai davanti alla parete dove avevo attaccato la cartolina di Vienna.
“Questa l’ha mandata la figlia di Liliana”.
Mi guardò di traverso, come per rimproverarmi e al tempo stesso godere di quel momento. Seguirono altre richieste, altri viaggi. Per la prima volta in vita mia, mi ritrovai a fare quello che avevo sempre sognato, viaggiare mano nella mano con qualcuno, con Giovanna, la mia collega dell’ufficio postale.
Quella notte non rimase a dormire da me.
Sulla porta mi disse: “Domani porta quella cartolina al signor Corrente”.
“Ma io…”.
Mi poggiò due dita sulle labbra.
“Fa’ come ti dico”.
“Io non sono mai stato in India…”.
Sorrise.
“Porta la cartolina al signor Corrente… E in India ci andremo insieme”.

Due settimane dopo, ad ogni abitante di Bussolecchio arrivò la prima cartolina della storia dell’ufficio postale. Era uguale per tutti. Al centro, il Taj Mahal. Dietro, la mia firma. E quella di Giovanna.

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